11 giugno 1967: il “settimo giorno”, le prime conseguenze

Sei giorni, cinquant’anni fa. Undicesimo video: il rifiuto arabo stronca sul nascere i tentativi israeliani di negoziare territori in cambio di pace

Video 11: primo giorno di dopoguerra (11 giugno 1967)

Traduzione. 11 giugno 1967. Quella che era iniziata come una battaglia per la sopravvivenza era diventata una vittoria imponente. In sei giorni soltanto, Israele non solo aveva sconfitto un nemico che minacciava di distruggerlo, ma aveva anche conseguito il controllo sul territorio necessario per proteggersi da attacchi futuri. Ma questa terra significava di più che semplice sicurezza. La terra di Cisgiordania era il luogo di nascita del popolo ebraico, nota anche coi nomi biblici di Giudea e Samaria: era rimasta fondamentale per gli ebrei di tutto il mondo ed aveva visto una ininterrotta presenza ebraica per tremila anni, fino alla guerra del 1948.

A partire dal 1948, quando la Giordania aveva conquistato la Cisgiordania e Gerusalemme est, gli ebrei erano stati espulsi da quelle regioni ed era stato vietato loro l’accesso al quartiere ebraico della Città Vecchia, al Muro Occidentale (“del pianto”) e ad altri luoghi santi ebraici. A seguito della guerra dei sei giorni, con la riunificazione di Gerusalemme e il controllo israeliano sulla Cisgiordania il popolo ebraico e i popoli di tutte le religioni furono di nuovo liberi di accedere ai rispettivi luoghi santi.

Dopo la guerra, Israele si trovò ad avere il controllo sia su territori che su una popolazione che, prima di essere trascinato nella guerra, non aveva intenzione di governare. Ora Israele controllava un territorio con circa 950mila abitanti prevalentemente arabi musulmani. Ora controllaca il Monte del Tempio, il luogo più santo per il popolo ebraico, ma anche sede di un santuario e di una moschea sacri per i musulmani: la Moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia. In un tentativo, controverso e senza precedenti, di promuovere la pace ed evitare ulteriori conflitti, Israele trasferì ai giordani il controllo del Monte del Tempio e dei suoi luoghi santi soltanto dieci giorni dopo la fine della guerra.

Il governo israeliano inviò anche un messaggio ai paesi arabi, attraverso gli Stati Uniti, in cui diceva che era disposto a cedere territorio in cambio della pace. Ma gli israeliani non ricevettero nessuna risposta: fu il primo di una lunga serie di gesti di pace non ricambiati. Tre mesi dopo la guerra, i leader arabi si riunirono a Khartoum, in Sudan, per discutere il da farsi. Si accordarono su una risoluzione che sarebbe diventata famosa come “i tre no di Khartoum”: “no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no ai negoziati con Israele” (1 settembre 1967). Il ministro degli esteri d’Israele Abba Eban avrebbe detto più tardi che questa era la prima guerra nella storia che terminava coi vincitori che invocano la pace e gli sconfitti che pretendono la resa senza condizioni.

Gli israeliani restarono sgomenti. Avevano sperato che la loro vittoria avrebbe aperto la strada a negoziati di pace con cui delle terre conquistate sarebbero state cedute in cambio di un’autentica pace coi loro vicini. Invece si trovarono di fronte al secco rifiuto di negoziare una pace su qualunque confine: la stessa posizione che aveva preceduto la guerra, la stessa che la maggior parte dei paesi e gruppi arabi avrebbe continuato a tenere per decenni dopo la guerra.

Nonostante questa storia di vigoroso rifiuto di Israele, successivi sviluppi avrebbero in realtà portato alla pace fra Israele e alcuni paesi arabi, come vedremo nella puntata finale di questa serie.

(Da: Jerusalem U, 11.6.17)

Video 10: sesto giorno di guerra (10 giugno 1967)

Video 12: alla ricerca di una strada per la pace