90 ragioni per diffidare del futuro stato palestinese

Gaza è diventata la rappresentazione più incisiva di quanto sia pessima l'idea di cedere in blocco la Cisgiordania all'Autorità Palestinese, corrotta e perennemente ostile

Di Moshe Phillips e Benyamin Korn

Razzo Katyusha palestinese tipo Grad

I novanta razzi e colpi di mortaio sparati l’altra settimana contro Israele da terroristi arabi palestinesi della striscia di Gaza non sono soltanto un ennesimo round delle solite vecchie turbolenze mediorientali a cui il mondo ha fatto disgraziatamente l’abitudine. Essendo stati lanciati proprio quando il Segretario di stato Usa John Kerry sta cercando di concludere un accordo per la creazione di uno stato palestinese, quei razzi rappresentano novanta buone ragioni del perché sia giusto diffidare della creazione di quello stato.

Per anni la comunità internazionale ha assillato Israele perché si ritirasse dalla striscia di Gaza. Agli israeliani veniva detto e ripetuto che se solo avessero posto fine all’occupazione, i palestinesi avrebbero abbracciato la pace; che la presenza di soldati israeliani e di comunità ebraiche nella striscia di Gaza costituivano il motivo delle violenze e dunque il vero ostacolo alla pace; che una volta ritiratosi Israele, i palestinesi di Gaza non avrebbero avuto più motivo per attaccare Israele; e che “se anche un solo razzo fosse stato sparato da Gaza contro Israele dopo il ritiro israeliano”, le Forze di Difesa israeliane avrebbero avuto tutte le ragioni di reagire e, se necessario, riprendere il controllo della striscia di Gaza.

Razzo palestinese tipo Qassam

Razzo palestinese tipo Qassam

Anche allora non mancavano esperti militari israeliani che avvertivano che il ritiro da Gaza era pericoloso; che Gaza costituiva una cintura di sicurezza vitale alla frontiera sud-occidentale d’Israele e un cuscinetto tra Israele e l’instabile Egitto; che Gaza sotto il controllo palestinese sarebbe diventata un terreno fertile per i terroristi e un enorme deposito di armi da usare contro Israele. Ma alla fine la pressione internazionale ebbe la meglio. La martellante opera di intimidazione da parte dei funzionari del Dipartimento di stato, fiancheggiati dagli editorialisti del New York Times e dagli inviati dell’Unione Europea, logorarono i leader politici israeliani che decisero di tentare la scommessa. Nell’estate 2005, senza porre condizioni né avanzare richieste, Israele ritirò da Gaza tutti i suoi soldati e i diecimila ebrei che vi abitavano. L’idea era che Gaza diventasse un precedente capace di aprire la strada ad altri analoghi ritiri dai territori di Giudea e Samaria (Cisgiordania).

E invece Gaza è diventata la rappresentazione più incisiva di quanto sia pessima idea di cedere in blocco Giudea e Samaria alla corrotta e perennemente ostile Autorità Palestinese.

L’aeroporto internazionale d’Israele Ben-Gurion nel raggio d’azione dei missili anti-aerei “a spalla” SA-7 (Strela 2)

L’altra settimana un carico di sofisticate armi iraniane, compresa un quarantina di missili M-302 (con una gittata fra i 90 e i 160 km), avrebbe probabilmente raggiunto la striscia di Gaza se non fosse stato per il tempestivo intervento della Marina israeliana. Subito dopo, novanta razzi e colpi di mortaio venivano sparati da Gaza contro le città del sud di Israele. Ora, immaginiamo come apparirebbero queste azioni ostili dei palestinesi se anziché da Gaza fossero messe in atto dai palestinesi di Cisgiordania inquadrati in uno stato palestinese. Anche se la locuzione è rassicurante, in realtà non esiste nulla che possa corrispondere al concetto di “stato palestinese smilitarizzato”. Uno stato indipendente controlla i propri confini. La “Palestina” sarebbe libera di aprire le proprie frontiere a colonne di camion carichi di armi iraniane (e siriane, e nordcoreane). Se Israele tentasse di intervenire, verrebbe immediatamente accusato di violare la sovranità palestinese, denunciato alle Nazioni Unite e minacciato di sanzioni internazionali.

Torniamo a quei novanta razzi e colpi di mortaio. Uno stato palestinese in Giudea e Samaria significherebbe che il confine della “Palestina” arriverebbe alla periferia di Gerusalemme e di Tel Aviv. Quei novanta razzi sarebbero stati lanciati contro il Muro “del pianto”, le Torri Azrieli e gli aerei civili in manovra sull’aeroporto Ben-Gurion. I tiratori sarebbero rapidamente svaniti dietro lo “scudo” di civili costituito da case, campi, scuole e moschee palestinesi. Il governo della “Palestina” avrebbe dichiarato che gli attacchi sono “deplorevoli”, ma che naturalmente “non possiamo controllare ogni singolo elemento estremista”. Per tutto il tempo, la “Palestina” continuerebbe ad accumulare un enorme arsenale di armi, esattamente come fanno Hamas a Gaza e Hezbollah nel sud del Libano, e Israele si troverebbe nell’impossibilità di impedirlo senza lanciare una guerra preventiva e quindi tirandosi addosso l’ira dell’intera comunità internazionale.

Ci possono essere molte altre ragioni per essere contrari alla creazione di uno stato palestinese in Cisgiordania. Ma innanzitutto bisogna ricordarsi che in gioco c’è la sicurezza nazionale di tutto Israele. Quei novanta razzi ci dicono realmente tutto quello che ci occorre sapere.

(Da: Jerusalem Post, 23.3.14)