A 70 anni dal voto Onu sulla spartizione, uno sguardo indietro per guardare avanti

Oggi Israele ha gli strumenti per porre fine al sequestro politico e alla strumentalizzazione delle Nazioni Unite

Di Emmanuel Navon, Eitan Haber

Emmanuel Navon, autore di questo articolo

Il 70esimo anniversario della risoluzione delle Nazioni Unite sulla divisione della Palestina britannica offre l’occasione per ridimensionare un mito circa quella risoluzione e ripensare la politica di Israele nei confronti dell’Onu.

Come tutte le risoluzioni dell’Assemblea Generale, il voto del 29 novembre 1947 costituiva una raccomandazione e non una decisione vincolante. Essa divenne ancor meno vincolante dal momento in cui venne totalmente respinta dalla Lega Araba e dagli arabi di Palestina. Il Consiglio di Sicurezza non fece nulla per garantire l’attuazione della risoluzione, pur sapendo che la Lega Araba si opponeva ad essa e si apprestava a scatenare la guerra. A prescindere da quella risoluzione, Israele non sarebbe mai diventato indipendente se per decenni gli ebrei non vi avessero edificato una società e un’economia vitali e non avessero combattuto e vinto la guerra imposta loro dalla Lega Araba.

All’Onu, nel 1947, Israele ebbe fortuna. Stalin voleva porre fine alla presenza britannica in Medio Oriente (dal suo punto di vista ogni ritiro della Gran Bretagna e dell’Occidente era una vittoria), Harry Truman era determinato a scavalcare il Dipartimento di Stato e la Francia era ansiosa di rendere alla Gran Bretagna pan per focaccia (i francesi incolpavano agli inglesi per l’indipendenza di Siria e Libano del 1944). All’epoca c’erano pochi stati arabi e musulmani indipendenti: l’Africa, il Medio Oriente e il sud-est asiatico erano per lo più sotto dominio coloniale europeo.

1949: la bandiera d’Israele issata per la prima volta alle Nazioni Unite

La decolonizzazione e la guerra fredda modificarono questa configurazione a svantaggio di Israele. Il numero di stati arabi e musulmani aumentò vertiginosamente, e l’Unione Sovietica riuscì a reclutarli nella “lotta contro l’imperialismo” (la politica estera sovietica divenne apertamente filo-araba nel 1953 e l’Egitto divenne un alleato sovietico nel 1955). Dopo la guerra di Yom Kippur del 1973, il mondo arabo usò non solo il ricatto petrolifero, ma anche la sua “maggioranza automatica” all’Onu per isolare Israele. Questa guerra diplomatica culminò nella risoluzione dell’Assemblea Generale del novembre 1975 che condannava il sionismo come una forma di razzismo.

Nonostante la fine della guerra fredda e gli accordi di pace tra Israele, Egitto e Giordania (e l’abrogazione nel 1991 della risoluzione sionismo=razzismo), il sequestro politico delle Nazioni Unite e la loro strumentalizzazione in senso anti-israeliano non sono mai cessati. Nel 2001 la Conferenza Onu contro il razzismo a Durban (in Sudafrica) venne trasformata in una kermesse anti-israeliana e antisemita, mentre la sostituzione nel 2006 della Commissione Onu per i diritti umani con il Consiglio Onu per i diritti umani ha solo peggiorato le cose per Israele (e per i diritti umani). Le agenzie specializzate delle Nazioni Unite come l’Unesco vengono ancora manovrate dai propagandisti palestinesi e dagli stati arabi per dare addosso a Israele.

Tuttavia Israele non è totalmente vulnerabile, e vi sono modi per porre un freno alla strumentalizzazione delle Nazioni Unite. Uno strumento potente è il taglio dei fondi da parte degli Stati Uniti (o la minaccia di farlo). Dal momento che gli Stati Uniti finanziano il 22% del bilancio delle Nazioni Unite, staccare la spina ad agenzie come l’Unesco o il Consiglio per i diritti umani può ridurre i bulli a più miti consigli. Inoltre Israele può rafforzare i suoi legami con i paesi che all’Onu tradizionalmente votano con il blocco arabo-musulmano. L’attivismo diplomatico del primo ministro Benjamin Netanyahu in India, in Africa e in Sud America ha già iniziato a incrinare quella “maggioranza automatica”: Israele deve mettere bene in chiaro ai paesi delle economie emergenti che non potranno continuare ad avvantaggiarsi della tecnologia israeliana e al contempo bastonare Israele alle Nazioni Unite. Israele potrebbe anche usare la sua tacita alleanza di questi tempi con l’Arabia Saudita per aprire delle crepe nella “maggioranza automatica” anti-israeliana alle Nazioni Unite. Come fu alla testa dell’embargo petrolifero post-’73 contro Israele, così l’Arabia Saudita potrebbe oggi influenzare il mondo arabo in una direzione diversa. La battaglia del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman contro l’Iran fa di Israele un partner prezioso, il che mette nelle mani di Israele qualche nuova carta diplomatica.

Israele infine dovrebbe presentare con determinazione le sue ragioni circa la sovranità su Gerusalemme. Nel 1947 l’internazionalizzazione di Gerusalemme venne sostenuta dal membro peruviano dell’Unscop (la speciale Commissione Onu sulla questione della Palestina britannica), Arturo García Salazar, che era l’ambasciatore del suo paese in Vaticano e venne probabilmente influenzato dal Papa. Altri membri dell’Unscop avevano avanzato proposte di spartizione del distretto di Gerusalemme tra i futuri stati arabo ed ebraico, con uno status speciale solo per i luoghi santi. Alla fine la maggioranza raccomandò l’internazionalizzazione, ma nel 1949 la città si ritrovò spaccata in due, dopo la guerra, a causa dell’occupazione giordana della parte est. Meno di vent’anni dopo, nel 1967, venne riunificata da Israele dopo un’ulteriore aggressione araba. Le Nazioni Unite hanno rinunciato all’internazionalizzazione di Gerusalemme sin dagli anni ‘50, ma non hanno mai smesso di contestare la sovranità di Israele dopo il 1967: non curanti del fatto che, in tutta la storia della città, solo sotto sovranità israeliana è stata garantita piena libertà di culto e sono stati protetti i luoghi santi di tutte le religioni.

Il voto delle Nazioni Unite del novembre 1947 fu un punto di svolta storico, ma non fu quel voto a dare vita allo stato di Israele né a garantirne l’esistenza. Da allora, l’Onu è cambiata in peggio. Dopo il 1973 Israele è stato vittima del sequestro politico delle Nazioni Unite, ma oggi Israele è un paese forte, caratterizzato da un invidiabile vantaggio tecnologico, militare e anche diplomatico. Israele può e deve usare queste risorse per migliorare la propria posizione all’Onu e, per inciso, contribuire a ripristinare in qualche misura la credibilità delle stesse Nazioni Unite.

(Da: Times of Israel, 29.11.17)

Eitan Haber

Scrive Eitan Haber: La storia conosce poche vicende di successo paragonabili ai settant’anni anni dello stato di Israele. Ricordo come fosse ieri la notte del 29 novembre 1947. Da allora, come paese, abbiamo avuto pochi momenti di gioia come quello. Ero bambino e ricordo i gruppi di persone che ballavano per le strade o sulle auto che attraversavano Tel Aviv cantando aliyah hofshit, medina ivrit (“immigrazione libera, stato ebraico”). Ricordo anche il silenzio che prevalse il giorno seguente, quando un autobus della Egged venne attaccato vicino a Petah Tikva e i suoi passeggeri uccisi. Tra i morti c’era una conoscente della mia famiglia, Pnina Federman, che fu una delle prime persone a morire per lo stato di Israele nel primo giorno in cui la comunità internazionale aveva riconosciuto il nostro diritto all’indipendenza. Sono passati settant’anni, lo stato di Israele è vivo e vegeto e non c’è un altro paese ad esso paragonabile. Abbiamo alle spalle una storia di successo economico più unica che rara fra i paesi ex-coloniali; abbiamo una incredibile storia di successi in fatto di sicurezza e difesa militare; abbiamo creato un luogo dove ogni ebreo può vivere, solo che lo voglia.

29 novembre 1947: festeggiamenti per le strade di Gerusalemme dopo il voto all’Onu per la spartizione e la nascita di Israele

Settant’anni fa, 33 paesi votarono a favore dell’istituzione dello stato ebraico. Oggi, le Nazioni Unite contano circa 200 membri, per la maggior parte stati che allora non esistevano neppure. Nonostante le sofferenze e le umiliazioni che successivamente avremmo subito dalle Nazioni Unite, restiamo grati a questa istituzione internazionale, fondata subito dopo la seconda guerra mondiale, per aver riconosciuto e approvato la creazione dell’unico stato al mondo per il popolo ebraico. In quella stessa occasione l’Onu raccomandò anche la creazione di uno stato arabo a fianco dello stato ebraico. Gli arabi commisero il tragico, imperdonabile errore storico di rifiutare quel piano di spartizione. Un errore pazzesco, che per nostra fortuna David Ben-Gurion non fece. Da allora gli arabi hanno continuato a vivere nell’illusione di poter riavvolgere il nastro della storia e cancellare lo stato d’Israele. Ma furono sconfitti, e anche quella sconfitta ha reso possibile questo prodigio chiamato Israele. (Da: YnetNews, 29.11.17)