Abu Mazen. Dimissioni? Quali dimissioni?

Nel mondo arabo un rais, qualsiasi rais, non si ritira mai di propria volontà

di Smadar Perry

Smadar Perry, autrice di questo articolo

Smadar Perry, autrice di questo articolo

E così, tutto ad un tratto, per il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) l’Iran è un paese “vicino” e “fratello”. Non è chiaro che cosa abbia preso Abu Mazen tanto da spingerlo ad approfittare dell’incontro con un gruppo di giornalisti polacchi, due giorni fa a Ramallah, per annunciare che è in procinto di recarsi “presto” in visita ufficiale a Teheran. E’ tutto piuttosto strano, giacché Abu Mazen non ha potuto nemmeno fornire una data per la sua visita, e si scopre che a Teheran sono rimasti assai sorpresi di apprendere che sta per arrivare. Finora non hanno né confermato né smentito la visita.

Quello che è certo è che, mentre circolano notizie non confermate di una trattativa in corso per una tregua fra Israele e Hamas, Abu Mazen ha deciso di mostrare i muscoli. Se Hamas sta collaborando con l’Iran, lo stesso vuole fare lui. Se Hamas sta ottenendo aiuti dall’Iran, ne vuole una fetta anche lui. Hamas è in conflitto con Arabia Saudita ed Egitto, e Abu Mazen si ritroverà nella stessa situazione se davvero andrà a Teheran, in particolare con i sauditi.

Nessuno sta prendendo sul serio le sue dimissioni: non in Israele, non nel mondo arabo, non a Washington, e soprattutto non a Ramallah. Sembra che sia interessato più che altro ad agitarsi, come per dire: “Trattenetemi, perché sono sul punto di far saltare le regole”. Hanan Ashrawi, uno degli altri nove membri che si sarebbero dimessi dal Comitato Esecutivo dell’Olp, ha detto quello tutti pensano: le istituzioni dell’Olp hanno bisogno di sangue fresco. Ma Abu Mazen, non dimentichiamolo, rimarrà il rais. Non ha alcuna intenzione di mollare la presidenza.

Ci siamo sin da prima della morte di Arafat ai suoi stati d’animo estremi e alle sue decisioni capricciose. Un israeliano che lo incontra, trova quello che appare come un affabile anziano vicino di casa, lungi dall’incoraggiare il terrorismo e che conosce abbastanza bene la società israeliana e i suoi dirigenti. Ma negli anni della vecchiaia sembra piuttosto stufo di restare bloccato nella stessa parte. Anche se Netanyahu continua a invitarlo a tornare al tavolo dei negoziati, Abu Mazen dai negoziati non si aspetta nulla e si preoccupa piuttosto che possano indebolire la sua posizione nella piazza palestinese. E sospetta sempre che venga fatto qualche accordo sottobanco a sue spese.

Nessuno parla più della “storica” riconciliazione fra Olp e Hamas. Una cosa è certa: l’insistenza con cui il capo di Hamas, Khaled Mashal, parla di “progressi” nei colloqui con Israele mira a colpire Abu Mazen: per sfiancare colui che se ne sta comodamente a Ramallah in attesa di un biglietto aereo per Teheran.

In mezzo a tutto questo, Abu Mazen è anche riuscito a rompere con Mohammed Dahlan, a cacciare il primo ministro Salam Fayyad, a destituite Yasser Abed Rabbo. Se avesse dato davvero le dimissioni, o stesse cercando di tenere vere elezioni per l’Autorità Palestinese, non avrebbe perso tempo a fare pulizia in casa. Abu Mazen ha 80 anni, fuma come una ciminiera, non fa esercizio fisico e non rispetta la dieta. Il dopo-Abu Mazen potrebbe diventare realtà da un momento all’altro.

Lo vedo come una sorta di figura tragica che riflette la sconforto e la frustrazione palestinese. Non ha il carisma di Arafat, e si sente anche defraudato di un Nobel per la pace nonostante il suo intenso coinvolgimento nei colloqui segreti che portarono agli accordi di Oslo.

Ora sta portando il suo fedele amico Saeb Erekat dentro la cerchia politica interna, ma allo stesso tempo continua a tenere i conti, e continua a vedere i suoi più stretti confidenti in bianco e nero: o buoni o infidi, senza vie di mezzo. E i politici più giovani non possono nemmeno infilare un piede nella porta.

Nel mondo arabo un rais, qualsiasi rais, non si ritira mai di propria volontà. O ci pensa madre natura, o ci devono pensare violente sollevazioni di piazza. Nessuno protesterà contro Abu Mazen in Cisgiordania, ma questo non vuol dire che la sua posizione sia invidiabile. Se decide di rinunciare e andarsene, come ha minacciato di fare, dovrà affrontare una caccia alle streghe su tutte le magagne per le quali finora la sua posizione di alto livello lo ha protetto. Perciò rimane.

Abu Mazen sa che il conflitto israelo-palestinese è irrisolvibile: Gerusalemme non sarà divisa e nessuno troverà un accordo sui confini. E in ogni caso, l’Iran e l’ISIS gli hanno rubato i riflettori già da molto tempo. Perciò si regola di conseguenza.

(Da: YnetNews, 25.8.15)