Abu Mazen, Sharon e il terrorismo

Il tempo è poco e molto di ciò che accadrà nel prossimo futuro tra israeliani e palestinesi dipende da Abu Mazen.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_531Scrive Ha’aretz: Mahmoud Abbas (Abu Mazen) deve capire che il tempo è poco e che molto di ciò che accadrà nel prossimo futuro tra israeliani e palestinesi, compreso il ritiro di Israele dalla striscia di Gaza, dipende da lui e dalla sua determinazione. Il giorno del suo giuramento come nuovo presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen ha condannato il terrorismo è ha invocato la fine della spirale di violenza. Ma a Sharon non possono bastare dichiarazioni e buone intenzioni. Eppure è proprio in questo momento cruciale che il primo ministro israeliano deve incontrarsi con Abu Mazen per cercare di forgiare insieme un piano d’intervento, anziché discendere la china di un altro bagno di sangue.

Scrive il Jerusalem Post: Non è per caso se i terroristi prendono di mira i luoghi di contatto tra israeliani e palestinesi, e non solo perché sono più comodi e tavola più vulnerabili. È difficile credere che i terroristi non sapessero che questi punti di passaggio sono anche la vena giugulare della striscia di Gaza. Attraverso di essi entrano ed escono merci, i lavoratori di Gaza cercano impiego in Israele, giungono a Gaza beni e servizi essenziali come carburante e medicinali, il tutto grazie al tanto deprecato Israele. Chiunque colpisca questi obiettivi particolari lo fa perché desidera bloccare qualunque miglioramento delle condizioni di vita della popolazione di Gaza secondo il vecchio e grottesco motto bolscevico del “tanto peggio, tanto meglio”. Ed è qui che sta la più urgente e importante sfida per Abu Mazen. Egli deve tenere a freno la violenza, confiscare le armi illegali nei territori e adempiere a tutti i doversi a cui finora l’Autorità Palestinese si è sottratta. Ma prima di mettere avanti la sua riluttanza a scatenare quella che chiama una “guerra civile”, e prima di lamentare di non essere in condizione di far rispettare un grado minimo di disciplina e ordine tra i suoi, vi sono alcuni obiettivi più semplici che può ben perseguire. Non vi sono alibi per non porre fine alla violenta opera di istigazione all’odio e alla violenza nei mass media e nel sistema educativo che Abu Mazen controlla. Facendolo non correrebbe il rischio di alcun bagno di sangue. Anzi, farebbe capire d’essere seriamente deciso a imprimere un cambiamento. Allo stesso modo, nulla impedisce ad Abu Mazen di ribaltare la storica opposizione di Yasser Arafat verso praticamente tutte le forme di cooperazione economica con Israele.

Scrive Hatzofeh: Proprio Sharon diceva che arrendersi al terrorismo serve solo a incrementare il terrorismo. L’attuale politica del governo israeliano non fa che incentivare il terrorismo. I palestinesi capiscono benissimo che il terrorismo ha battuto il governo d’Israele (a Gaza). E dunque, finché il terrorismo paga, esso continuerà, a meno di non dimostrare che non è vero.

Scrive Yediot Aharonot: La storia si ripete e la spirale di accuse e violenze non è praticamente cambiata negli ultimi quattro anni e mezzo. L’unica cosa che è cambiata sembrano essere i nomi dei primi ministri d’Israele e dell’Autorità Palestinese. L’unica vera differenza, oggi, è la speranza di arrivare a una qualche pace attraverso il piano di disimpegno israeliano. Anche coloro che all’inizio vi si opponevano, oggi capiscono che un’eventuale impossibilità di Sharon di attuare il piano verrebbe interpretata come la prova definitiva che Israele non è in grado di ritirarsi. Il primo ministro israeliano non ha altra scelta se non quella di andare avanti con il disimpegno, e il rifiuto di “parlare sotto il fuoco nemico” sono solo chiacchiere.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, Hatzofeh, Yediot Aharonot, 16.1.05)