Accordi folli

Gli israeliani sanno bene quel è il prezzo di accordi avventati per lo scambio di prigionieri

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1998Il primo ministro israeliano Ehud Olmert sembra che abbia deciso di “allargare” i criteri per la valutazione di quali detenuti palestinesi possano essere scambiati in cambio della liberazione dell’ostaggio Gilad Schalit: l’intento sarebbe quello di rendere più “flessibile” la definizione di detenuti “che si sono macchiati di reati di sangue”, una categoria che da tempo Israele considera non scarcerabile.
Si tratta di una modifica che non devierebbe esplicitamente dalle linea guida ufficiali, ma che di fatto comporterebbe un cambiamento nell’indicazione di quali siano i detenuti pongono una minaccia concreta alla sicurezza d’Israele.
Olmert pare sia riuscito a respingere l’esplicita opposizione del capo dei servizi di sicurezza Yuval Diskin il quale, sulla base di amari precedenti, avrebbe messo in guardia dal pericolo che alcuni detenuti che in questo modo potrebbero essere scarcerati possano tornare al terrorismo attivo, mettendo potenzialmente a repentaglio la vita di molti cittadini israeliani. Inoltre, suscita preoccupazione il messaggio che verrebbe inviato da questo allentamento delle norme, e cioè che viene premiato l’estremismo violento mentre l’atteggiamento relativamente moderato non paga.
E così il governo, sebbene agisca per lo scopo assolutamente encomiabile di riportare a casa un soldato preso in ostaggio più di un anno e mezzo fa, potenzialmente fa crescere il rischio di sempre maggior terrorismo contro la popolazione civile israeliana (la cui difesa è il compito principale di qualunque governo), rafforza alcuni dei peggiori nemici del paese e, contemporaneamente, lede la credibilità dei rivali politici di quei nemici, potenzialmente più moderati.
Ciò che più colpisce è che la decisione attribuita a Olmert arriva pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto finale della Commissione Winograd sui fallimenti della seconda guerra in Libano. Ignorando l’opinione professionale di Diskin basata su una lucida valutazione dei fatti, il primo ministro non solo rischia di adottare esattamente quel genere di decisioni mal concepite che hanno caratterizzato gli insuccessi della guerra dell’estate 2006, ma mostra anche di ignorare le raccomandazioni scrupolose e puntuali che la Commissione ha formulato proprio sulla questione degli scambi di prigionieri.
Il rapporto della Commissione dedica un intero capitolo alla questione, nel quale mette chiaramente in guardia contro ciò che definisce “accordi folli” per ottenere la liberazione di ostaggi. Accordi, sottolinea il rapporto, che non fanno che alimentare gli appetiti del nemico e dunque la sua determinazione a prendere in ostaggi altri civili e militari israeliani.
Il rapporto censura i governi israeliani per non aver “mai formulato una chiara politica su come gestire i casi di sequestro”. Il che, sostiene, costituisce un errore strategico che indebolisce Israele. Apparendo vulnerabile, Israele fa alzare il prezzo per la restituzione dei rapiti e incentiva ulteriori rapimenti”.
Il rapporto Winograd sottolinea invece come la fermezza americana nel non negoziare mai con i terroristi sequestratori costituisca “un fattore che rende svantaggioso prendere in ostaggio cittadini americani”.
Ma sono cose che si dovrebbero sapere anche senza bisogno del rapporto. Il mese scorso, alcuni terroristi, rilasciati solo due settimane prima da un carcere israeliano come “gesto di buona volontà”, hanno organizzato un attacco armato (fortunatamente sventato) contro una scuola religiosa a Kfar Etzion. E non era che l’ultima conferma in ordine di tempo del fatto che mal concepite scarcerazioni non solo rappresentano un affronto alle famiglie delle vittime e ai membri delle forze di sicurezza che ogni giorno rischiano la vita per arrestare pericolosi terroristi armati, ma anche del fatto che questi detenuti, una volta rimessi in circolazione, pongono una grave minaccia per tutti gli altri israeliani. (Uno dei due terroristi dell’attentato di lunedì a Dimona era stato scarcerato da Israele nel 2005)
Lo stesso fondatore di Hamas, Ahmed Yassin, venne scarcerato la prima volta nel quadro del controverso “scambio Jibril” del 1985 (1.150 detenuti implicati nel terrorismo in cambio di tre soldati rapiti). Quello scambio spalancò le porte a un diluvio di violenze che ancora oggi investe Israele: più di un terzo di tutti gli ex-detenuti dell’accordo Jibril tornarono entro un anno alla piena attività terroristica, tanto che alla fine lo stesso Jibril si vantò, a ragione, che il suo accordo aveva gettato i semi della prima intifada (1987).
Siamo tutti perfettamente consapevoli della terribile sofferenza dei familiari di Schalit, riconosciamo pienamente la responsabilità del paese di sentire come propria quella sofferenza, e sosteniamo la tradizione israeliana di attribuire altissimo valore al ritorno a casa di ciascun soldato caduto nelle mani del nemico. Ma gli israeliani sanno fin troppo bene che il prezzo di accordi avventati per lo scambio di prigionieri è la perdita della vita di molte altri cittadini, ulteriori sequestri di persona e ulteriori sofferenze.

(Da: Jerusalem Post, 6.02.08)

Nella foto in alto: Il fondatore di Hamas Ahmed Yassin, fotografato accanto a un’esplicita immagine delle rivendicazioni territoriali palestinesi: lo stato di Israele è cancellato