Affermazione del grande centro pragmatico

Gli elettori hanno premiato i volti nuovi e le promesse di riforma politica e sociale.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3646Titoli di prima pagina sui principali giornali israeliani di mercoledì.
Yedioth Ahronoth: “Israele voleva il cambiamento: un colpo a Netanyahu, una spinta a Lapid”.
Ma’ariv: “Destra indebolita, un colpo a Netanyahu, grande vincitore Yair Lapid”.
Ha’aretz: “Sensazionale successo di Yair Lapid, delusione nel Likud”.
Israel Hayom: “La sorpresa Lapid, la delusione del Likud”.

Scrive Sever Plocker, su YnetNews: «La protesa ha vinto. La classe media, nell’accezione più ampia, ha parlato. I nuovi israeliani hanno detto: ne abbiamo abbastanza del regime di Netanyahu. Vogliamo facce nuove nello specchio della politica. Vogliamo Lapid, Bennett, anche Yachimovich, ma non Bibi. Ha vinto un diverso genere di politica. I voti sono stati contati e la sorpresa è grande. Netanyahu, come avevo previsto, ha sbagliato ad anticipare le elezioni. Sono errori che si pagano: per la autenticità della politica e per il futuro dei nostri figli. I partiti giovani e innovativi sono andati avanti. Il Likud, un partito stanco con un leader distaccato, è stato sconfitto. Netanyahu, che ha guidato per la seconda volta il suo partito al crollo elettorale, dovrebbe andarsene a casa».
(Da: YnetNews, 23.1.13)

Scrive Moran Azulay, su YnetNews: «Dopo i risultati di queste elezioni eccezionali, sembra che tutti parlino soltanto di “più equa condivisione degli oneri e dei doveri”, la parola d’ordine di Yesh Atid (C’è futuro). Può ben darsi che il primo ministro Benjamin Netanyahu venga incaricato di formare il nuovo governo, ma il sorprendente successo del nuovo arrivato Yair Lapid è destinato a complicare parecchio le cose al veterano della politica. È il leader di Yesh Atid che è riuscito a imporre l’agenda al nuovo governo: la richiesta di una più equa ripartizione degli oneri e dei doveri fra i cittadini».
(Da: YnetNews, 23.1.13)

Scrive Sima Kadmon, su Yediot Aharonot: «Se Netanyahu non si fosse salvato unendo il Likud a Israel Beitenu, oggi assisteremmo all’estromissione di un primo ministro come non si era più vista da quando Netanyahu venne mandato a casa nel 1999. Nella migliore delle ipotesi, esce dalle elezioni come un primo ministro debole, la cui coalizione dipenderà dalla buona volontà del grande vincitore di queste elezioni: Yair Lapid. E con un Likud svigorito e rimpicciolito che ha perso il 25% della sua forza».
(Da: Yediot Aharonot, 23.1.13)

Scrive Amnon Lord, su Ma’ariv: «Il vecchio slogan dell’opposizione “mai al governo con Bibi” ha funzionato al contrario: chiunque in campagna elettorale abbia trasmesso all’elettorato la disponibilità ad andare al governo con Netanyahu – per correggerlo, naturalmente – ha guadagnato voti». L’editorialista afferma che «Lapid e Bennett sono i soci naturali di Netanyahu» e si domanda se un governo Likud Beitenu-Yesh Atid-Casa Ebraica possa essere stabile. «Nella scelta tra un ampio governo di centro-destra e un governo alternativo ristretto alla destra più gli ultra-ortodossi, a quanto pare il messaggio dell’elettorato è chiaro: preferisce un governo di centro-destra».
(Da: Ma’ariv, 23.1.13)

Scrive Dan Margalit, su Yisrael Hayom: «Il Likud ha sbagliato per tutta la campagna elettorale, sin dal momento in cui si è unito a Israel Beitenu. Ma è ancora in testa rispetto ai suoi rivali con un ampio margine e questa è la sua ultima opportunità. È ciò che voleva l’elettorato responsabile: un governo che possa funzionare, pur infliggendo una punizione al partito di governo e riducendo al contempo l’influenza degli ultra-ortodossi. Un governo il cui asse principale sia Likud-Beitenu, Yesh Atid e Casa Ebraica potrebbe dare nuova linfa al pubblico, con l’obiettivo di affrontare i problemi socio-economici e le questioni diplomatiche, attenuando anche in qualche misura le critiche internazionali. Potrebbe anche incoraggiare gli inevitabili processi di integrazione della comunità ultra-ortodossa nel mercato del lavoro e nella difesa di Israele».
(Da: Yisrael Hayom, 23.1.13)

L’editoriale del Jerusalem Post si rallegra per il processo democratico israeliano e sottolinea che «sebbene la democrazia israeliana, come altre democrazie compresi gli Stati Uniti, sia ben lungi dall’essere perfetta, essa mostra comunque una straordinaria capacità di ripresa e di crescita anche in situazioni di conflitto. Certo, resta molto lavoro da fare per salvaguardare i diritti delle minoranze e l’eguaglianza di genere, e per trovare un giusto equilibrio fra libertà civili ed esigenze della sicurezza. La stessa sensibilità che caratterizzò gli ebrei americani negli anni ’60, mobilitati a favore del movimento per i diritti civili di Martin Luther King, continua a vivere oggi nel cuore e nella mente dei cittadini dello stato ebraico».
(Da: Jerusalem Post, 23.1.13)

L’editoriale di Ha’aretz afferma che l’elettorato «ha espresso sfiducia nel primo ministro Netanyahu. Il suo è un fallimento di leadership che continuerà a gettare un’ombra su tutti noi se permarrà al potere. Le elezioni per la Knesset non si sono concluse con una decisione chiara, ma sta emergendo un’indicazione di direzione per il futuro, prima delle prossime elezioni. Ed essa mostra che Netanyahu è un uomo del passato».
(Da: Ha’aretz, 23.1.13)

Nahum Barnea, su Yedioth Ahronoth, definisce il risultato elettorale «la madre di tutti gli insuccessi» per Netanyahu. Le vere vincitrici delle elezioni, secondo l’editorialista, «sono state le proteste di piazza dell’estate 2011 per una maggiore giustizia sociale, che hanno saputo aspettare il loro momento attendendo la scadenza elettorale, e poi hanno votato in massa per il cambiamento con Lapid, i laburisti, il Meretz e Casa Ebraica».
(Da: Yedioth Ahronoth, 23.1.13)

Scrive Ben Hartman, sul Jerusalem Post: «In una tradizionale roccaforte del Likud come il quartiere popolare Hatikvah di Tel Aviv sud bastava parlare con la gente per sentirsi dire che intendeva votare per Yair Lapid di Yesh Atid, o per Naftali Bennett di Casa Ebraica , o magari per Shas o addirittura per i laburisti. Il Likud veniva citato solo dopo, con un tono di disprezzo verso Benjamin Netanyahu da parte di persone che, come i loro genitori, ha sempre votato Likud. Ne parlavano come di un uomo che ha avuto la sua possibilità di migliorare le cose, ma ha fatto poco. Solo sulla sua gestione della sicurezza si sentivano pareri positivi. Anche l’ipotesi che battere sulla questione degli immigrati clandestini africani portasse voti alla destra è stata fatta a pezzi. Per quanto il ministro degli interni Eli Yishai, dello Shas, abbia parlato senza mezzi termini della “minaccia dei clandestini”, il suo partito ha guadagnato un solo seggio rispetto al 2009. E il partito di estrema destra “Otzma Israel” (Forza Israele) che aveva fatto della questione clandestini il tema centrale della sua campagna guidano proteste popolari contro gli immigrati nella Tel Aviv meridionale, si è ritrovato escluso dalla Knesset, nonostante i sondaggi che lo davano sopra al quorum del 2%. E tutti sappiamo, ormai, come è andata al Likud, un altro partito che si era vantato dei suoi successi nella lotta ai clandestini. L’opinione corrente secondo cui l’elettorato israeliano si stava massicciamente spostando a destra è stata smentita dai risultati. Il martedì delle elezioni, a Tel Aviv sud, a pochi minuti di strada dalle sedi dei principali mass-media, bastava parlare con la gente per rendersi conto di quello che stava accadendo».
(Da: Jerusalem Post, 23.1.13)

Scrive Amotz Asa-El, sul Jerusalem Post: «Netanyahu, tecnicamente il vincitore delle elezioni, è in realtà il grande sconfitto. Certo, ci sono altri sconfitti. Shaul Mofaz, che fino a pochi mesi fa aspirava alla carica di primo ministro e ora è ufficialmente un superato. Tzipi Livni, che ha tentato la fortuna e si è rivelata politicamente perdente. Anche l’incapacità dei laburisti di tornare ad affermarsi come secondo partito è un fallimento. E, su scala minore, ha fallito Arye Deri nel suo tentativo di far guadagnare allo Shas più seggi del suo rivale interno Eli Yishai. Tuttavia, tutte queste sconfitte impallidiscono rispetto a Netanyahu, che ha perso un quarto dei voti che aveva nella scorsa Knesset la lista del Likud sommata a quella del suo alleato, l’Israel Beitenu di Avigdor Liberman. La causa di questo esodo è chiara. Netanyahu ha ignorato il centro. Dopo il suo famoso discorso del 2009 a sostegno della soluzione a due stati, non ha fatto che cercare di ingraziarsi il fianco destro, trascurando il grande centro dell’opinione pubblica israeliana: dava per scontato, a ragione, che Kadima fosse un fenomeno passeggero; ma dava anche per scontato, sbagliando, che gli elettori di Kadima gli sarebbero caduti in grembo. Intanto non si prendeva la briga di dialogare intellettualmente con i suoi soci cosiddetti “naturali” per esaminare cosa avessero davvero in mente. L’avesse fatto, avrebbe capito di avere molto meno in comune con Moshe Feiglin, della destra del Likud, e Orit Struck di Casa Ebraica, che non con Yair Lapid e rav Shai Piron di Yesh Atid. Ora Kadima è defunto, ma il suo messaggio – che la massa critica degli israeliani vuole pragmatismo su tutti i fronti – è vivo e vegeto.
(Da: Jerusalem Post, 23.1.13)

Nel fotomontaggio in alto: Yair Lapid, leader di Yesh Atid (C’è futuro), e il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu (Likud)