Agenda 2016 per il Medio Oriente

Un promemoria per gli Stati Uniti, che sarebbe utile considerare con attenzione anche in Europa

Di Eric R. Mandel

Eric R. Mandel, autore di questo articolo

Eric R. Mandel, autore di questo articolo

Sono appena tornato da due giorni di incontri al Congresso americano con senatori, deputati ed esperti di politica estera.

Beh, è più facile trovare un israeliano a passeggio in Arabia Saudita che qualcuno al Congresso disposto a difendere con vigore la strategia dell’attuale presidente Usa in Medio Oriente. Il vuoto creato dagli affrettati ritiri americani ha lasciato la regione nel caos. Cinque i principali motivi che vengono addotti per spiegare la perdita di fiducia presso coloro che contavano sugli Stati Uniti per la stabilità nella regione.

1 – L’abbandono da parte di Washington del popolo iraniano durante la “rivoluzione verde” del 2009, che era potenzialmente una vera “primavera persiana”, a differenza del miraggio delle primavere arabe.

2 – L’abbandono del presidente egiziano Hosni Mubarak, alleato degli americani, e il sostegno al presidente della Fratellanza Musulmana, visto come un legittimo movimento democratico. L’amministrazione Usa non ha saputo vedere la differenza fra una elezione e una vera democrazia, né rendersi conto che è dalla Fratellanza Musulmana che sono germinati Hamas e il capo di al-Qaeda.

3 – L’aver pubblicamente snobbato Israele nel 2009, creando uno iato tra Gerusalemme e Washington che ha inviato agli altri alleati dell’America nella regione il chiaro messaggio che gli Stati Uniti potrebbero abbandonare anche loro.

4 – La rinuncia da parte dell’amministrazione Usa delle sue stesse linee rosse sull’uso delle armi chimiche in Siria, facendo intendere ai nemici dell’America che quelle formulate da Washington sono minacce vuote.

5 – L’abdicazione dall’impegno del presidente per la cacciata del presidente siriano Bashar Assad, cosa che ha fatto apparire l’America irresoluta. Come ha fatto notare Anshel Pfeffer su Ha’aretz: quattro anni fa il presidente Barack Obama ha proclamato “Assad se ne deve andare”; in dicembre il Segretario di stato John Kerry ha dichiarato: “Gli Stati Uniti non perseguono un cambiamento di regime”; la scorsa settimana il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha affermato: “La nostra posizione non è cambiata”.

Il Medio Oriente

Quali sono dunque le cose da fare e non fare nel 2016 in Medio Oriente?

Circa lo “Stato Islamico” (ISIS)

Benché il terrorismo e la ferocia di alto profilo dell’ISIS possano costituire la minaccia più immediata, a lungo termine il pericolo numero uno resta l’appetito iraniano di egemonia e armi nucleari, seguito da vicino dalla inevitabile ricerca di armi nucleari da parte di altri attori nella regione in risposta all’aggressività dell’Iran.

L’America deve rendersi conto che, quand’anche l’ISIS venisse militarmente sconfitto, ciò non significherebbe la fine dell’islamismo estremista sunnita. La mentalità islamista militante anti-occidentale permea gran parte del mondo sunnita, e sopravvivrà alla sconfitta in parecchie battaglie.

L’America deve fare pressione sugli stati del Golfo sunniti, su Giordania ed Egitto per guidarli alla creazione di un vero esercito di coalizione arabo sunnita dotato letteralmente decine di migliaia di truppe pronte a combattere l’ISIS.

Ma non si pensi che un esercito arabo sunnita da solo possa effettivamente debellare l’ISIS. Ciò sarà possibile solo sotto la leadership americana, e con tanto di truppe americane.

Creare la no-fly zone attesa già troppo a lungo, e un territorio-rifugio sicuro in Siria per arginare la marea di profughi che lasciano il paese.

Ricordare le parole dell’ambasciatore Dennis Ross: “Le priorità dei capi arabi ruotano attorno alla loro sicurezza e sopravvivenza. Per loro, la stabilità interna viene prima d’ogni altra cosa”.

Non dimenticare che la maggior parte dei nostri alleati sunniti sono alleati per interessi condivisi, e non per valori condivisi. Complessivamente sono anche loro misogini, omofobi, antisemiti e illiberali.

Nuove forze geopolitiche in Medio Oriente

Nuove forze geopolitiche in Medio Oriente

Circa la Siria

Non legittimare né concedere poteri ad Assad: servirebbe solo a dare potere all’Iran, a Hezbollah e ai russi. Che non sono amici dell’America. Bisogna erodere, nell’ordine: l’ISIS e Assad.

Non cercare di ricreare uno stato siriano lungo le linee delle intese Skyes-Picot di un secolo fa. Non si può e non si deve rimettere insieme le uova una volta fatta la frittata.

Circa l’Iran

Non lasciarsi ingannare pensando che le aspirazioni nucleari iraniane siano state sedate dall’accordo con Teheran del luglio scorso.

Nel 2016 l’America deve infliggere contraccolpi all’Iran ogni volta che Teheran violerà le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, come ha già fatto con i test missilistici illegali degli scorsi ottobre e dicembre.

Il presidente ha promesso che l’accordo nucleare con Teheran non avrebbe cancellato l’impegno a sanzionare le violazioni dei diritti umani iraniani e il sostegno iraniano al terrorismo: mantenere la parola.

Circa Israele e palestinesi

E’ ora di smetterla di blandire il presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e cominciare a criticare pubblicamente l’Autorità Palestinese per la sua evidente opera di istigazione all’odio antisemita, la sua corruzione e il fatto che non fa nulla per preparare il popolo palestinese al compromesso e all’accettazione di uno stato ebraico.

L’America deve tornare alla posizione che vede in Israele il suo principale alleato nella regione.

Ricordare che anche gli avversari dell’America rispetteranno gli Stati Uniti per essersi rifiutati di abbandonare gli alleati.

Nel 2016, è ora di capire che la strada per andare avanti deve includere la legittimazione delle attività edilizie israeliane all’interno dei blocchi di insediamenti già esistenti, contemplati in tutti gli scambi di territorio sostenuti da parte americana.

Non pensare che la priorità del mondo arabo siano i palestinesi: non lo sono.

In ogni caso, non interrompere tutti i finanziamenti all’Autorità Palestinese giacché potrebbe subentrarle un Hamastan o anche peggio. Gli esperti di sicurezza israeliani raccomandano di proseguire i finanziamenti.

Non dare ascolto a Jeremy Ben Ami, leader di J Street, e quelli come lui che vorrebbero che il presidente Usa facesse approvare al Consiglio di Sicurezza una soluzione da “imporre” alle parti.

Due le minacce terroristiche che non devono essere dimenticate nel 2016

La volontà dei terroristi di procurarsi materiali nucleari e radioattivi e la minaccia di una EMP (Electromagnetic Pulse, scarica elettromagnetica), di origine nucleare o non nucleare, che potrebbe mandare in tilt le nostre reti elettroniche.

Circa l’etichettatura UE delle merci prodotte al di là della Linea Verde

Non cadere nella trappola di credere che etichettare le merci prodotte da ebrei al di là della ex linea armistiziale non sia un boicottaggio. Certo che si tratta di un boicottaggio, e che inesorabilmente porterà in futuro al boicottaggio delle merci israeliane tout-court.

Tradurre la pressione del Congresso sull’Unione Europea in conseguenze tangibili per il suo boicottaggio delle merci israeliane da oltre la ex linea armistiziale. Un buon inizio è la Risoluzione bipartisan dei congressisti Nita Lowey (D), Peter Roskam (R), Eliot Engel (D), Ed Royce (R) che denuncia le linee guida della Commissione Europea in materia di etichettatura discriminatoria dei prodotti israeliani in Cisgiordania, Golan e Gerusalemme est come controproducente per il processo di pace, dannosa per gli interessi di sicurezza nazionale e favorevole alla campagna BDS anti-israeliana.

Circa la comunità internazionale

L’Onu è diventata un’organizzazione anti-americana, con una maggioranza di dittature non-democratiche da quattro soldi che operano attivamente contro gli interessi americani in politica estera. Bisogna abbandonare l’idea che un voto delle Nazioni Unite sia ciò che dà il timbro del consenso del mondo civile a decisioni sulla sicurezza che mettono in gioco la nostra sicurezza, le nostre risorse e i nostri soldati.

Non finanziare l’Unesco, la cui missione umanitaria è stata definitivamente compromessa dalla sua agenda politicizzata anti-israeliana.

L’America deve capire quali sedicenti Ong e organizzazioni per i diritti umani sono in realtà strumenti al servizio di agende anti-americane.

L’America deve finalmente capire che è del tutto controproducente continuare a definire “profughi” i discendenti degli originari profughi palestinesi, come prevede lo statuto dell’Unrwa a differenza di quanto si fa per ogni altra comunità di profughi al mondo. E’ una cosa che deve finire. L’America ha gli strumenti per correggere tale distorsione, visto che è il finanziatore numero uno dell’Unrwa.

(Da: Jerusalem Post, 29.12.15)