Agenda Lapid

Com’è che la nuova star della politica israeliana sarà l’elemento chiave della futura coalizione di governo.

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3647Scrive Gilad Sharon, su Ma’ariv: «Questa settimana Benjamin Netanyahu (Likud) e Shaul Mofaz (Kadima) hanno pagato il prezzo per aver demolito la loro unità di governo sull’incapacità, la scorsa estate, di arrivare a un accordo sulla questione della legge per la leva obbligatoria per tutti, cioè anche per gli ultra-ortodossi. Netanyahu era troppo determinato a conservare i suoi soci “naturali” ultra-ortodossi, e Mofaz ha voluto dipingere Netanyahu come uno che capitolava di fronte agli ultra-ortodossi in vista delle elezioni. Il risultato è stato che la questione è stata rimessa all’elettorato, per la gioia di Yair Lapid, che ne ha raccolto i frutti alle urne. Fortunatamente per Netanyahu, Lapid si sta dimostrando un partner più incline al compromesso di quanto fosse il suo compianto padre (Tommy Lapid, che si affermò con 15 seggi alle elezioni del 2003 col partito laico Shinui)». L’editoriale esorta gli ultra-ortodossi, e in particolare lo Shas, a venire incontro a Lapid junior.
(Da: Ma’areiv, 24.1.13)

Matti Shmuelov, su Yisrael Hayom, esamina il ruolo che hanno giocato i nuovi mass-media nella campagna elettorale, e scrive: «Il leader di Yesh Atid, Yair Lapid, ha usato Facebook come piattaforma per un libero dialogo con gli elettori, anche se non sempre rispondeva alle domande più difficili. Lapid, come altri leader del mondo, ha capito il potere che c’è nella rete e ha regolato di conseguenza la sua corsa. Lapid ha saputo trasferire le sue qualità di star della comunicazione dai vecchi ai nuovi mass-media, fino a Facebook. L’alternativa rappresentata da Yesh Atid (C’è futuro) è iniziata dalla bacheca Facebook di Yair Lapid».
(Da: Yisrael Hayom, 24.1.13)

Scrive l’editoriale di Ha’aretz: «Yesh Atid sarà il secondo maggior partito nella 19esima Knesset e il suo leader, Yair Lapid, giocherà un ruolo chiave nella formazione del nuovo governo. In assenza dei moderati del Likud, dopo che sono stati messi ai margini della lista elettorale presentata dal partito, Lapid è chiamato a rappresentare la voce liberale di Israele. Come ha detto lui stesso, sulle sue spalle ricade una pesante responsabilità. Non la deve dilapidare in cambio di qualche poltrona o di vuote promesse».
(Da: Ha’aretz, 24.1.13)

Scrive Gilad Sharon, su Yediot Aharonot: «Ora, per la terza volta, Netanyahu può scegliere il bene. Può reclutare nella coalizione Lapid (Yesh Atid) e Bennett (Casa Ebraica), insieme ad altri partiti che accettino di scegliere il bene. Che cos’è il bene? Il bene è sostituire con un sistema normale il nostro sistema istituzionale malato, che favorisce i ricatti delle piccole fazioni e l’inefficienza del governo. Il bene è che tutti, in un modo o nell’altro, prestino servizio a protezione del paese senza che intere comunità, con migliaia e migliaia di giovani, ne siano esonerate mentre gli altri reggono tutto il peso della difesa. Il bene è che il bilancio dello stato venga ripartito in modo giusto ed efficiente, sì da incoraggiare creatività e produttività, e non ozio e inerzia».
(Da: Yediot Aharonot, 24.1.13)

L’editoriale del Jerusalem Post passa in rassegna le ultime elezioni israeliane, e scrive: «Da noi succede a ogni tornata elettorale: quasi senza eccezione, una nuova star della politica, molto moderna leggera e trendy, prende a brillare nel firmamento parlamentare. Poi resta da vedere come questa entità sconosciuta si comporta sulla scena reale. La tendenza a votare per formazioni inedite e per cause perse sta alla radice dell’anomalia che complica il processo di costruzione delle nuove coalizioni, rafforzando scambi e ricatti fra partiti marginali, con il bel risultato che il grosso dei cittadini si ritrova esattamente con ciò che non voleva, e contro cui aveva votato. È uno schema ben noto, che questa volta si profila peggiore del solito». Secondo l’editoriale, «la soluzione auspicabile sarebbe la più ampia coalizione possibile, quella in cui nessun partito possa tenere in ostaggio il governo. In altre parole, ci piacerebbe vedere qualcosa che si avvicini a ciò che viene comunemente definito un governo di unità nazionale. Ma è più facile a dirsi che a farsi. Sarebbe necessario che tutti i potenziali alleati di governo abbassassero le aspettative e le pretese in fatto di dicasteri, prestigio e politiche. Tuttavia, alla luce delle inclinazioni politiche del passato, questa sembra essere una speranza troppo ottimistica. Purtroppo è assai probabile che dovremo assistere alla consueta zuffa, fino a quando non verrà varato il nuovo governo».
(Da: Jerusalem Post, 24.1.13)

Scrive Ophir Falk, su YnetNews: «Ci sono mille interpretazioni delle sorprendenti elezioni in Israele. Ma una cosa, forse trascurata, appare chiara: gli accordi di Oslo hanno perso ogni rilevanza. Più di trenta partiti hanno partecipato alla campagna elettorale, e non uno di loro che abbia osato collegare gli accordi di Oslo alla propria piattaforma politica. Oslo, per gli israeliani, è tornata ad essere una semplice parola di quattro lettere. La leadership in Israele non è cambiata, ma le grandi questioni sul tappeto sì. Dopo vent’anni di discussioni interminabili, di concessioni e ritiri insensati, di deliranti rivendicazioni palestinesi, gli israeliani hanno capito che un accordo di pace praticabile non è raggiungibile nel prevedibile futuro. E così l’agenda nazionale deve cambiare. Netanyahu, Lapid e Bennett possono portare questo cambiamento. HaTnuah, l’unico partito che ha davvero sfidato Netanyahu sulla politica estera, ha finito col prendere meno del 5% dei voti. L’ex ministro degli esteri Tzipi Livni, che un tempo guidava un partito con 28 seggi, si ritrova ora a capo di un gruppetto di sei parlamentari. La caratteristica chiave degli israeliani è che odiano essere fatti fessi, e le elezioni hanno enfatizzato questa idiosincrasia. Hanno esitato a lungo davanti a un processo politico che portava Israele a fare concessioni in cambio di terrorismo palestinese. Ma ora quei giorni sono finiti.
(Da: YnetNews, 24.1.13)

Nella foto in alto: Yair Lapid, davanti a un suo poster elettorale