Ahmadinejad ad Annapolis

Occorre un ombrello NATO per dissuadere il pazzo di Tehran e gli altri nemici di Israele

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_1870Le dichiarazioni del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad circa un referendum da indire fra i musulmani di tutto il mondo per decidere la deportazione degli ebrei d’Israele in Europa, in America o in Alaska non fanno che confermare il fatto che abbiamo a che fare con uno psicopatico, scaltro ma pur sempre pazzo.
Dunque il problema è questo: il mondo – e specialmente il mondo ebraico – ha già fatto esperienza di psicopatici dotati di forza militare; abbiamo già visto le loro allucinazioni trasformate in realtà. L’Iran è una superpotenza regionale e la paura che sia presto in grado di dotarsi di armi nucleari non è paranoia. Hitler parlava di “annientare il popolo ebraico”, Ahmadinejad si accontenta di “cancellare Israele dalla mappa geografica”. In entrambi i casi la minaccia si accompagna a una campagna senza eguali di odio e istigazione.
In effetti, era dai tempi della furibonda propaganda anti-ebraica nazista che il mondo non assisteva a una tale campagna organizzata di odio isterico e ossessivo come quello che imperversa attualmente nelle capitali del mondo arabo e islamico.
Che fare, dunque? Per molti, lunghi anni noi israeliani abbiamo considerato la nostra sicurezza nazionale come direttamente legata alla capacità di prevalere contro gli eserciti dei paesi arabi su campi di battaglia convenzionali. Il fatto che siamo riusciti ad impedire un’altra invasione di eserciti arabi (dopo quella del 1948) e che siamo arrivati a firmare accordi di pace con Egitto e Giordania costituisce un risultato straordinario per una piccola isola coraggiosa quale è Israele.
Ora, però, vediamo che l’odio contro Israele assume nuove forme, slegate dal campo di battaglia tradizionale: lo sviluppo di missili a lungo raggio equipaggiati con armi di distruzione di massa, il bombardamento “convenzionale” da oltre confine di obiettivi civili all’interno di Israele, il terrorismo suicida. Tutte queste minacce si possono far risalire all’Iran, ma fra tutte la più terrificante è quella nucleare.
Di fronte a una minaccia nucleare, viene minata le nostra dottrina sulla sicurezza: perché, anche se Israele è in grado di scatenare una forte controffensiva, le sue minuscole dimensioni lo rendono estremamente vulnerabile nell’equilibrio del terrore, specialmente alla luce del fatto che il leader iraniano sembra disposto a incassare anche colpi molto gravi pur di riportare agli antichi fasti la corona musulmano-sciita e promuovere il ritorno dell’Imam Occulto.
Di più: quand’anche la nuclearizzazione dell’Iran venisse ritardata (da pressioni internazionali o da raid militari), ciò ostacolerebbe solo temporaneamente la corsa dell’Iran verso la bomba atomica.
Il Medio Oriente si trova di fronte al pericolo di una proliferazione nucleare, sia che i paesi musulmani la sviluppino per proprio conto (la Libia era assai più vicina alla nuclearizzazione di quanto non credessero i servizi di intelligence occidentali), sia che la ottengano per altra via. Prima o poi, paesi musulmani ricchi di petrodollari potranno acquistare armi nucleari direttamente o comprare il know-how necessario per costruirsele.
In un Medio Oriente nuclearizzato, il vantaggio d’Israele sul campo di battaglia tradizionale scomparirà e prevarrà il tallone d’Achille delle sue ridotte dimensioni. Per cui davvero, se un giorno vi sarà qualcuno con cui possiamo parlare e sul quale potremo fare affidamento, sarà imperativo concordare una denuclearizzazione di tutto il Medio Oriente, Israele compreso. Ciò che approntammo negli anni ’50 e ’60 in caso di “giorni brutti” rischia di diventare d’intralcio.
Ma finché non arriva quel giorno, Israele deve difendersi principalmente in due modi: il primo è investire il massimo sforzo nazionale nei sistemi anti-missilistici. Il ministro della difesa ha detto di recente che Israele sarebbe in grado di intercettare il 90% di tutti i missili lanciati contro di noi. È incoraggiante, ma dobbiamo fare uno supremo sforzo per arrivare a una percentuale ancora più alta. Secondo gli esperti si può fare. Il successo dipende soprattutto dall’ammontare delle risorse investite.
Il secondo modo è dissuadere il nemico dall’usare armi di distruzione di massa contro di noi. Questa deterrenza può essere ottenuta se Israele entra a far parte di un sistema difensivo più vasto, preferibilmente nel contesto della NATO. Servirebbe a mettere bene in chiaro con il mondo arabo-musulmano che Israele è difeso non solo dalle sue proprie forze, ma anche da quelle di alleati potenti.
Certo, questo non influenzerebbe Ahmadinejad. Ma è probabile che altri all’interno della dirigenza iraniana sarebbero portati a riflettere sui pericoli di uno scontro diretto con la NATO.
Ed è importante che questa richiesta venga avanzata prima di procedere con ulteriori concessioni e prima della conferenza internazionale di Annapolis (Usa). Le concessioni che ci chiedono di fare ai palestinesi non sono facili. Abbiamo già visto cosa è successo dopo il disimpegno dalla striscia di Gaza. Non abbiamo nessuna garanzia che un accordo di pace coi palestinesi sia in grado di impedire futuri bombardamenti sul centro di Israele esattamente come oggi vengono bombardate dai palestinesi Sderot e tutta la regione del Negev occidentale.
L’elemento d’equilibrio implica non solo un accordo – anche ad interim – coi palestinesi, quanto piuttosto la possibilità di collegare a tale accordo una richiesta ferma ed inequivocabile da avanzare agli Stati Uniti e all’Europa. L’accordo deve essere accompagnato da un’intesa strategica sulla sicurezza nel contesto della NATO. Per ottenerla, non dobbiamo escludere a priori una parallela adesione palestinese. Dopotutto, l’adesione di Israele da solo non ha possibilità di successo a meno che non sia accompagnata dall’adesione anche di un paese arabo.
Ahmadinejad non sarà fisicamente presente ad Annapolis, ma le sue minacce incomberanno sul tavolo della conferenza. La risposta a queste minacce è includere i palestinesi nel contesto di una sistema difensivo di alleanze, che ridurrebbe al minimo i rischi che corre Israele per la sua stessa esistenza: rischi al cospetto dei quali tutte le altre minacce, che pure esistono, appaiono assai meno gravi.

(Da: Jerusalem Post, 17.10.07)

Il nucleare necessario

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Cosa vuole Ahmadinejad?

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