“Ai miei compagni pacifisti dico: su Trump e Gerusalemme vi sbagliate”

Veto Usa al Consiglio di Sicurezza. Ambasciatrice Haley: “La risoluzione di un anno fa fece proprio ciò che Trump non ha fatto su Gerusalemme: pregiudicò questioni che andavano lasciate al negoziato fra le parti”

Di Eric H. Yoffie e al.

Eric H. Yoffie, autore di questo articolo

La dichiarazione del presidente Trump su Gerusalemme è positiva per il campo della pace. Il centro e la maggior parte della sinistra in Israele lo hanno capito, i pacifisti e la sinistra in America e in Occidente, no. Inizialmente anche la mia reazione era stata contraria. In quanto sostenitore della pace e di una soluzione a due stati, e oppositore di Trump, ho reagito in automatico con la stessa reazione negativa e sprezzante con cui accolgo praticamente tutto ciò che fa e dice l’attuale presidente americano. Ma non è durata a lungo, per una serie di buone ragioni.

Innanzitutto so che Gerusalemme è e resterà la capitale di Israele, che lo dichiari o meno il presidente degli Stati Uniti. E comunque è confortante sentire che il presidente americano afferma finalmente una cosa che so essere semplicemente vera. Quando i palestinesi esprimono indignazione e invocano giustizia per Gerusalemme, non posso fare a meno di domandarmi: dov’era la giustizia quando Yasser Arafat e Abu Mazen sostenevano apertamente all’Onu e in tante altre sedi che gli ebrei non hanno alcun legame storico con il Muro Occidentale, con il Monte del Tempio, con tutta la città di Gerusalemme? Non erano, quelle, affermazioni oltraggiose e insultanti? La scorsa settimana a Istanbul Abu Mazen ha ripetuto questi concetti ignobili e insensati alla riunione dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Ha ribadito che i luoghi santi di Gerusalemme appartengono solo a musulmani e cristiani. Quanta simpatia pensano di suscitare con questo genere di insolenze?

Poi ho visto che, in Israele, non solo Netanyahu e la destra hanno sostenuto la dichiarazione di Trump. Tutti i leader del centro e del centrosinistra hanno applaudito le sue parole: dal capo dell’opposizione nella  Knesset, Isaac Herzog, al presidente di Yesh Atid, Yair Lapid, al presidente dei laburisti di Unione Sionista, Avi Gabbay, all’ex ministra degli esteri Tzipi Livni. Tutte voci a cui presto attenzione, tutte voci critiche verso Netanyahu e il governo di destra attualmente in carica. Tutte personalità che sostengono uno stato d’Israele ebraico e democratico garantito da una soluzione a due stati. Tutte personalità che invocano negoziati immediati con i palestinesi. L’unanimità dei loro sentimenti dimostra che proclamare Gerusalemme capitale di Israele non è un favore che si fa a Netanyahu e alla destra. Riflette piuttosto un amplissimo consenso in Israele sul fatto che certe realtà storiche devono essere riconosciute se si vuole il dialogo e la pace, e sul fatto che i palestinesi intransigenti non hanno diritto di volersene sbarazzare.

New York, 18 dicembre. Tutti i membri del Consiglio di Sicurezza, tranne gli Stati Uniti, alzano la mano per votare a favore della bozza di risoluzione contro la decisione del presidente Usa Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele

Ho letto, e riletto e riletto ancora la dichiarazione di Trump. Non mi è facile ammetterlo, ma devo dire che è un discorso ben fatto. Non è perfetto, certo. Ma è moderato, ragionevole e generalmente corretto. Ed è molto meglio di quanto temessi o mi aspettassi. Chi lo considera un regalo ai coloni o ai fanatici dell’estrema destra israeliana farebbe bene a rileggerlo attentamente. Trump non parla di un’unica “Gerusalemme unita” capitale dello stato ebraico e solo dello stato ebraico, né di una sovranità esclusivamente ebraica. Al contrario, afferma chiaramente che tutte queste cose devono essere stabilite nei negoziati diretti tra palestinesi e israeliani. Certo, Trump ha detto che qualsiasi futuro accordo di pace vedrà Israele mantenere la sua capitale almeno in una parte di Gerusalemme. Ma non ha detto nulla che possa impedire ai negoziati di dare vita a uno stato palestinese che abbia anch’esso la sua capitale in una parte della città.

Non basta. Il presidente americano non trasferisce l’ambasciata americana a Gerusalemme: né ora, né in uno specifico momento a venire. Ha detto che la cosa accadrà in una data futura del tutto indeterminata. Sarebbe stato diverso se Trump avesse trasferito immediatamente l’ambasciata, cosa che tecnicamente poteva fare benissimo (gli Usa hanno già due sedi consolari a Gerusalemme). Ma ha scelto di non farlo, lasciando aperta la porta a quei colloqui che le due parti, per ora, non sembrano entusiaste di avviare.

In breve, Israele ha ottenuto dagli Stati Uniti il riconoscimento che la sua capitale è a Gerusalemme. I palestinesi hanno sentito che gli Stati Uniti non prendono posizione sul modello futuro della città né sui confini della sua sovranità, ribadendo che queste questioni devono essere stabilite congiuntamente dalle due parti attraverso negoziati diretti. La grande domanda, per tutti, è se Trump abbia o meno una strategia per ciò che accadrà d’ora in avanti. Al momento non è affatto chiaro. Parla sempre di un grande accordo definitivo, ma per ora se ne sa ben poco. Comunque, quel che è giuro è giusto. Sulla questione di Gerusalemme ha adottato un approccio generalmente responsabile, e bisogna dargliene atto.

(Da: Ha’aretz, 18.12.17)

L’accademico saudita Abdulhameed Hakeem, capo del Middle East Center for Strategic and Legal Studies di Jedda, ha appoggiato il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele da parte del presidente Donald Trump e ha esortato gli arabi a riconoscere la santità della città per gli ebrei. Parlando sabato all’emittente televisiva al-Hurra, che ha sede negli Stati Uniti, Abdulhameed Hakeem ha affermato che la mossa di Trump costituisce uno “shock positivo” per il processo di pace. E ha aggiunto: “Noi arabi dobbiamo arrivare a comprendere l’altra parte, e a conoscere le sue rivendicazioni, affinché gli sforzi negoziali di pace non siano inutili e possano avere successo. Dobbiamo riconoscere e capire che per gli ebrei Gerusalemme è un simbolo religioso sacro come sono la Mecca e Medina per i musulmani”. In un articolo dello scorso marzo per il Washington Institute for Near East Policy, Hakeem aveva sottolineato che Israele e Arabia Saudita affrontano una comune minaccia di stampo nazista da parte dell’Iran, e aveva affermato che “la mentalità araba deve liberarsi dal retaggio dell’ex presidente egiziano Gamal Abdul-Nasser e da quello delle due sette (islamiche) sunnita e sciita, che per interessi politici hanno instillato la cultura dell’odio contro gli ebrei e la negazione dei loro diritti storici nella regione”. Il sito web al-Araby al-Jadeed, con sede a Londra, riferisce che i commenti di Hakeem hanno suscitato molte reazioni rabbiose sui social network arabi. (Da: Jerusalem Post, 18.12.17)
Si veda anche: L’intellettuale arabo che dice: Israele è legittimo e degno d’ammirazione

Gli Stati Uniti respingono la doppia morale delle Nazioni Unite secondo cui Washington non sarebbe imparziale quando decide dove collocare la propria ambasciata, mentre l’Onu sarebbe perfettamente neutrale quando condanna sempre e solo Israele. Lo ha detto lunedì l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley durante la riunione mensile del Consiglio di Sicurezza, chiamato a discutere di Medio Oriente su una bozza di risoluzione proposta dall’Egitto contro il riconoscimento americano di Gerusalemme come capitale d’Israele. La discussione cade a un anno dall’approvazione della risoluzione 2334 che condannava senza distinzioni ogni attività israeliana al di là della ex linea armistiziale del periodo ’49-’67. “Non userò il tempo del Consiglio per parlare di come un paese sovrano possa decidere di mettere la propria ambasciata, e del perché abbiamo tutto il diritto di farlo” ha detto Haley alla vigilia del voto, dedicando poi la maggior parte del suo intervento alla critica della risoluzione 2334, adottata il 23 dicembre 2016 grazie alla decisione dell’allora presidente uscente Barack Obama di non opporre il veto.

L’ambasciatrice Usa Nikki Haley vota al Consiglio di Sicurezza di lunedì

“Se avessimo la possibilità di votare di nuovo – ha detto Haley – posso affermare con assoluta certezza che gli Stati Uniti voterebbero no, esercitando il proprio diritto di veto”. Haley ha spiegato che la risoluzione 2334 definisce gli insediamenti israeliani un ostacolo alla pace quando “in realtà è la risoluzione 2334 che fu un ostacolo alla pace: il Consiglio di Sicurezza non fece che allontanare i negoziati fra israeliani e palestinesi ingerendosi ancora una volta tra le parti in conflitto. Addossando erroneamente agli insediamenti israeliani tutta la colpa per l’insuccesso degli sforzi di pace, la risoluzione esonerò da ogni responsabilità i leader palestinesi che da anni respingono le proposte di pace una dopo l’altra”. Di più. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ha detto Haley, ha “incoraggiato la dirigenza palestinese a sottrarsi anche ai negoziati futuri”. E lo ha fatto senza nemmeno menzionare la serie di fallimenti negoziali che non avevano nulla a che fare con la questione degli insediamenti.

Non è tutto, ha continuato Haley. Condannando tutte le attività israeliane in qualunque luogo al di là della ex linea armistiziale, comprese quelle nel quartiere ebraico della città vecchia di Gerusalemme, la risoluzione ha preso posizione su un tema che deve invece essere demandato al negoziato diretto tra le parti. Pretendere l’arresto di tutte le attività a Gerusalemme est, compreso il quartiere ebraico, “è qualcosa che nessuna persona o paese responsabile pretenderebbe mai da Israele. In questo modo – ha detto Haley – la risoluzione 2334 fece proprio ciò che la dichiarazione del presidente Trump su Gerusalemme non ha fatto: pregiudicò questioni che dovevano essere lasciate ai negoziati sullo status finale. Se c’è una cosa che ci insegna la storia delle Nazioni Unite negli sforzi di pace, è che i dibattiti a New York non possono sostituire i negoziati faccia a faccia tra la parti”. Haley ha concluso definendo la risoluzione di un anno fa, su cui si basava la bozza di risoluzione odierna, una “macchia sulla coscienza americana”.

Dal canto suo, l’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon ha attaccato la bozza di risoluzione odierna dicendo: “I membri del Consiglio di Sicurezza possono votare anche cento volte contro la nostra presenza a Gerusalemme, ma la storia non cambierà”. E ha aggiunto: “Proprio nei giorni in cui il popolo ebraico celebra la festa di Hanukkà che simboleggia l’antico ed eterno legame con Gerusalemme, c’è chi pensa di poter riscrivere la storia. Tutti i paesi hanno il diritto di stabilire la propria capitale, solo quando si tratta di Israele c’è chi pensa di poter mettere in dubbio la nostra scelta. È ora che tutti riconoscano che Gerusalemme è sempre stata e sarà sempre la capitale del popolo ebraico e la capitale di Israele”.
(Da: Jerusalem Post, Ha’aretz, Times of Israel, YnetNews, 18.12.17)

L’ambasciatore italiano Sebastiano Cardi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu

Lunedì sera gli Stati Uniti hanno opposto il veto alla bozza di risoluzione egiziana che, senza citare espressamente la dichiarazione di Trump, esprimeva “profondo rammarico per le recenti decisioni riguardanti lo status di Gerusalemme”, specificando che “tutte decisioni e le azioni che pretendono di alterare il carattere, lo status o la composizione demografica della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto legale, sono nulle e devono essere annullate in conformità alle pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza”, e chiedeva “a tutti gli stati di astenersi dall’istituire missioni diplomatiche nella Città Santa di Gerusalemme”.

Tutti gli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza hanno votato a favore, e cioè i membri permanenti Gran Bretagna, Francia, Cina, Russia più i membri a rotazione attuali: Bolivia, Egitto, Etiopia, Italia, Giappone, Kazakistan, Senegal, Svezia, Ucraina e Uruguay.

“Quello che abbiamo visto oggi, nel Consiglio di Sicurezza, è un insulto e non sarà dimenticato – ha detto l’ambasciatrice Usa Nikki Haley dopo il voto – Gli Stati Uniti non si fanno dettare da nessun paese dove possono mettere le loro ambasciate. Opponiamo il veto senza gioia, ma lo facciamo senza remore: il fatto che questo veto sia stato opposto a difesa della sovranità americana e a difesa del ruolo dell’America nel processo di pace in Medio Oriente non è per noi fonte di imbarazzo. Dovrebbe essere imbarazzante per il resto del Consiglio di Sicurezza”.
(Da: Jerusalem Post, Ha’aretz, Times of Israel, YnetNews, 18.12.17)