Alberi vivi ed ebrei morti

C’è più attenzione per le pene degli ebrei morti anni fa che per aggressioni e minacce a quelli vivi.

Da un articolo di M. Gerstenfeld

image_2921Il 23 agosto scorso è accaduto ad Amstardam un fatto a quanto pare di importanza mondiale: durante una tempesta è caduto il vecchio ippocastano che Anna Frank vedeva dal nascondiglio dove era confinata con la famiglia. Centinaia di mass-media in tutto il mondo, Israele compreso, hanno parlato dell’albero caduto e ne hanno mostrato le immagini. Ne sono stati addirittura prelevati dei germogli da piantare negli Stati Uniti, in Israele e in altri paesi affinché il vetusto albero possa continuare a vivere.
Sarah, una quindicenne ebrea di Amsterdam, ha la stessa età che aveva Anna Frank quando venne catturata e uccisa dai nazisti. Sarah non ha suscitato nessun particolare interesse a livello internazionale. Due mesi fa ha dichiarato al quotidiano Het Parool che non sarebbe più uscita di casa con al collo la sua Stella di David perché era stata picchiata da tre giovani poco più grandi di lei, che l’avevano individuata come ebrea.
La contrapposizione fra queste due vicende minori riassume in modo simbolico la situazione non solo in Olanda, ma in gran parte dell’Europa occidentale. Persiste un vivo interesse per le sofferenze patite dagli ebrei che oggi sono scomparsi, sino al punto di prendersi a cuore la sorte di un albero che è stato guardato da una delle più famose vittime della Shoà. Di gran lunga molto minore è l’interesse che viene suscitato dalle aggressioni e dalle minacce subite dagli ebrei che sono vivi oggi.
La storia di Anna Frank torna periodicamente alla ribalta ogni pochi anni, di solito per motivi non particolarmente importanti. Nel 2004 l’emittente cattolica olandese KRO chiese ai suoi ascoltatori di votare le personalità olandesi più importanti di tutti i tempi. Anna risultò al decimo posto. La cosa creò dei problemi giacché Anna Frank non ha mai avuto la cittadinanza olandese: nata a Francoforte sul Meno, era stata privata della cittadinanza tedesca nel 1941 in quanto ebrea, e morì come apolide nel campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania. La KRO lanciò allora una campagna per l’attribuzione postuma ad Anna Fank della cittadinanza olandese. La sua fama mondiale garantiva che gli olandesi sarebbero stati felici di considerarla una di loro. Una maggioranza di parlamentari, sia di destra che di sinistra, era pronta a sostenere l’iniziativa, che tuttavia si rivelò legalmente impossibile. Solo successivamente l’assurdità della cosa balenò nella mente dei propositori: e che dire degli altri ebrei tedeschi che fuggirono in Olanda e vi trovarono la morte nell’ambito della Shoà? E di tutti quelli che vennero respinti alle frontiere?
Nel 2007, quando sembrò che l’ippocastano potesse cadere da un momento all’altro e le autorità avevano deciso che si dovesse abbatterlo, si sollevò un vero e proprio movimento d’opinione, con tanto di raccolta fondi per costruire una speciale intelaiatura d’acciaio tale da impedire all’albero di cadere senza doverlo abbattere.
Come si è detto, questa tendenza a mobilitarsi per gli ebrei defunti e allo stesso tempo distogliere lo sguardo davanti alle manifestazioni di antisemitismo attuale, e alla diffamazione collettiva degli ebrei dello stato di Israele, non è affatto una specialità olandese. Se ne potrebbero riportare esempi innumerevoli. E più si guarda agli esempi di questa discrepanza nell’atteggiamento verso gli ebrei morti e verso gli ebrei vivi, più si capisce quanto poco l’Europa abbia imparato dal proprio passato.

(Da: Jerusalem Post, 29.8.10)