Alimentare fiducia negli israeliani? Ma quando mai!

Il mondo arabo si sbaglia di grosso sul conto dell’opinione pubblica israeliana

Da un articolo di Herb Keinon

image_2582Sembra proprio che il mondo arabo non arrivi a capirlo.
Il presidente egiziano Hosni Mubarak è volato a Washington per la prima volta negli ultimi cinque anni, ma prima di partire ha rilasciato un’intervista al governativo Al-Ahram dove ha detto che non vi sarà nessun “gesto di buona volontà” verso Israele finché Gerusalemme non proclamerà il totale congelamento degli insediamenti. “Qui al Cairo – ha raccontato Mubarak al giornale egiziano – ho detto al presidente Obama che l’Iniziativa Araba offre il riconoscimento e la normalizzazione con Israele dopo, e non prima, che sia stata raggiunta una pace giusta e completa in Medio Oriente”. Se proprio Israele sarà fortunato, ha aggiunto il presidente egiziano, per il momento alcuni stati arabi potrebbero buttargli qualche briciola. “Ho detto a Obama – ha continuato – che alcuni stati arabi che avevano aperto con Israele uffici di mutua rappresentanza commerciale potrebbero prendere in considerazione l’idea di riaprirli se Israele si impegnerà a bloccare [le costruzioni negli] insediamenti e riprendere i negoziati con l’Autorità Palestinese sullo status definitivo da dove sono rimasti con il governo Olmert”. In altre parole, Israele annunci qualcosa che finora ha fatto una sola volta – il congelamento delle attività edilizie negli insediamenti – e in cambio otterrà che Qatar e Oman riapriranno gli uffici commerciali che avevano chiuso quando i palestinesi lanciarono la loro campagna terroristica nel settembre 2000. Mubarak, si spera, vorrà scusare gli israeliani se non accolgono questa offerta con travolgente entusiasmo.
Secondo fonti egiziani citate dal New York Times in un servizio dal Cairo, Mubarak intende dire a Obama e agli altri rappresentanti americani che i paesi arabi non faranno verso Israele nessun gesto “per costruire fiducia” finché Israele non farà determinati passi, come il congelamento delle costruzioni negli insediamenti. Il portavoce del ministero degli esteri egiziano Hossam Zaki dice che, secondo l’Egitto, il modo migliore per “costruire fiducia” è che Israele fermi le attività edilizie negli insediamenti, prenda misure per migliorare l’economia in Cisgiordania, allenti il blocco sulla striscia di Gaza [che, per inciso, è anche egiziano] e accetti di negoziare su tutti i temi, compresi i profughi palestinesi e Gerusalemme. “Se fanno tutto questo – dice Zaki – e avviano immediatamente negoziati con Abu Mazen, questa è la ricetta per l’apertura e gli arabi faranno i gesti necessari. Ma gli israeliani non vogliono fare questi passi e chiedono che siano gli arabi a fare il primo passo. Invece non sono gli che devono fare il primo passo”. Zaki sostiene che questa posizione egiziana è irremovibile. “Riteniamo che questa enorme carenza di fiducia richieda delle mosse da parte di Israele. Solo allora gli arabi saranno disposti e fare dei gesti. È così che la vediamo, noi arabi”.
Si potrebbe obiettare alle parole di Zaki che aver permesso ad Arafat di creare l’Autorità Palestinese in Cisgiordania e Gaza dopo gli Accordi di Oslo, aver negoziato con l’Autorità Palestinese per ben due volte (invano) un ritiro quasi completo dalla Cisgiordania, aver sradicato un paio di dozzine di insediamenti ed essersi ritirati totalmente dalla striscia di Gaza quattro anni fa, e aver recentemente rimosso decine di posti di blocco sulle strade di Cisgiordania [riconsegnando intere città al controllo della polizia palestinese] significa che Israele ha fatto ben più di qualche “mossa”.
Le dichiarazioni di Mubarak e Zaki combaciano perfettamente con ciò che ha detto il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal lo scorso 31 luglio al Dipartimento di stato americano, alla presenta del segretario di stato Hillary Clinton. “Siamo convinti – ha detto – che il gradualismo e l’approccio passo dopo passo non porteranno alla pace. E che non lo faranno nemmeno gli accordi temporanei sulla sicurezza e le misure per creare fiducia”. In sostanza, il ministro saudita ha detto che Obama può sognarselo che l’Arabia Saudita faccia qualche gesto verso Israele prima che siano assolte tutte le condizioni poste da Riad con la sua Iniziativa Araba: ritiro completo da Cisgiordania, Gerusalemme est e alture del Golan senza alcuna discussione sui confini futuri e una “giusta soluzione” per la questione dei profughi palestinesi.
Si aggiunga a tutto questo la retorica stridula, irosa e bellicosa che si è udita al congresso di Fatah a Betlemme, la scorsa settimana, e si potrà agevolmente concludere che il mondo arabo semplicemente non capisce una cosa molto basilare: e cioè che, una volta uscito dall’intifada delle stragi che fece seguito ai falliti colloqui di Camp David 2000 e appena ripresosi dalla creazione del Hamas-stan che ha fatto seguito al suo ritiro dalla striscia di Gaza, è Israele ora che ha bisogno di veder ricostruita la sua fiducia nelle possibilità di pace.
Così adesso, con Obama che incontra Mubarak e Netanyahu che si appresta a incontrare George Mitchell a Londra, quel processo di pace che il presidente americano voleva veder decollare resta invece inchiodato a terra. E in non piccola misura a causa degli errori tattici dello stesso Obama. Infatti, chiedendo pubblicamente e inequivocabilmente il congelamento totale delle attività negli insediamenti Obama non ha fatto altro che rendere impossibile per gli arabi accettare qualunque cosa che sia meno di quello. Ha fissato l’assicella troppo in alto e ora gli arabi non devono far altro che stare seduti sulle tribune e aspettare di vedere se Israele riuscirà a saltare. Insomma, non devono fare proprio niente. Il pubblico israeliano, invece, dopo anni trascorsi con la sensazione di dare e dare ai palestinesi senza ricevere in cambio nient’altro che attacchi e terrorismo, ora vuole vedere qualcosa di onesto. L’amministrazione Obama lo capisce e per questo sollecita gli arabi a dare qualcosa, qualunque cosa. Invano.
Per il navigato negoziatore Mitchell non dovrebbe essere impossibile congegnare una qualche sequenza in cui Israele dichiarasse il congelamento degli insediamenti contemporaneamente all’annuncio da parte araba di qualche gesto di pace verso Israele. A meno che, come ha detto il ministro saudita, dopo la ultimativa Iniziativa Araba, da parte araba non c’è bisogno di nessun altro gesto o misura per cerare fiducia. Nel qual caso si può solo dire che il ministro saudita si sbaglia di grosso sul conto dell’opinione pubblica israeliana.

(Da: Jerusalem Post, 18.08.09)

Nella foto in alto: il ministro degli esteri saudita Saud al-Faisal durante la conferenza stampa congiunta con il segretario di stato Usa Hillary Rodham Clinton, lo scorso 31 luglio a Washington