Alle origini

Gli ottantanni di Avraham Yaski, uno dei più grandi architetti dIsraele

Da un articolo di Esther Zandberg

image_1653Avendo raggiunto questa settimana l’età di 80 anni, l’architetto Avraham Yaski sta facendo un consuntivo della sua vita professionale fino ad oggi. La sua carriera di 55 anni non ha eguali in Israele. Yaski ha fatto praticamente tutto quello che un architetto potrebbe desiderare – con il suo impegno in attività pubbliche ed educative – lasciando un segno così profondo sul panorama degli edifici che questo sarebbe inimmaginabile senza di lui, e ricevendo tutti i premi possibili in quel campo, compreso l’Israel Prize for Architecture, e progettando centri commerciali e grattacieli di lusso. Eppure, senza esitazione, egli indica gli “anni grigi” della costruzione del paese con cemento a vista – di cui ha fatto un uso vasto e sorprendente – come il periodo migliore della sua vita e della vita dell’architettura israeliana. E’ stato tra i creatori e tra le figure salienti nella storia dell’architettura israeliana ed ha avuto ampia visibilità in tutti i suoi punti principali.
Yaski: “Era il periodo post guerra mondiale, quando tutti credevano nell’architettura che avrebbe ricostruito il mondo. Eravamo un gruppo di architetti con il compito di costruire il paese, per quanto questa frase possa sembrare antiquata. Lavoravamo con l’establishment e, nonostante tutte le difficoltà, c’erano sempre persone illuminate, anche se non necessariamente molto istruite. In qualche caso avevano a malapena frequentato il heder [scuola elementare religiosa], ma erano dotate di intuito e riconoscevano la possibilità di fare qualcosa e risolvere i problemi. Chi pensa a queste cose oggi? Oggi l’unico criterio è il denaro, e nessuno pensa a fare niente al di là di quello.”
Con il denaro che scorre oggi nella proprietà immobiliare, nell’edilizia e nell’architettura in Israele, “alla gente interessa fare di più, non farlo nel modo giusto – dice Yaski – Cercano il modo per aggiungere un altro pezzo di vetro, un’altra striscia di alluminio, un’altro rivestimento. Non mirano a creare qualità. Sì, si costruisce molto qui. Ci sono molti edifici, ma non c’è architettura”.
Yaski fa un confronto non molto lusinghiero tra Israele e i paesi dell’Europa orientale, che sono diventati un target ambito per gli architetti israeliani. Lo studio in cui Yaski è attualmente socio, Yaski-Mor Sivan, è considerato uno dei grandi esportatori in questo campo.
Una volta, racconta Yaski, lo studio fece tre progetti diversi per una costruzione in Ucraina: uno “sensato”, un secondo con “qualche trovata” e il terzo “assolutamente pazzesco”. I clienti scelsero la terza opzione, “perché erano frustrati dopo la siccità del periodo comunista e volevano assorbire tutto”.
In quei meravigliosi anni grigi quando si costruiva il paese, Yaski ed i suoi soci producevano un’architettura di tutto rispetto senza lanciarsi nell’eccesso. Anzi, si trattava di costruzioni normali, ordinate e di buona qualità. È un’ironia della sorte che l’architettura di quel periodo sia oggi l’eccezione. Sullo sfondo del chiasso visivo e della volgarità architettonica dominante, il loro lavoro di quegli anni spicca per discrezione e buon senso e perfino per la sua bellezza, anche se gli appartenenti a quella generazione non accetteranno il termine.
“L’architettura moderna era socialista nella sua essenza, e un architetto serio non avrebbe osato pronunciare la parola ‘bello’. La crisi scoppiò – dice Yaski – nel periodo del postmodernismo, che faceva girare la testa e confondeva tutto. Era lo stesso negli altri paesi. Molti architetti, come me, caddero in quella trappola, che rapidamente divenne uno scherzo e si sviluppò in quello che succede oggi. Gli ultimi giorni di Pompei”.
Uno degli elementi più vistosi, almeno, è giustificato. Yaski: “Dalla finestra di un albergo in Minnesota vedemmo in lontananza una specie di cresta di gallo di lastre di metallo e andammo a vedere di che cosa si trattava. Stavamo di fronte a questa cosa, la galleria d’arte di Frank Gehry, e ci domandavamo che cosa mai poteva essere. Tutto intorno c’erano gli edifici storici dell’università: ordinati, rispettabili, belli, ma – come dire? – noiosi. E tutto a un tratto ho capito Gehry. Arriva con le sue lastre di metallo ricurve e i suoi chiodi e dice ‘Al diavolo tutto quest’ordine, e perché mai tutto dovrebbe essere pesante e serio?’. Quella costruzione la trovo genuina, e si può imparare ad apprezzarla”.
L’ottantesimo compleanno di Yaski sarà celebrato all’Università di Tel Aviv con il lancio di un libro monumentale sulla sua opera, “Avraham Yaski: Concrete Architecture”, firmato dall’architetto e ricercatore Sharon Rotbard. La maggior parte degli architetti può solo sognare un libro così, frutto di quasi dieci anni di ricerche e di lavoro, con l’aiuto dello stesso Yaski. In circa mille pagine di testo, fotografie, documenti e contesti culturali diversi, il libro traccia un ritratto dell’architettura israeliana dalla costituzione dello stato fino ad oggi. L’architettura israeliana non si sognava nemmeno che fosse così.
Fedele ai principi della sua generazione, che riteneva l’esposizione personale pari al pettegolezzo, Yaski ha preferito che il libro non fosse una sua biografia. “Ho detto a Sharon che quello non mi interessava – dice – e che preferivo un libro sull’architettura del periodo in cui vi avevo preso parte. Che cosa importa alla gente di che cosa mi è successo o di quello che ho detto o di quello che ha detto qualcun altro?”. Il libro è anche un catalogo retroattivo dei colleghi architetti di Yaski, una generazione di architetti allevata in una tradizione anti-intellettuale. “Eravamo stati educati ad agire, non a parlare” dice.
Il libro comincia con un “colpo”, dice Yaski riferendosi alle Yaski Houses a Kiryat Gat, che egli progettò nel 1960 con il suo buon amico e partner all’epoca, l’architetto Amnon Alexandroni. Queste case consistono di quattro lunghi edifici a blocco, ispirati dalle soluzioni residenziali di Le Corbusier, che Yaski ed Alexandroni ammiravano come “la nostra Bibbia ed il nostro Shulhan Arukh” riferendosi alla codificazione della legge religiosa ebraica. Il progetto del governo era sostituire i campi di transito, con le loro casupole di latta e amianto, dove vivevano i nuovi immigranti ma che si erano deteriorate fino al punto di non essere più adatte ad ospitare esseri umani. Il loro destino simboleggia la tragedia a cui hanno condotto molte buone intenzioni, e dimostra anche vividamente che gli anni grigi non furono buoni per tutti. Circa un anno fa, il progetto abitativo di Kiryat Gat apparve nel programma telvisivo investigativo “Fact”. Fu chiesta una risposta a Yaski ed egli redasse una spiegazione tecnica sui piccoli appartamenti che erano stati progettati per piccole famiglie di nuovi immigranti dalla Romania, ma che in pratica venivano dati a grandi famiglie del Nord Africa. Inconsapevole delle regole del gioco e del nuovo atteggiamento, egli fu immediatamente attaccato. “Mi diedero una strigliata e cercarono solo argomenti da trasformare in scandalo – torna a spiegare oggi – Volevano che comparissi nel programma, ma io avevo subito una grave operazione e non fui in grado di partecipare. Quando compresi da che parte soffiava il vento, dissi che non volevo essere coinvolto in quello che facevano”.
Avraham Yaski nacque il 14 Aprile 1927 a Kishinev, Moldava, ed immigrò in Palestina con i suoi genitori nel 1935. Dopo la laurea al Technion di Haifa cominciò a lavorare per Sharon Idelson Architects. Egli considera Arieh Sharon, laureato alla Bauhaus e padre dell’architettura socialista in questo paese, il suo padre spirituale. Quando aveva solo 25 anni fece il suo primo progetto, insieme al suo partner dell’epoca, Shimon Povsner: Kikar Malchei Yisrael (oggi Piazza Rabin) a Tel Aviv. Allora frequentava la scuola superiore serale e lavorava come fattorino e impiegato di basso livello. Oggi vive nell’Opera Tower, il centro commerciale e grattacielo residenziale su Allenby Street a Tel Aviv, di fronte alla spiaggia. Anche i suoi figli, Shaul e Yuval, sono architetti.
La carriera di Yaski è una delle più brillanti nella storia dell’architettura in Israele, scrive Rotbard nel nuovo libro, e con i suoi successi e fallimenti non sfigurerebbe nei più grandi studi di architettura all’estero. Con i suoi partners di tutti questi anni – Povsner, Alexandroni, Yaakov Gil, Yossi Sivan ed altri – ha prodotto centinaia di progetti per quasi ogni tipo di immobile e per ogni scopo possibile. Il suo lavoro rappresenta la corrente principale dell’architettura in Israele, scrive Rotbard, “dall’invenzione dell’israelianità all’integrazione del paese nella globalizzazione, dalla magra architettura del cemento degli anni ‘50 all’architettura del vetro splendente dell’inizio del XXI secolo”.
Per la maggior parte si tratta di edifici normali, pratici, che non litigano con la realtà ma la creano, usando i mezzi migliori disponibili per gli architetti. Una serie di strutture che utilizzano cemento a vista che Yaski aiutò a progettare nei primi decenni della sua carriera si ergono come pietre miliari della cultura israeliana, nonostante l’abbandono in cui alcune di esse sono cadute. La gamma del suo lavoro spazia da un centro di assorbimento per immigranti a Be’er Sheva, alla Jewish National and University Library sul campus Givat Ram dell’ Università Ebraica di Gerusalemme, al Hartzfeld Geriatric Hospital di Gedera, ad alcune delle più belle case private e condomini del paese.
Negli anni ‘80 Yaski progettò il primo grattacielo per uffici sul Rothschild Boulevard a Tel Aviv, la Zion House, che creò un precedente nella concessione di varianti di zona da parte delle autorità municipali. Questo progetto aprì la strada ad altri edifici per uffici che, nonostante tutto, contribuiscono al rinnovamento della zona. Lo studio di Yaski sta attualmente progettando decine di questi grattacieli per uffici o residenze prestigiose, tra cui Tzameret Towers e Yoo Tel Aviv, appartamenti in vendita a milioni di dollari e che sono diventati il simbolo della decadenza israeliana. Quanti ricchi ci sono, per riempire tutti questi grattacieli? Yaski: “Molti di più di quanti crediamo. I grattacieli residenziali sono solo per i ricchi. Qui nell’Opera Tower, paghiamo 2.700 shekel al mese per la manutenzione, contro i 100 shekel di un condominio normale. Quindi non sono cose alla portata di tutti. Mi sento a mio agio a costruire per i ricchi? È la mia schizofrenia. Come architetto, è divertente fare questo tipo di oggetti tridimensionali. Ma come persona, uno si domanda che cosa stia succedendo alla nostra società, che cosa è successo al popolo d’Israele, come mai è andato tutto sottosopra?”.
Quelli che dispongono di mezzi limitati dovrebbero vivere in edifici bassi, dice Yaski: un approccio che ha fatto suo da anni. Negli anni ’50 coordinò uno studio sulle costruzioni per gente con reddito limitato per la Batsheva de Rothschild Foundation, che generò i progetti per gli appartamenti residenziali shikun a Be’er Sheva. L’idea era quella di costruire case che potessero essere ampliate secondo necessità, con un piccolo cortile per evitare l’affollamento all’interno. “L’ idea ebbe successo e si guadagnò anche reputazione internazionale – dice – ma non ci fu seguito. Quello che succede oggi con i progetti di rimozione-ricostruzione è stupido”.
Lo studio di Yaski (che recentemente si è fuso con lo studio Mor per diventare la più grossa impresa di architettura in Israele) ha sede al 21esimo piano di un’edificio per uffici a Bnei Brak. Dalla finestra del suo ufficio Yaski vede la Serpentine, una scultura dell’artista e architetto Itzhak Danziger, nell Hayarkon Park di Tel Aviv. Danziger era un suo caro amico: “simpatico, bonaccione, l’unico che avesse qualcosa di importante da dire”. La vista sulla città dalla sua finestra fa accendere una discussione sul paesaggio israeliano e sull’architettura israeliana, un argomento che viene sempre fuori: “Che cos’è questo paesaggio, in realtà? Un paesaggio suburbano misto come in qualunque altra parte del mondo. Qualche tetto con le tegole rosse, qualche tetto piatto, erba, niente che sia tipicamente israeliano”.
Ma esiste davvero qualcosa di tipicamente israeliano? “Non è possibile che un gruppo si metta a tavolino e crei un’architettura locale. L’architettura locale che possiede un suo carattere si crea nel tempo. Negli anni ‘50 qui ebbe inizio qualche cosa. A quel tempo in Inghilterra o in Francia il cemento a vista era una curiosità. Ma noi trattammo quel materiale con assoluta serietà e lo facemmo nostro. Il cemento migliorava costantemente, e se avesse continuato ancora, ne sarebbe venuto qualcosa di meraviglioso. Ma nel periodo postmoderno il processo si arrestò e il cemento cominciò ad essere odiato. Non solo in Israele, ma in tutto il mondo. È odiato perché promette forza e una qualche onestà e qualità primordiale, e questo sembra disturbare la gente”.
Come l’ architettura stessa, di cui è visto come il massimo rappresentante, Yaski è considerato in modo diverso sia dai suoi colleghi che dal pubblico. Ma quello che probabilmente gli viene rimproverato di più è che ha osato sollevare il velo delle bugie e delle falsità dell’architettura, nella cui ombra molti architetti amano rifugiarsi. “La mia architettura è pratica – dice Yaski – Ho sempre cercato di darle una dimensione di qualità, e di assicurarmi che la gente vi si sentisse a suo agio. Mai una dimensione simbolica, e non ho mai raccontato storie. Non ne sono capace”.

(Da: Ha’aretz, 10.04.07)

Nella foto in alto: l’architetto Avraham Yaski