Antisemitismo sul Monte del Tempio

Col tempo si è visto che i palestinesi sono contrari non solo allo status quo stabilito nel ’67, ma alla presenza stessa degli ebrei in uno dei luoghi più sacri per l'ebraismo

Di Zalman Shoval

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Zalman Shoval, autore di questo articolo

Dal 1967, tutti i governi israeliani hanno adottato sul Monte del Tempio politiche equilibrate e ben ponderate allo scopo di evitare gravi conflitti con il mondo musulmano, e questo rimane l’approccio giusto da seguire.

In base all’accordo raggiunto a suo tempo con i più alti esponenti religiosi musulmani palestinesi, Israele ha accettato, sebbene molto dolorosamente, di proibire ogni forma di preghiera ebraica sul Monte del Tempio, e ha accordato ampia autonomia al Waqf (l’ente fiduciario che amministra il patrimonio religioso musulmano) nella gestione dell’area, ancorché con alcune limitazioni. Insieme a questo, ha promesso di garantire agli ebrei e alle persone di ogni altra religione il pieno diritto di visitare qualsiasi parte del Monte del Tempio, compresi i due principali santuari che oggi vi si trovano: la moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia. Ventisette anni dopo, quando venne firmato l’accordo di pace con la Giordania, Israele riconobbe al Regno Hashemita un “ruolo speciale” rispetto ai luoghi santi musulmani sul Monte del Tempio.

Tuttavia, mentre Israele ha rigorosamente rispettato la sua parte di questi accordi, i palestinesi li hanno invece violati, con le dichiarazioni e coi comportamenti, praticamente sin dal primo giorno: dalle molestie verbali e fisiche contro gruppi di visitatori fino al lancio di pietre dall’alto del Monte del Tempio contro i fedeli ebrei in preghiera al sottostante Muro Occidentale (“del pianto”).

Manifestazione contro la presenza di ebrei sul Monte del Tempio (sulla bandiera a destra, la consueta mappa delle rivendicazioni palestinesi con la cancellazione di Israele dalla carta geografica)

Manifestazione contro la presenza di ebrei al Monte del Tempio (sulla bandiera a destra, la consueta mappa delle rivendicazioni palestinesi con la cancellazione di Israele dalla carta geografica)

Se all’inizio si poteva pensare che si trattasse di azioni sporadiche, in seguito è apparso sempre più chiaro che dietro alle sommosse e ai tafferugli c’è la dirigenza politica e religiosa palestinese (coadiuvata da islamisti arabo-israeliani e persino da parlamentari arabi-israeliani).

Col tempo si è visto che i palestinesi non solo sono contrari allo status quo stipulato con Israele nel 1967, ma sono anche sostanzialmente contrari al diritto stesso degli ebrei di stare in un luogo che gli ebrei, nel corso della loro storia millenaria, hanno sempre considerato uno dei più sacri, sia sul piano nazionale che religioso.

Una chiara espressione di questo atteggiamento si può trovare nelle recenti parole pronunciate dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas nel suo discorso a una “Conferenza internazionale per la difesa di Gerusalemme”, durante il quale ha esortato i palestinesi a impedire “con qualsiasi mezzo” ai coloni (così ha definito gli ebrei) di entrare nel complesso del Monte del Tempio. “E’ la nostra moschea di al-Aqsa – ha proclamato Abu Mazen – e loro non hanno il diritto di entrare e profanarla”.

Ottobre 2000: "Un ebreo che loro non gradiscono che visiti il Monte del Tempio, e così ci impartiscono una lezione in fatto di libertà di accesso ai luoghi santi... in stile Olp"

Ottobre 2000: “Un ebreo che loro non gradiscono che visiti il Monte del Tempio, e così ci impartiscono una lezione in fatto di libertà di accesso ai luoghi santi… in stile Olp”

L’uso della parola “profanare” svela il carattere razzista e antisemita del discorso. Tra l’altro, Abu Mazen non è la prima né l’unica persona a parlare in questi termini. Prima di lui, fra gli altri, lo aveva fatto Ali Jarbawi, ex ministro dell’Autorità Palestinese ed ora professore di scienze politiche all’Università Birzeit di Ramallah, il quale, in un articolo tendenzioso e menzognero sul New York Times, ebbe a sostenere che la visita dell’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon al Monte del Tempio nell’ottobre 2000 “innescò la seconda intifada” giacché le sua stessa presenza costituiva un’invasione del luogo sacro.

In altre parole, contrariamente all’approccio delle chiese cristiane che accolgono persone di altre religioni, e all’approccio ebraico che non vede nulla di male se cristiani e musulmani visitano i luoghi santi ebraici, agli occhi di quelli come Abu Mazen e Jarbawi la presenza stessa di ebrei “dissacra” e “contamina” i luoghi santi dell’islam.

Per ironia della sorte, è proprio nell’islam che persiste la lunga tradizione di dissacrare i luoghi santi, e non solo ad opera dell’ISIS e dei talebani ma anche dei palestinesi che hanno profanato e continuano a vandalizzare le tombe ebraiche del secolare cimitero sul Monte degli Ulivi, e che distrussero le antiche sinagoghe nella Città Vecchia di Gerusalemme. Senza contare il fatto che per tutta la durata dell’occupazione giordana sulla parte est di Gerusalemme (1948-’67) a tutti gli ebrei venne proibito l’accesso al Muro Occidentale (“del pianto”), fra l’altro in flagrante violazione degli accordi armistiziali.

Proclami come quello di Abu Mazen mettono in seria difficoltà, sia in linea di principio che in pratica, la tolleranza di Israele verso la gestione in partnership del Monte del Tempio, e suscitano gravi interrogativi circa la tenuta in futuro delle intese raggiunte nel ’67. Si tratta di uno sviluppo sventurato e allarmante che non può essere ignorato, a maggior ragione quando si cerca di arrivare a un accordo politico globale con i palestinesi e il mondo arabo-islamico. Nel corso degli anni sono state avanzate varie proposte per risolvere la problematica realtà sul Monte del Tempio nel quadro di un futuro accordo di pace globale, ma con questo clima di estremismo c’è da dubitare che sarà possibile la loro applicazione in un prossimo futuro.

(Da: Israel HaYom, 28.10.14)