Apartheid: il totale fallimento di Israele

L’amara ironia di un’infermiera israeliana di Gerusalemme

Di Nancy Chayn Fogelman

Nancy Chayn Fogelman, autrice di questo articolo

Non sono certo il tipo di persona che critica Israele per qualunque cosa, ma quando ci vuole ci vuole. E di fronte alla questione apartheid non posso tacere. Sono così fiera del mio piccolo paese per tanti motivi, ma l’apartheid non è certo uno di questi: nonostante tanta gente in tutto il mondo ci giudichi uno stato da apartheid, devo ammettere che su questo terreno siamo proprio un disastro.

Ripenso, ad esempio, a quando ho trascorso un periodo di vacanza con la mia famiglia a Eilat, lo scorso dicembre, subito dopo la festa di Hanukkà. Abbiamo preso i bambini e siamo andati a passare una settimana in un popolare resort per famiglie. Direi che la maggior parte degli ospiti della struttura erano arabi. Sì, c’era anche qualche altra famiglia di ebrei che non s’erano presi le vacanze durante Hanukkà, quando i bambini non vanno a scuola, ma la maggior parte dei vacanzieri erano arabi: cristiani e musulmani. E dunque eccoci lì, in questo resort turistico israeliano gestito da un kibbutz israeliano, a fare la fila al buffet con i turisti arabi, nuotare in piscina con loro, assistere allo stesso spettacolo d’intrattenimento serale e – capperi– abbiamo condiviso con una coppia araba persino la jeep per il classico tour nel deserto. Ora, niente di tutto questo ci dava minimamente fastidio. Ma tra me e me pensavo che tutto ciò non assomiglia per nulla all’apartheid per come si intende questa parola. Insomma, non assomiglia nemmeno gli Stati Uniti meridionali della prima metà del ‘900.

Lina Makhul, cantante arabo-israeliana, nel 2013 ha vinto il talent show "The Voice of Israel" con il 62% dei voti degli ascoltatori

Lina Makhul, cantante arabo-israeliana, nel 2013 ha vinto il talent show “The Voice of Israel” con il 62% dei voti degli ascoltatori

Finita la vacanza, sono tornata dritta al mio lavoro all’ospedale Hadassah di Gerusalemme, per il turno serale. E lì è andata anche peggio. Dunque eccomi lì, come quasi tutti i giorni, in un ospedale ebraico sionista dello stato dell’apartheid ebraico d’Israele, a prendermi cura di pazienti arabi, sia musulmani che cristiani, fianco a fianco con i pazienti ebrei. E alcuni di questi arabi non sono nemmeno cittadini israeliani. E quel che è peggio, mi sorridono e mi ringraziano e addirittura mi regalano dei cioccolatini. Ma cos’è, la sindrome di Stoccolma? Scusate, ma non lo sapete che vi sto opprimendo e tiranneggiando?

E non è tutto, perché anche fra i miei colleghi paramedici ci sono arabi, e da alcuni di loro devo prendere ordini. E una di loro è una giovane che studia nella stessa scuola sionista per infermieri dove ho studiato io (in effetti la abbraccio con calore, perché so la fatica che sta facendo), e il fatto che la sua testa è coperta a modo suo mentre la mia è coperta a modo mio non importa un fico secco a nessuno. Le infermiere con cui lavoro sono musulmane e cristiane.

Studenti ebrei e arabi all'Università di Gerusalemme

Studenti ebrei e arabi all’Università di Gerusalemme

Alcune di loro vivono negli stessi dormitori con le infermiere ebree, così come alcune di loro affittano un appartamento nello stesso quartiere di Gerusalemme dove vive il mio ebreissimo cognato con la sua famiglia. Ditemi voi, ma un paese da apartheid che si rispetti può permettere che accada tutto questo?

E poi ci sono i medici. Nel mio reparto abbiamo pediatri e ginecologi, e in entrambi i casi abbiamo medici sia arabi che ebrei. Anche qui, musulmani cristiani ed ebrei che lavorano tutti insieme, fra loro e con noi, e – lo direste mai? – persino sorridendo e ridendo e andando d’accordo. Patetico: ma che razza di apartheid è mai questo? Voglio dire, siamo “la nazione start up” all’avanguardia nella tecnologia, nella ricerca medica, nell’agricoltura, sforniamo artisti e poeti e musicisti di livello mondiale, e non siamo capaci di fare una cosa così semplice e rozza come applicare per bene l’apartheid? Non ci andiamo nemmeno vicini. Di certo non possiamo nemmeno competere con tutti gli altri stati della nostra regione che, pur incapaci di qualunque altra realizzazione, in fatto di oppressione delle loro minoranze non sono secondi a nessuno.

Eppure il resto del mondo insiste a dire che Israele è uno stato da apartheid, e dunque non possiamo fare altro che chinare la testa per la vergogna e ammetterlo: ebbene sì, in fatto di apartheid abbiamo miseramente fallito.

(Da: Times of Israel, 9.3.16)