Approvato il rilascio di un altro gruppo di detenuti palestinesi

Si riaccende in Israele il doloroso dibattito sulla questione delle scarcerazioni di terroristi

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_3169Il Comitato speciale sulla scarcerazione di detenuti, presieduto dal primo ministro Benjamin Netanyahu, nel quadro dello schema per la ripresa dei colloqui di pace con l’Autorità Palestinese ha confermato, domenica, il rilascio di altri 26 palestinesi condannati per reati contro la sicurezza.

Tra i membri del Comitato figurano il ministro della difesa Moshe Ya’alon e il ministro della giustizia Tzipi Livni. “Dobbiamo onorare le decisioni del governo, anche se è difficile e doloroso – ha detto domenica il primo ministro Benjamin Netanyahu alla riunione dei ministri – Non è possibile cambiare continuamente posizione”. Pubblicato domenica notte, dopo che sono state avvertite le famiglie delle vittime, l’elenco dei nomi dei detenuti interessati dal rilascio, tutti condannati per reati commessi prima della firma degli Accordi di Oslo del 1993. Lo scorso agosto Israele aveva attuato le prime 26 scarcerazioni delle 104 previste in quattro tranche.

Sempre domenica, il Comitato ministeriale israeliano per la Legislazione ha respinto una proposta di legge del partito Bayit Yehudi volta a impedire che un governo israeliano possa decretare scarcerazioni di detenuti per reati contro la sicurezza. Hanno votato contro il disegno di legge, proposto dal parlamentare Orit Struck, otto ministri di Likud, Yesh Atid e Hatnua, mentre hanno votato a favore cinque ministri di Bayit Yehudi e Yisrael Beytenu. “Questo è un triste giorno per la lotta contro il terrorismo – ha commentato il partito Bayit Yehudi in una nota – Noi continueremo a batterci con tutte le nostre forze per bloccare il rilascio di assassini, e siamo molto sorpresi che i ministri del Likud abbiano votato contro la nostra proposta di legge”. Dal canto suo, il ministro della Giustizia Tzipi Livni ha commentato: “Oggi abbiamo visto che il governo, nonostante i tentativi di uno dei partiti della coalizione, agisce sulla base degli interessi nazionali e non di interessi di parte o di quelli dei rappresentanti più estremisti dei coloni di Cisgiordania. Questo governo sta portando avanti un processo diplomatico che è negli interessi della sicurezza nazionale e del Paese. La responsabilità di agire in conformità a questi interessi e la responsabilità condivisa da tutti per le decisioni che sono state prese costituiscono un dovere per ogni membro della governo, anche di quelli che a posteriori stanno cercando di sottrarvisi”.

Vari editoriali sulla stampa israeliana commentano la decisione del rilascio di detenuti e la proposta di legge contro le scarcerazioni.

Dan Margalit, autore di questo articolo su Israel HaYom

Dan Margalit, autore di questo articolo su Israel HaYom

Scrive Dan Margalit, su Israel HaYom: «Su richiesta di Israele, il segretario di stato americano John Kerry ha ottenuto dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) la promessa di non tornare a chiedere alle Nazioni Unite il riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese (una mossa che avrebbe impedito la ripersa dei negoziati di pace). Poi, su richiesta dell’Autorità Palestinese, Kerry ha ottenuto che Israele accettasse di scarcerare quattro gruppi di prigionieri condannati per reati contro la sicurezza. Questa settimana è prevista la scarcerazione del secondo gruppo. Nel frattempo, però, veniva fatto un secondo accordo di scambio, all’interno della coalizione di governo israeliana. Nel tentativo di placare i coloni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto, in una sorta di do ut des, che se da un lato verranno scarcerati dei detenuti, dall’altro continueranno le attività edilizie a Gerusalemme est e in Cisgiordania. I rappresentanti dei coloni [israeliani che vivono in Cisgiordania] avevano la possibilità di concordare un rinvio di nove mesi delle attività edilizie in cambio del mantenimento in carcere dei terroristi. Spettava a loro decidere e hanno scelto: mattoni in cambio di scarcerazioni. E Netanyahu ha acconsentito. La scarcerazione di detenuti è un rischio e un danno. Il più delle volte sono stato il primo a oppormi, anche quando i detenuti sono stati scambiati con l’ostaggio israeliano Gilad Shalit. Ma l’iniziativa a sorpresa del ministro dell’economia e commercio Naftali Bennett e del presidente della coalizione Yariv Levin di proporre una legge contro il rilascio di detenuti per reati relativi alla sicurezza è il classico “molto rumore per nulla”. Una dichiarazione rilasciata dall’ufficio di Bennett definisce “cinico e moralmente sbagliato” il tentativo di collegare le attività edilizie alla scarcerazione di prigionieri, aggiungendo che si tratta dei un “delirante tentativo rilasciare assassini e al contempo diffamare l’impresa degli insediamenti”. E conclude: “Sarebbe meglio a questo punto che il governo non costruisse niente e non rilasciasse alcun detenuto”. È davvero così? C’è qualcun altro nel partito Bayit Yehudi che la pensa in questo modo, oltre a Bennett? È vero il contrario: se Bennett avesse ottenuto una dichiarazione scritta in cui i suoi colleghi di partito Uri Ariel, ministro, e Orit Struck, parlamentare, si dichiaravano disposti a fermare le costruzioni durante i negoziati pur di evitare il rilascio di terroristi, allora Netanyahu avrebbe potuto offrire ad Abu Mazen un accordo alternativo: il congelamento delle attività edilizie negli insediamenti in cambio della non scarcerazione di detenuti. Ma i rappresentanti dei coloni non sembrano disposti a tale dichiarazione. La proposta di legge di Bennett e Levin [respinta domenica dalla commissione legislativa ministeriale] non è altro che uno stratagemma di Bayit Yehudi per mettere in cattiva luce i ministri del Likud. […] E sarebbe sbagliato approvare questo disegno di legge perché non bisogna mai legare le mani di un futuro governo con lacci legislativi di questo genere. Un governo israeliano che si rispetti deve essere in grado di mantenere la propria posizione e rifiutarsi di scarcerare detenuti in circostanze imprevedibili, anziché nascondersi dietro a una legge che ne vieta il rilascio. Una legge che lega le mani del governo è un’arma buona soltanto per governi che non hanno fiducia in se stessi». (Da: Israel HaYom, 27.10.13)

L’editoriale di Haaretz discute la decisione del governo di autorizzare nuove attività edilizie negli insediamenti [agglomerati israeliani in Cisgiordania] allo scopo di “placare” i rappresentanti dei coloni per la prevista scarcerazione di altri 26 detenuti palestinesi, e scrive: «Israele è prigioniero dei suoi insediamenti. Finché non vi è un accordo con i palestinesi sul loro futuro, la crescita degli insediamenti è illegale e la loro espansione aggiunge il danno alla beffa. Il premier farebbe bene a riconoscere che i colloqui di pace li deve fare con i palestinesi, non i coloni». (Da: Ha’aretz, 27.10.13)

Calev Myers, autore dell'articolo su Times of Israel

Calev Myers, autore dei questo articolo su Times of Israel

Scrive Calev Myers, su Times of Israel: «Martedì il governo d’Israele scarcererà, ancora una volta, dei detenuti palestinesi. Stando alle valutazioni sei servizi di sicurezza, dopo il rilascio dei terroristi nell’affare Shalit (ottobre 2011) un numero significativo degli scarcerati è tornato alle attività terroristiche, sia in Giudea e Samaria (Cisgiordania) che nella striscia di Gaza. A quanto pare, per qualche motivo stare in una cella israeliana non convince i terroristi ad abbandonare le loro ideologie estremiste islamiste e a trasformarsi in attivisti per la pace. Iman Alshrauna, rilasciato nell’affare Shalit, ha dichiarato che continua a battersi per la “liberazione di tutti i territori di Cisgiordania, del Monte del Tempio e di tutta la Palestina dal fiume al mare” oltreché “di tutti i prigionieri palestinesi incarcerati in Israele” (citato dalla tv libanese Al-Mayadeen, 27 maggio 2013). A parte il grave danno inferto alla sicurezza dei cittadini israeliani, il rilascio anticipato di detenuti palestinesi infligge un grave vulnus alla separazione dei poteri, principio indispensabile per il corretto funzionamento di una democrazia. Il ramo esecutivo diventa di fatto onnipotente se i suoi leader decidono di scarcerare dei detenuti che stanno scontando sentenze emesse dal ramo giudiziario in applicazione di leggi approvate dal ramo legislativo. Non basta. Si infligge anche un insensato colpo al principio dell’uguaglianza davanti alla legge. Criminali animati da moventi “nazionalistici” godono di un trattamento preferenziale rispetto a quelli spinti da altri motivi giacché questi ultimi non saranno mai scarcerati nel quadro di una transazione politica. Di qui, l’ovvia domanda: “Che cosa ci abbiamo guadagnato? Cosa hanno ottenuto i cittadini israeliani a prezzo del sacrificio della propria sicurezza e del corretto funzionamento della propria democrazia? Alcuni affermano che la mossa è indispensabile per dare legittimità ad Abu Mazen in vista della firma di un accordo di pace. In altre parole, senza qualche risultato in anticipo il presidente dell’Autorità Palestinese non ha un mandato a negoziare con Israele a nome del popolo palestinese. Ma il rilascio di detenuti servirà davvero a ripristinare la fiducia del popolo palestinese in Abu Mazen e nel suo governo? Ne dubito fortemente. Hamas salì al potere alle ultime elezioni palestinesi spodestando il movimento di Abu Mazen, l’Olp, per due motivi: voto di protesta e voto ideologico. Il voto di protesta era contro la corruzione dilagante nel governo dell’Olp, un governo di capi che si arricchiscono personalmente con i massicci aiuti internazionali mentre il palestinese della strada vive in condizioni misere. Dubito che il rilascio di detenuti possa trasformare Abu Mazen e i suoi in persone meno corrotte, o restituire al palestinese della strada il denaro che gli è stato rubato. Il voto ideologico venne dato da persone che credono fermamente nella Carta di Hamas, che prevede la conquista di tutta la terra d’Israele mediante la jihad violenta: l’unica legittima forma di “resistenza”, secondo i loro canoni religiosi e la loro visione del mondo. Né la scarcerazione dei detenuti né alcun altro atto di Abu Mazen potrà mai indurli a cambiare idea. Dunque, abbiamo compromesso la nostra sicurezza ed intaccato il nostro sistema democratico senza guadagnare nulla in fatto di ricerca della pace. (Da: Times of Israel, 24.10.13)

Yossi Tzur, autore dell’articolo su Israel HaYom, è il padre di Assaf Tzur, morto insieme ad altri 14 studenti nell’attentato terroristico del 5 marzo 2003 sull’autobus 37 diretto all’Università di Haifa.

Yossi Tzur, autore di questo articolo su Israel HaYom, è il padre di Assaf Tzur, morto insieme ad altri 14 studenti nell’attentato terroristico del 5 marzo 2003 sull’autobus 37 diretto all’Università di Haifa.

Scrive Yossi Tzur, su Israel HaYom: «Come nella tortura cinese della goccia d’acqua, noi che abbiamo perso dei famigliari per mano dei terroristi viviamo nella paura, tra un rilascio di detenuti e l’altro. A volte vengono fatti all’improvviso, altre volte abbiamo avuto almeno il tempo di abituarci all’idea, di riflettere, di batterci per cercare di ribaltare l’amara decisione. Sembra che nulla possa fermare il nostro governo, che insiste ad essere l’unico al mondo che rimette in libertà degli assassini condannati da un tribunale. Insensibilità e cinismo oltre misura, politici impegnati nelle loro faccende, l’Alta Corte di Giustizia che sembra disposta a intervenire praticamente su ogni questione tranne quella della liberazione di detenuti omicidi. E un’opinione pubblica che non capisce che il problema è di tutti: sono i loro figli quelli che ne pagheranno il prezzo. Lo Stato di Israele, che rilascia generosamente centinaia, persino migliaia di detenuti, non mi lascia altra possibilità che scrivere una lettera di protesta contro la scarcerazione di colui che ha assassinato mio figlio: un espediente ingegnato dall’Alta Corte di Giustizia e della Procura di Stato per coprirsi le spalle sul piano giuridico. Nell’adempimento del minimo assoluto dei suoi doveri di legge, il procuratore generale riceverà la lettera dalla famiglia della vittima e la inserirà nel fascicolo del terrorista in questione. Di recente una madre in lutto che cercava di far inserire tale lettera nel dossier dell’assassino di suo figlio ha scoperto che anche lo stesso terrorista, un arabo israeliano di cui era in programma la scarcerazione in uno dei “gesti di buona volontà”, aveva fatto mettere agli atti una sua lettera in cui spiegava che, mentre era in carcere, aveva messo su famiglia e messo al mondo dei figli e dunque si lamentava di non essere stato ancora scarcerato. Hamas si prende cura dei suoi prigionieri, l’Autorità Palestinese fa lo stesso con i suoi – sottolineava la lettera – ma questo particolare assassino, in quanto arabo israeliano, non aveva chi ne prendesse le difese. E chiedeva di essere rilasciato nel prossimo “gesto di buona volontà” perché, rispetto ai suoi colleghi assassini palestinesi, sentiva di essere ingiustamente discriminato. Il migliore drammaturgo al mondo non avrebbe mai potuto concepire un pezzo migliore di teatro dell’assurdo. Nel caso specifico, quella madre cui è stato ammazzato un figlio innocente forse sarebbe stato meglio che non venisse mai a sapere che l’assassino aveva avuto dei figli, e che aveva buone chance di venire scarcerato dal governo israeliano. Dopo tutto, suo figlio invece non tornerà mai più». (Da: Israel HaYom, 27.10.13)