Arabi volontari nel servizio civile, agitatori arabi contro ogni “israelizzazione”

La nozione stessa di integrazione è anatema per quei politici arabi israeliani che fanno a gara nell'attizzare odio e suscitare conflitti

Editoriale del Jerusalem Post

Sempre più numerose le ragazze arabe che optando per il servizio civile volontario

Sempre più numerose le ragazze arabe che optando per il servizio civile volontario nelle loro comunità

Circa 700 arabi israeliani volontari nel servizio civile si sono riuniti martedì scorso in un auditorium di Karmiel (nord Israele ) per un evento volto a manifestare apprezzamento verso di loro. All’interno regnava un’atmosfera festosa, allegra e commossa: tanto affetto e tante congratulazioni venivano riversati sui coraggiosi volontari che, pur di svolgere il servizio civile all’interno delle loro comunità, fanno fronte a un’impudente azione di mobbing agitata contro di loro. Nonostante le smodate manifestazioni di ostilità di cui sono circondati, questi giovani arabi israeliani prendono parte a un programma volontario concepito per essere parallelo al servizio militare o civile che è obbligatorio per i cittadini ebrei.

All’esterno della sala, invece, imperava una violenta ostilità. Arabi dalle vicine città di Galilea si erano radunati sul posto e avevano avvicinato i volontari schernendoli, gettandogli addosso oscenità, tacciandoli come traditori della loro gente. I volontari hanno subìto sputi e spintoni minacciosi. L’aria era impregnata di violenza e solo la presenza della polizia, allertata per disperdere la folla intimidatoria, ha impedito aggressioni fisiche più gravi.

Per chi non ha familiarità con tutto questo, la cosa può sembrare totalmente incomprensibile. Perché mai dei giovani che prestano volontariamente un servizio civile di cui le loro comunità hanno tanto, dovrebbero essere biasimati in modo così aggressivo come fossero nemici del popolo? Sarebbe più logico aspettarsi che i vicini dei volontari li festeggiassero anziché colpevolizzarli.

In effetti in Israele, mentre il dibattito pubblico continua a focalizzarsi sulla questione del servizio militare dei giovani ebrei ultra-ortodossi, si dedica scarsa attenzione alle tribolazioni dei giovani cittadini arabi che osano offrirsi volontari per il servizio civile nonostante le pressioni e le minacce che subiscono nel loro ambiente.

Gli attivisti anti-servizio sostengono che qualsiasi tipo di servizio civile svolto dagli arabi (israeliani) non è altro che “un braccio dell’esercito d’occupazione”. Ci vuole molto coraggio per fare fronte a una condanna di questo genere.

Arabi israeliani in servizio volontariato presso l'Ospedale Rambam di Haifa

Arabi israeliani in servizio volontariato presso l’Ospedale Rambam di Haifa

Eppure il numero di arabi volontari nel servizio civile continua nettamente a crescere e attualmente sono 3.611 i giovani delle minoranze israeliane di lingua araba che vi prendono parte. Nel 2013 il totale era stato di 2.711, mentre nel 2005, quando venne avviato, il programma aveva attirato solo 270 volontari. Oggi il 54% degli arabi israeliani volontari sono musulmani, il 17% drusi, il 10% cristiani e il resto arriva dalle comunità beduine. Il fatto più sorprendente, però, è che solo il 10% sono maschi.

Il programma punta a mettere a disposizione di giovani arabi le opportunità offerte da un servizio civile rigorosamente volontario della durata di un anno: assistendo esclusivamente le loro comunità, questi giovani maturano il diritto di accedere a una serie di prerogative normalmente riconosciute ai congedati dalle Forze di Difesa israeliane (quelle stesse prerogative che vengono sempre indicate come forme di discriminazione ai danni dei cittadini arabi, appunto perché questi non sono soggetti alla coscrizione obbligatoria). Ovviamente si tratta del tipo di vantaggi che vengono normalmente maturati in tutte le democrazie da chi ha prestato servizio nelle forze armate.

Il servizio civile volontario – che dura solo 12 mesi, a differenza di quello militare obbligatorio che dura tre anni per i maschi e due per le femmine – offre generosamente gli stessi benefits anche a coloro che non devono mettere a rischio la loro vita in prima linea.

Zeidan Baha, arabo musulmano di Jish (alta Galilea). A 17 anni restò gravemente ferito in un incidente d’auto e la sua vita fu salvata dall’intervento della squadre di soccorso dei vigili del fuoco israeliani. Una volta guarito e terminate le scuole superiori, ha deciso di prestare servizio civile volontario ad Acri come vigile del fuoco

È paradossale che un programma che offre ai giovani arabi israeliani questi vantaggi, e che apre loro la strada per significativi avanzamenti personali, debba suscitare tanta denigrazione. Il bellicoso rifiuto della mano tesa è all-inclusive, copre tutto lo spettro politico arabo-israeliano, nonostante la natura volontaria del programma e la promessa di miglioramenti che comporta per le comunità arabe. La veemenza contro il programma sembra unire le agguerrite fazioni arabe, se non addirittura innescare una gara a chi vi si scaglia contro nel modo più provocatorio. Evidentemente qualunque piano volto a coinvolgere i cittadini arabi israeliani in qualsiasi programma che si identifichi con lo Stato si qualifica per ciò stesso come un casus belli. Particolarmente preoccupante è il messaggio che ne emerge: non esiste gesto di buona volontà che Israele possa legittimamente fare per integrare i propri cittadini arabi e restringere il divario tra loro e la maggioranza ebraica. Infatti la protesta si scaglia contro quella che viene percepita come “israelizzazione”. Ma proprio questa “israelizzazione” dovrebbe essere l’obiettivo di tutti i cittadini israeliani, indipendentemente dalla loro religione o etnia. Ciò che è esasperante è che la nozione stessa di integrazione viene considerata anatema, mentre i politici arabi aizzano la foga e fanno a gara per vedere chi susciterà più conflitti e segnerà più punti presso un elettorato che questi stessi politici cinicamente spingono verso l’estremismo.

Coloro che strepitano invocando tutti i diritti che la cittadinanza israeliana conferisce dovrebbero essere i primi a ricordare che Israele è il paese più libero e più prospero per qualsiasi arabo di tutta la regione. Un atteggiamento di sdegno verso lo Stato e per la sua delegittimazione difficilmente potrà costruire quei ponti di cui i cittadini arabi israeliani sarebbero i principali beneficiari. Quelli che urlano più forte sono quelli che più temono quei ponti.

(Da: Jerusalem Post, 22.2.14)