Arrestata la provocatrice seriale che cercava invano di far saltare i nervi ai soldati israeliani

Troppi foto-reporter compiacenti assecondano faziosamente provocazioni e messinscena palestinesi

L’arresto di Ahed Tamimi

Lunedì notte le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato la 16enne palestinese Ahed Tamimi, una delle ragazze palestinesi che venerdì scorso, dopo aver preso parte a manifestazioni violente, sono state filmate mentre cercavano invano di provocare con insulti, sberle e calci un paio di soldati israeliani che presidiavano il villaggio palestinese di Nabi Salih dopo la fine degli scontri.

Il video, girato con l’evidente intenzione di provocare e poi documentare una reazione violenta da parte dei soldati contro donne e ragazzine volutamente mandate allo sbaraglio, mostra l’ammirevole comportamento dei militari israeliani che non reagiscono a insulti, spintoni, schiaffi e calci da parte delle palestinesi, mantenendo un autocontrollo che verosimilmente non si riscontrerebbe da parte di soldati e poliziotti di nessun paese del mondo (per non dire di qualunque altro paese mediorientale).

Per tutta la durata dell’incidente, le ragazze stesse hanno continuato a filmare con i cellulari nella speranza che la provocazione riuscisse. È poi evidente che l’operatore, che ha girato il video da una certa distanza, è stato ben attento a far sì che nell’inquadratura si vedessero solo donne e ragazze per creare l’effetto “vittime indifese”, presumendo che i militari avrebbero reagito alle molestie fisiche tentando di arrestare le ragazze: come sempre in questi casi, solo quest’ultima parte della scena sarebbe poi stata fatta circolare, suscitando la consueta canea contro i “soprusi” dei soldati israeliani.

 

 

Da notare che il video è circolato su vari social network palestinesi, e sulla pagina Facebook della stessa famiglia Tamimi, con didascalie tipo “Queste coraggiose ragazze palestinesi della famiglia Tamimi sono riuscite a cacciare due soldati israeliani pesantemente armati che volevano irrompere nella loro casa” e “Questa ragazza è l’onore dell’intera nazione palestinese”. In Israele, molti hanno invece sollevato obiezioni e critiche dicendo che i soldati avrebbero dovuto arrestare sul posto le ragazze palestinesi e paventando la perdita di capacità deterrente da parte delle Forze di Difesa israeliane a cause di quelle immagini.

L’incidente di venerdì non è certo il primo in cui membri del clan Tamimi vengono filmati mentre provocano i soldati, una pratica a cui la giovane Ahed Tamimi è stata avviata fin da piccola, diventando una sorta di star del web anti-israeliano. Nell’agosto 2015 venne filmata mentre aggrediva e mordeva un soldato che stava procedendo all’arresto di un suo parente durante uno dei tafferugli settimanalmente organizzati a Nabi Salih da gruppi di agitatori, fra cui spiccano i membri adulti della famiglia Tamini. In altri casi la si è vista, ancora bambina, mentre veniva mandata a insultare e provocare i soldati, immancabilmente filmata da qualche adulto del suo clan o da qualche attivista di ong anti-israeliane, nella manifesta speranza di poter riprendere i militari quando avessero perso le staffe.

In questa immagine del 2012, un’altra delle “imprese” di Ahed Tamini

Nel novembre 2012, quando aveva 13 anni, Ahed Tamimi si guadagnò grande fama tra gli attivisti anti-israeliani per aver capeggiato un gruppo di ragazzini, tra cui suo fratello Muhammad, in un’altra provocazione contro soldati israeliani puntualmente filmata in un video in cui la si vedeva ripetutamente minacciare un militare alzando il pugno come per colpirlo, nell’evidente speranza che il soldato reagisse. Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan elogiò pubblicamente la ragazzina per questa bravata, giungendo ad assegnarle un “Premio Coraggio” in una cerimonia a Istanbul.

Il ministro della difesa israeliano Avigdor Lieberman ha detto che Ahed Tamimi non sarà l’unica a dover rispondere del suo comportamento: “Tutti quelli implicati, anche i genitori della ragazza e altri del suo ambiente, non se la caveranno senza ciò che si meritano”. Commentando il fatto durante un incontro martedì mattina con i rappresentanti delle comunità israeliane attorno alla striscia di Gaza (che da una settimana sono sotto attacco di razzi palestinesi), Lieberman ha ribadito che “le Forze di Difesa israeliane sono l’esercito più umano e agisce nel rispetto di valori e standard di comportamento che non si riscontrano da nessun’altra parte, ma questo senso d’umanità non deve compromettere forza e deterrenza”. Lieberman ha difeso i soldati che non hanno ceduto alla provocazione, dicendo che essi “hanno agito secondo ordini e disposizioni”. Ma ha aggiunto: “Israele non permetterà che venga fatto alcun danno a soldati e ufficiali: prenderemo tutti i provvedimenti necessari, e affronterò il problema con la procura generale militare e il capo di stato maggiore”. In Israele l’aggressione ai danni di un soldato in servizio è un reato punibile con una condanna fino a sette anni di detenzione. Ha concluso Lieberman: “La cosa più importante è che chiunque compie misfatti durante il giorno sappia che verrà arrestato durante la notte. Questo è anche un preciso messaggio”.

(Da: YnetNews, Jerusalem Post, Times of Israel, israele.net, 18-19.12.17)

15 dicembre, Ramallah. Poco prima dell’attentato, il terrorista palestinese (nel cerchio rosso) usa i giornalisti come copertura

La polizia israeliana ha scoperto che il terrorista palestinese che domenica scorsa ha pugnalato un agente vicino a Ramallah, nei momenti precedenti l’attentato si era finto giornalista mescolandosi a un gruppo di reporter, riuscendo in questo modo ad avvicinarsi ai militari israeliani senza essere fermato. “Il terrorista ha usato i giornalisti come copertura in vista dell’attacco, per poi scagliarsi contro gli agenti a partire da dove si trovava la stampa”, ha spiegato un portavoce della polizia. Nell’attentato il 29enne palestinese, che indossava una cintura da attentati suicidi, ha ferito il poliziotto israeliano pugnalandolo tre volte al torace. Ha poi cercato di darsi alla fuga, ma è stato mortalmente colpito da altri agenti che avevano visto la sua cintura da attentatore suicida. Solo successivamente si è appurato che la cintura era composta da oggetti coperti di nastro adesivo collegati con fili elettrici, ma senza veri esplosivi. In una dichiarazione, la polizia israeliana avverte che i terroristi che si fingono membri della stampa mettono in grave pericolo i veri giornalisti, ma afferma anche che non vi saranno cambiamenti nell’accesso della stampa alle proteste palestinesi. “La polizia – dice la nota – continuerà a operare in tutte le aree e, allo stesso tempo, continuerà a permettere ai mass-media stranieri di coprire gli eventi nonostante la minaccia causata dai terroristi palestinesi”. La nota della polizia sottolinea che non è la prima volta che un terrorista si finge giornalista per effettuare un attentato. Ad esempio, nell’ottobre 2015 un palestinese con giubbotto giallo e maglietta nera con la scritta “PRESS” accoltellò un soldato israeliano a Hebron. (Da: Times of Israel, 18.12.17)

Un’indagine condotta dalle Forze di Difesa israeliane sulla morte di un invalido palestinese di Gaza ha scagionato i soldati dall’accusa d’aver commesso atti illeciti. Fonti palestinesi avevano affermato che il 29enne Ibrahim Abu Thraya, amputato delle gambe, era stato colpito a morte dai soldati israeliani mentre manifestava la scorsa settimana al confine fra striscia di Gaza e Israele, in un’area dove nei giorni scorsi si sono verificati ripetuti scontri violenti. La versione palestinese della morte di Abu Thraya, acriticamente ripresa dalla stampa internazionale, è subito diventata un “manifesto” della causa palestinese. Le Forze di Difesa israeliane hanno detto che la protesta di venerdì scorso è stata “estremamente violenta” con numerosi lanci non solo di pietre, ma anche di ordigni esplosivi. Nelle conclusioni diffuse lunedì, i militari hanno aggiunto che non sono stati sparati colpi d’arma da fuoco verso Abu Thraya e che è impossibile determinare le cause della sua morte dal momento che i palestinesi si rifiutano di rilasciare dettagli e rapporti autoptici. (Da: apnews.com, HonestReporting.com, 19.12.17)

Eric R. Mandel

Scrive Eric R. Mandel: L’altro giorno 14 dei 15 stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno condannato gli Stati Uniti per aver riconosciuto che la capitale di Israele è a Gerusalemme. Non che la cosa desti sorpresa, specie dopo che l’Unesco, l’agenzia Onu per la cultura, aveva già deliberato che ebrei e Israele non hanno alcun legame né diritto storici o legali su nessuna parte di Gerusalemme. In risposta al riconoscimento degli Stati Uniti di Gerusalemme come capitale d’Israele, Autorità Palestinese e Hamas hanno fomentato entrambe giornate di rabbia e di violenze. A quel punto la comunità foto-giornalistica internazionale, che di suo è contraria (non si capisce a quale titolo) al fatto che Israele detenga il controllo della città, aveva assoluto bisogno di offrire ad agenzie e testate committenti delle immagini che dessero ad ogni costo l’impressione che Israele “occupa” Gerusalemme con la forza, brutalizzandone gli abitanti non ebrei. Come ha scritto l’ex giornalista dell’Associated Press Matti Friedman in un celebre articolo su The Atlantic dopo l’ultima guerra a Gaza, “in questo conflitto la stampa occidentale tende ad essere sempre meno osservatore imparziale, e sempre più attore protagonista”.

Com’è possibile, ci si potrebbe chiedere, che i foto-reporter si trovino sempre nel posto giusto al momento giusto, dopo che “pacifici” eventi palestinesi si sono trasformati in scontri premeditati, pronti a scattare immagini di militari e poliziotti israeliani che sembrano attaccare in modo aggressivo vittime del tutto innocenti? Nei giorni successivi alla dichiarazione Usa su Gerusalemme, sono comparse fin troppe foto in cui si vedono file di foto-reporter che, guarda caso, si trovano proprio dove possono fotografare la reazione delle forze di sicurezza israeliane alle “pacifiche” proteste palestinesi.

Novembre 2013: la foto della manifestazione della Jihad Islamica all’Università Al-Quds di Gerusalemme est che non è circolata sui mass-media

E’ ormai risaputo che gli attivisti palestinesi e i loro sostenitori internazionali informano le agenzie di stampa su luoghi e orari dove verranno provocati e inscenati scontri “appetibili”. Molti giornalisti simpatizzanti stanno al gioco, scattando immagini dei palestinesi “innocenti” che protestano ed evitando di mostrarli mentre provocano deliberatamente la reazione dei militari. Le fotografie ritraggono per lo più anziani mansueti e ragazzini pieni di paura, evidenti vittime dell’uso “gratuito” della forza da parte delle forze di sicurezza israeliane. La scorsa settimana, l’agenzia ufficiale palestinese Ma’an ha diffuso una serie di immagini, accuratamente selezionate e messe a disposizione dei mass-media internazionali, con i palestinesi sempre nella parte delle vittime. Una delle immagini più riprodotta era quella di un’anziana donna spaventata dalla presenza di agente di polizia a cavallo. Le fotografie dell’agenzia Ma’an erano accompagnate da didascalie come: “secondo i testimoni, la polizia si è scatenata contro la folla di attivisti, studenti e semplici cittadini che marciava pacificamente lungo la strada principale della città”. In Occidente, capo-redattori altrettanto “simpatizzanti” sono ben felici di ricevere queste immagini perché rappresentano e corroborano la loro narrativa dell’”occupante” israeliano che tormenta il palestinese “inerme e indifeso”.

Fermo-immagine dal video dell’attentato all’arma bianca che ha ridotto in fin di vita un agente di guardia alla stazione degli autobus di Gerusalemme: immagini non circolate sui mass-media internazionali

La scorsa settimana un palestinese ha piantato un coltello nel petto di un agente israeliano di guardia presso la stazione centrale degli autobus di Gerusalemme. Le telecamere di sicurezza hanno registrato tutto. I fermo-immagine dell’attentato presentano esattamente il genere di materiale sensazionalistico che i mass-media generalmente adorano pubblicare. Ma qualcuno ricorda d’aver visto quelle foto o quel video su BBC, CNN o sulla prima pagina del New York Times? Ecco un’altra forma di foto-giornalismo selettivo: la tendenziosità per omissione. Non pubblicare un’immagine che in qualche modo contrasta con la versione che si vuole divulgare è una forma più sottile, ma altrettanto faziosa, di giornalismo di parte. Equivale ad omettere una notizia o nasconderla fra le notizie minori in un giornale. Un clamoroso caso di faziosità per omissione fu il rifiuto da parte dell’agenzia AP di pubblicare la fotografia di una manifestazione organizzata dalla Jihad Islamica palestinese presso l’Università Al-Quds di Gerusalemme est sostenendo che non era “giornalisticamente interessante”. All’evento, organizzato da un professore palestinese considerato “moderato”, si videro gruppi di attivisti fare il saluto nazista, immortalati in fotografie assai intriganti, ma evidentemente non adatte alla narrativa dell’AP.

Non è che il foto-giornalismo tendenzioso sia una novità. Era già all’opera durante la prima intifada, è continuato durante la seconda Intifada e poi attraverso tutte le guerre di Gaza, e continua oggi a Gerusalemme. Ciò che è nuovo è che sembriamo ormai intorpiditi dalla durata del martellamento, tanto da non riuscire più a notarlo, denunciarlo e reagire. Bisogna ricominciare a verificare, esaminare, analizzare le informazioni. Bisogna diventare consumatori di notizie attenti e informati, in particolare riguardo al foto-giornalismo: chiedersi sempre cosa c’era prima e attorno all’immagine che viene presentata, chiedersi sempre se devo credere a occhi chiusi all’immagine che mi viene propinata. (Da: Jerusalem Post, 16.12.17)

9-10 dicembre: agitatori palestinesi escono da ambulanze della Mezzaluna Rossa e le usano come copertura: