Assad come Gheddafi: capi tribali pronti a massacrare la loro gente

Per decenni hanno spacciato alle masse l’oppio dell’odio per Israele.

Se ne discute in Israele: recenti commenti sulla stampa israeliana

image_3100Scrive YISRAEL HAYOM: «Gli undici anni di Bashar Assad al potere sono stati caratterizzati da un’assoluta adesione agli interessi di Teheran e degli Hezbollah. Non c’è da stupirsi se fonti dell’opposizione riferiscono dell’ingresso in Siria di unità in borghese delle Guardie Rivoluzionarie iraniane e della milizia sciita libanese Hezbollah per contribuire a soffocare le proteste. La Siria è troppo importante per l’Iran perché Teheran la lasci cadere: è una porzione cruciale dell’asse del terrorismo internazionale guidato dall’Iran, che è attivo nel Bahrain e altri stati del Golfo, che passa per Damasco e che opera liberamente in Libano. Questo asse, incoraggiato da Damasco, si oppone al processo di pace e promuove il terrorismo contro Israele. Ma il popolo siriano è stanco del regime di Bashar Assad e del suo fallimento nel far progredire il paese. E l’alleanza con gli sciiti della regione, indirizzata contro la popolazione sunnita in Libano, non fa che accrescere la collera dei siriani.» L’editoriale chiede all’occidente «di aumentare le pressioni internazionali su Damasco, e il sostegno ai dimostranti e alle forze d’opposizione siriane che hanno la potenzialità di creare un futuro migliore non solo per il loro paese, ma anche per tutta la regione.» (Da: Yisrael Hayom, 28.3.11)

Secondo HA’ARETZ, bisogna lasciare che i siriani risolvano da sé i loro problemi. Pur rilevando che «la crisi in Siria avrà importanti implicazioni per la situazione strategica di Israele», l’editoriale conclude: «Israele deve evitare qualunque coinvolgimento, aperto o nascosto, negli eventi in corso a nord, sia a parole che in termini di azione concreta.» (Da: Ha’aretz, 28.3.11)

Commentando gli sconvolgimenti in corso nel mondo arabo, MA’ARIV osserva che «un tempo in Medio Oriente i mass-media ufficiali controllavano a tutti gli effetti la diffusione di informazioni menzognere che tornavano utili ai governanti al potere. Oggi, però, You Tube, Facebook e Twitter permettono ai cittadini dei paesi arabi di aggirare i canali d’informazione ufficiali, svelando gli imbrogli dei regimi. Dal punto di vista di Israele, finalmente si rivelano nella loro “nudità” quei capi arabi che per decenni hanno spacciato “oppio” alle loro masse: usando come pretesto la presunta necessità di tenere una posizione forte contro il nemico sionista e imperialista, essi hanno costantemente ignorato le necessità e il benessere dei loro popoli, reprimendoli duramente». L’editoriale sottolinea come il presidente siriano Bashar Assad stia battendo ancora questa vecchia linea quando accusa Israele di «istigare le masse», ma aggiunge che i dimostranti siriani questa volta «non la berranno». (Da: Ma’ariv, 28.3.11)

Scrive un altro editoriale di MA’ARIV: «I governanti mediorientali che si sono improvvisamente ritrovati in un lungo incubo, si possono dividere in due gruppi a seconda di come reagiscono agli eventi traumatici: coloro che cedono a quella che si presenta come la volontà della loro popolazione, e coloro che scelgono di massacrare la loro popolazione. I presidenti di Tunisia ed Egitto appartengono al primo gruppo: gli è bastato meno di un mese per capire che era ora di andarsene. Muammar Gheddafi appartiene senza dubbio al secondo gruppo.» L’editoriale ricorda che se non fosse stato per l’intervento aereo occidentale, a quest’ora Gheddafi avrebbe già schiacciato i ribelli «e la strada da Bengasi a Tripoli sarebbe disseminata di cadaveri di migliaia di civili. Anche il presidente siriano Bashar Assad appartiene al secondo gruppo, per almeno cinque ragioni. 1) Il suo Dna famigliare. Anche se il numero delle vittime è (per ora) molto diverso, vi è un collegamento fra la carneficina di islamici fatta da Hafez Assad nel 1982 a Hama e i morti della settimana scorsa a Daraa. 2) Affiliazione etnica. Bashar Assad non è solo, egli rappresenta la setta minoritaria degli alawiti che controlla tutte le leve del potere. Se lui se ne va senza dare battaglia, tutta la sua setta perderà i propri privilegi e ne subirà le conseguenze. 3) Intima convinzione. Assad, che vede se stesso come un paladino della lotta contro Israele, semplicemente non pensa che sia arrivato anche per lui il momento di andarsene. 4) Sostegno regionale. Né Ahmadinejad né Nasrallah, che hanno stretto un’alleanza con Assad figlio, pensano che questi debba andarsene. 5) Ipocrisia internazionale. Assad ritiene che la sua situazione sia molto migliore di quella di Gheddafi. Sa che Obama, Sarkozy e Cameron ci penseranno mille volte prima di azzardarsi a lanciare dei missili sul suo palazzo presidenziale a Damasco solo per difendere i ribelli siriani.» Conclude l’editoriale: «In effetti, Assad al momento non ha un buon motivo per andarsene. A meno che non scopra improvvisamente che un ampio segmento del suo esercito e delle sue forze speciali (quelle che non appartengono alla setta alawita) si rifiuta di approvare l’eccidio di civili e passa dalla parte dei dimostranti. A meno che non accada questo, Assad continuerà a sparare e uccidere, e a promettere riforme senza darsi pena: i leader dell’occidente non muoveranno un dito.» (Da: Ma’ariv, 27.3.11)

Scrive SALMAN MASALHA, su HA’ARETZ: «Dopo lo scoppio dell’“intifada” nei paesi arabi, il presidente siriano Bashar al-Assad sostenne in un’intervista al Wall Street Journal che la situazione in Siria era diversa, aggiungendo che la Siria non è come l’Egitto. Sottolineava inoltre che la Siria non era suscettibile di scivolare in una situazione di quel genere perché si colloca sul fronte della “resistenza” e fa parte dell’asse anti-Usa e anti-Israele. Ebbene, Assad ha ragione. La situazione in Siria è effettivamente diversa. Il regime siriano è più simile a quello che era il regime ora defunto di Saddam Hussein in Iraq. Sia il partito Ba’ath che governava in Iraq sia quello che ancora governa in Siria agitavano le bandiere dell’ideologia nazionalistica pan-araba. Ma gli slogan sono una cosa e la realtà un’altra. Tutte le belle parole ideologiche sono solo chiacchiere giacché il partito Ba’ath, sia in Iraq che in Siria, costituisce una piattaforma politica che serve a perpetuare la sopraffazione etnica e tribale. È vero che la situazione in Egitto è completamente diversa. A parte da minoranza dei cristiani copti, la società egiziana è religiosamente omogenea e per nulla tribale. L’estromesso presidente Mubarak non ha mai avuto una stampella etnico-tribale a cui appoggiarsi. Anche l’esercito egiziano è tutt’affatto diverso da quello siriano o iracheno. Così, ad esempio, quando gli Stati Uniti invasero l’Iraq, l’esercito iracheno di frantumò secondo le linee etniche e tribali. I soldati si tolsero la divisa e andarono ad unirsi alle tribù e comunità etniche d’origine. Anche Saddam si comportò secondo il codice tribale: non fuggì dal paese e andò piuttosto a nascondersi nelle ben protette aree della sua tribù. È così che funzionano queste società. Nel paese dei cedri, non appena scoppiò la guerra civile l’esercito libanese si dissolse disintegrò nelle varie componenti etniche e di dissolse. È dunque vero che la Siria non è l’Egitto. La Siria è diversa anche per il prezzo di sangue inflitto dal tirannico regime siriano. Il governo tribale siriano è fondato sulla forza esercitata dai reparti della sicurezza comandanti da uomini della tribù e dai loro alleati interessati. Per sua natura un regime tribale di questo tipo sarà sempre percepito come una sorta di dominio straniero, un genere di dominio che si può a buon diritto definire imperialismo tribale, e che governa utilizzando le forme più brutali di prevaricazione e terrorismo. Cosa che appare ancora più evidente quando domina una tribù di minoranza, come in Siria, per cui qualunque cosa metta a rischio il governo viene vista come una sfida all’egemonia e alla sopravvivenza stessa della tribù dominante. Un tale regime è per sua natura totalmente immerso in un bagno di sangue. Sia Assad padre che Assad figlio si sono fatti paladini della “resistenza” contro Israele: uno slogan vuoto, che serve al regime soltanto come una polizza d’assicurazione contro ogni rivendicazione di libertà e democrazia. Il governo della cosiddetta “resistenza” siriana non ha mosso un dito sul fronte del Golan sin dal 1973. Ma il regime della “resistenza” era ed è prontissimo a combattere Israele fino all’ultimo libanese e, se non basta, fino all’ultimo palestinese». (Da: Ha’aretz, 29.3.11)