“Assad è il nostro nemico, non Israele”

Lo dicono i feriti siriani curati in Israele. La testimonianza di un medico arabo druso delle Forze di Difesa israeliane

Il presidente d’Israele Reuven Rivlin visita pazienti siriani in un ospedale israeliano

Sette feriti siriani – due bambini, quattro donne e un uomo – aspettano nel dolore che scenda il buio per attraversare il confine ed entrare in territorio nemico. Loro sono siriani, il territorio “nemico” è Israele. Sotto un debole chiaro di luna, i membri del corpo medico delle Forze di Difesa israeliane fanno passare rapidamente i pazienti attraverso quella che è una frontiera ostile e li caricano su ambulanze blindate dirette verso ospedali israeliani attrezzati per la terapia intensiva. E’ una scena che si ripete continuamente dal 2013, quando l’esercito israeliano ha iniziato a prendersi cura dei civili siriani feriti nei feroci combattimenti interni che imperversano a pochi chilometri di distanza. In questo modo silenzioso e discreto Israele ha già curato circa 3.000 pazienti, per il 20% bambini: un numero destinato ad aumentare con l’inasprirsi degli scontri nella vicina Siria a seguito del recente attacco con armi chimiche e del conseguente attacco missilistico statunitense.

Sebbene queste cifre non rappresentino che una piccola frazione delle centinaia di migliaia di vittime in sei anni di guerra siriana, sia i medici che i pazienti dicono che questo intervento ha cambiato la percezione di molti e ha contribuito ad attenuare le tensioni sul confine. Il dottor Salman Zarka, direttore dello Ziv Medical Center nella città settentrionale israeliana di Safed, è un ex colonnello del corpo medico che ha prestato servizio sul confine siriano. “Allora – dice – non potevo immaginare che sarebbe stato varato un programma umanitario per i siriani”. Ora il suo ospedale conta la nascita di 19 bambini siriani e invia regolarmente prescrizioni mediche ai pazienti tornati in Siria. “Questo rende tutto più umano, e più complicato” spiega Zarka, aggiungendo d’essere preoccupato per pazienti che conosce solo per nome e che sono tornati in Siria.

Nell’operazione di soccorso di giovedì notte gli ufficiali medici hanno deciso che due dei sette pazienti, tra cui una bambina di 3 anni, avevano ferite troppo gravi e così, via radio, hanno fatto arrivare un elicottero. I soldati hanno caricato le barelle coi due feriti sotto le lame che ruotavano e l’elicottero è decollato nel cielo notturno alla volta del Rambam Hospital di Haifa. “Controlliamo respiro, polso, pressione: tutti i loro segni vitali – dice Omri Caspi, ufficiale medico – Esaminiamo le ferite, controlliamo il torace, la testa, tutto, e poi decidiamo di quale trattamento hanno bisogno”.

I soldati israeliani caricano in fretta i ferirti siriani arrivati da oltre confine

Solo pochi anni fa scene come queste sarebbero state impensabili. Il regime del presidente siriano Bashar Assad è acerrimo nemico di Israele; contatti attraverso le linee sulle alture del Golan erano praticamente inesistenti. Ma lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011 ha modificato radicalmente lo scenario. Il versante siriano del Golan è ora diviso tra le truppe governative e una quantità di gruppi ribelli. Ai combattimenti si sono poi aggiunti russi, iraniani e libanesi Hezbollah, tutti a supporto alle forze di Assad. Israele si è perlopiù tenuto fuori dalla guerra civile siriana, costata la vita già a più di 400.000 persone. A quanti risulta, ha solo effettuato alcuni attacchi aerei contro convogli di armi strategiche dirette a Hezbollah.

Quest’ultimo gruppo di feriti siriani è arrivato in Israele nel momento stesso in cui i missili americani colpivano la base aerea siriana dell’attacco chimico, a meno di 200 chilometri di distanza da qui.

Due pazienti siriani ricoverati da qualche tempo allo Ziv Medical Center hanno accettato di parlare all’Associated Press della loro esperienza in Siria e Israele, a condizione di restare anonimi per paura che loro o le loro famiglie possano essere presi di mira, in Siria, se si venisse a sapere che sono stati in Israele. Dicono che in Siria si è a poco a poco sparsa la voce che Israele aiuta i feriti che arrivano disperati al confine. E che l’assistenza medica è gratuita. Gli ospedali non fanno discriminazioni e assicurano che non raccolgono informazioni personali dai pazienti.

Uno dei due, un 26enne di Deraa, la città nel sud della Siria dove nel 2011 iniziarono le contestazioni anti-Assad spietatamente represse dal regime, sorride seduto su una sedia a rotelle: una gamba mutilata, l’altra stretta in una ingessatura metallica. Dice che era per strada quando una bomba gli ha maciullato le gambe. Impossibile trovare cure adeguate nella devastata sanità siriana, e così ha trovato il modo di arrivare in Israele, pur essendo stato cresciuto nell’odio verso questo paese. “Allora, quando non c’erano scontri in Siria, nessuna rivoluzione, niente di niente, il più grande nemico del mondo per noi era Israele. Era il nemico assoluto”. Il suo compagno si presenta con lo pseudonimo di “Baibars”, il nome di un guerriero musulmano del XIII secolo che sconfisse crociati e mongoli. Una bomba gli ha frantumato  le ossa della faccia: lesioni che, senza aiuto medico, stavano suppurando fino a impedirgli di aprire la bocca. Dopo 40 giorni e svariati interventi all’ospedale Ziv, ora il rivoluzionario 25enne parla senza sosta e canta persino di un suo amore perduto, oltre a lodare i pasticcini israeliani. “Siamo arrivati in posti che i miei nonni non hanno mai visto e incontrato persone buone” dice, con la mandibola ancora non completamente guarita. Dalla sua stanza d’ospedale israeliano, Baibars dice che potrebbe vedere la Siria. Nella sua lunga lista di nemici del popolo siriano – Assad, Russia, Iran, Houthi, Hezbollah, Afghanistan – non include più Israele. “Il regime ha usato armi chimiche sin dall’inizio della guerra – dice Baibars, facendo riferimento agli attacchi a Ghouta Est e Dharaya – Noi cercavamo solo di difenderci”. E conclude: “Il futuro della Siria non annovera Assad. Israele non è il nemico. Bashar Assad è il nemico”.

(Da: Israel HaYom, YnetNews, 9.4.17)

Salman Zarka, arabo isareliano della comunità drusa, laureato in Medicina al Technion di Haifa nel 1988, ha conseguito un master in Sanità pubblica all’Università di Gerusalemme e un master in Scienze politiche all’Università di Haifa. Colonnello delle Forze di Difesa israeliane, ha prestato servizio come ufficiale medico per 25 anni in varie posizioni, da ultimo come comandante dell’ospedale da campo militare per le vittime siriane allestito sulle alture del Golan. Oggi è direttore generale dello Ziv Medical Center di Safed (nord Israele)

Scrive Salman Zarka: «Da sei anni, a soli 50 chilometri dal confine settentrionale d’Israele, civili inermi vengono quotidianamente massacrati, e il mondo tace. Appena al di là del confine, mentre i nostri figli vanno a scuola, si godono le vacanze e comprano regali per le feste, i bambini siriani lottano per sopravvivere. Di tanto in tanto il mondo è improvvisamente scosso dalle notizie di un’altra grande strage in Siria, è profondamente turbato dalle immagini di bambini morti e feriti e pronuncia parole di condanna. E’ successo di nuovo. Questa volta a seguito dell’assassinio di civili in un attacco con armi chimiche presso Idlib. Il mondo era rimasto sconvolto anche alcuni mesi fa per le scene della battaglia di Aleppo, quando dovette nuovamente ricordarsi delle sofferenze della popolazione siriana e chiese agli organismi internazionali di porre fine alla carneficina.

Noi alla periferia nord d’Israele, vicini al confine, nello Ziv Medical Center, un ospedale pubblico, da più di quattro anni curiamo pazienti siriani: uomini, donne e bambini. La maggior parte di loro soffre di ferite di guerra gravi e complesse: ferite da armi da fuoco, da schegge e da esplosione. Arrivano sanguinanti, con lesioni interne o arti mutilati. Qui vengono curati per molti mesi, e oltre a preoccuparsi di salvare la loro vita, il personale è consapevole del fatto che quei pazienti sono qui da soli, che a volte hanno bisogno di vestiti, cibi particolari e, naturalmente, di parole di incoraggiamento e di conforto. Siamo con loro ogni giorno. Sono tristi e impauriti, piangono, sono lontani dalle loro famiglie e dal loro paese. A volte arrivano qui dopo aver visto uccidere membri della loro famiglia. Una volta è una nonna o una zia che accompagna i piccoli nipoti che non hanno più genitori. Un’altra, è una ragazza adolescente che arriva con il fratellino ferito, che è riuscita a malapena a tenere in braccio sino al confine con Israele per chiedere aiuto; o due fratelli su un asino che hanno trascorso giorni e notti per la strada, feriti e sanguinanti, prima di raggiungere il confine con Israele.

Il primo bambino siriano partorito allo Ziv Medical Center

I feriti siriani vengono da noi per essere curati e poi tornare in Siria, alla loro casa o quello che era una casa. Accogliamo i siriani come accogliamo qualunque altro cittadino bisognoso di cure. Gli salviamo la vita, ma non ci limitiamo a garantire che sopravvivano: cerchiamo anche di assicurarci che la riabilitazione sia più completa possibile. Così, nel corso degli anni, al di là delle sue intenzioni, lo Ziv Medical Center è diventato un centro di riabilitazione. Se il nostro governo decide di estendere gli aiuti umanitari ad Aleppo e Idlib, noi siamo pronti. Continueremo a onorare il nostro giuramento come medici e come esseri umani.

Se ogni bambino, donna e uomo torna in Siria facendo tesoro nel proprio cuore dell’incontro umano che gli ha salvato la vita, con il ricordo di un abbraccio da parte di persone che erano stati abituati a considerare nemici mortali e che nel momento più critico si sono rivelati esseri umani, se ogni siriano che viene via di qua lascerà germogliare la sua esperienza, allora potremo sognare un futuro migliore per i loro figli e per i nostri. Siamo prossimi alle festività primaverili, la pasqua ebraica, la pasqua cristiana, Ziyarat al-Nabi Shu’ayb per i drusi e la festa di Isra e Mi’raj per i musulmani. Ognuno di noi, nel suo piccolo orto, può aiutare almeno un poco, alleviare il dolore almeno di un bambino, e sostituire lo shock dalle immagini terribili con una buona azione. Questo è il posto giusto per fare ciò che è scritto in Pirkei Avot (insegnamenti rabbini dell’era mishnaica): “In un luogo dove non ci sono uomini, sforzati di essere un uomo degno”.» (Da: YnetNews, 7.4.17)

 

Per scorrere la galleria d’immagini, cliccare sulla prima e proseguire cliccando sul tasto “freccia a destra”: