“Attenti alle doppiezze di Teheran”: parola di uno che se ne intende di negoziati

Libertà di espressione, di riunione e di culto sono i diritti da garantire al popolo iraniano, non l’arricchimento dell’uranio

L’ex segretario di Stato Usa George Shultz

L’ex segretario di Stato Usa George Shultz

“Non per niente gli iraniani sono famosi come grandi mercanti. Sono bravi a sorridere e a incoraggiarti, e poi tagliarti la gola”. Ha scelto una metafora molto forte, l’ex segretario di Stato Usa George Shultz, 92 anni, intervistato dalla BBC, per avvertire l’amministrazione Obama di esercitare la massima attenzione nei negoziati in corso sul controverso programma nucleare di Teheran. “Bisogna essere risoluti e molto realistici” ha aggiunto Shultz, ricordando che l’Iran è un interlocutore “alquanto tosto” ed è il più grande stato al mondo sostenitore del terrorismo, a cominciare da Hezbollah in Libano.

L’ex segretario di stato dell’epoca di Ronald Reagan ha anche firmato un editoriale sul Wall Street Journal di giovedì in cui mette in guardia gli Stati Uniti dall’aver fretta di arrivare a un accordo con Teheran. “Chi è ansioso di concludere si vedrà recapitare la propria testa”, scrive il diplomatico che negoziò la non proliferazione nucleare con i sovietici. E spiega: “L’elezione del presidente Hassan Rohani, un ‘moderato’ agli occhi di alcuni, può procurare una leggera apertura. Ma non si deve scommettere su di essa. A questo punto, è la forza sotto forma di sanzioni ciò che sta dando risultati. Come per i negoziati per il Trattato INF [con i sovietici], gli Stati Uniti non devono aver paura di alzare la posta. E poi – continua Shultz – se davvero l’Iran non ha alcuna intenzione di produrre armi nucleari, allora che cessi ogni arricchimento dell’uranio e consenta subito ispezioni internazionali: i materiali nucleari per la produzione di energia a scopi civili e per gli impianti di ricerca sono facilmente reperibili, e da anni vengono offerti all’Iran per questi scopi”. (Da: Times of Israel, 21.11.13)

Il Twitter di Khamenei: «Israele è il sinistro, immondo cane rabbioso della regione»

Un indirizzo Twitter associato alla Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, ha diffuso giovedì mattina la foto di un’unità cinofila delle Forze di Difesa israeliane ribadendo l’insulto diramato il giorno prima: “Israele è il sinistro, immondo cane rabbioso della regione”. Mercoledì, ricorrendo a un linguaggio che l’analista di affari iraniani Arash Karami ha giudicato più duro del solito, Khamenei aveva dichiarato davanti a decine di migliaia di miliziani Basij che lo stato ebraico è destinato a scomparire e aveva indicato il “regime sionista” come “il cane rabbioso della regione”. Il giorno dopo, a dispetto delle critiche suscitate da tali dichiarazioni, è stato postato questo tweet con le parole di Khamenei sovrapposte alla foto. Già mercoledì, a commento delle reazioni suscitate dalle dichiarazioni della Guida Suprema iraniana, l’indirizzo Twitter aveva diffuso il messaggio: “Sostenere il miserabile #regime sionista sarà un grande disonore per gli europei”. (Da: Times of Israel, 21.11.13)

Scrive Boaz Bismuth, su Israel HaYom: «Non è facile in questi giorni essere un giornalista iraniano. I giornalisti iraniani inviati a Ginevra si mostravano più aperti che mai, allineandosi alla politica del sorriso inaugurata dal neo presidente Hasan Rohani. Cosa completamente diversa da come si erano comportanti finora in Turchia, Iraq e Kazakistan. Ma mercoledì l’ayatollah iraniano Ali Khamenei ha tenuto un discorso molto aggressivo, e questo non poteva non influenzare anche i giornalisti iraniani a Ginevra. Devono sorridere come Rohani o inveire come Khamenei? Sorridere o non sorridere, questo è il problema. Lo stesso giornalista iraniano che mercoledì mattina mi aveva parlato, sapendo benissimo chi sono, e mi aveva anche intervistato per la sua testata, più tardi nella giornata si è precipitato da me per chiedermi di non pubblicare la foto che avevamo fatto insieme durante l’intervista. Evidentemente nel nuovo Iran ci sono ancora molte sfumature di grigio». (Da: Israel HaYom, 21.11.13)

La responsabile della politica estera dell'Unione Europea, Catherine Ashton, con il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif

La responsabile della politica estera dell’Unione Europea, Catherine Ashton, con il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif

Scrive Clifford D. May, su Israel HaYom: «La settimana scorsa il Ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha dichiarato che “qualsiasi accordo che non riconosca e non rispetti i diritti del popolo iraniano non ha alcuna possibilità d’essere firmato”. Zarif non stava parlando di libertà di parola, di riunione, di religione, che sono alcuni dei tanti diritti umani e civili che il suo regime nega al popolo iraniano da più di trent’anni. No, Zarif stava parlando di un “diritto” che non esiste: il “diritto” del suo regime di arricchire l’uranio. La reazione più appropriata avrebbe dovuto essere una cascata di sonore risate. E invece molti luminari della politica estera sono fermamente convinti che Occidente e amministrazione Obama non debbano dire o fare nulla che possa turbare i governanti iraniani, e che anzi debbano assicurare all’Iran un sollievo economico come misura per creare un “clima di fiducia”. E cosa pensano, questi commentatori, che l’Iran dovrebbe offrire in cambio? Non molto. Certamente non la cessazione dell’arricchimento dell’uranio o della costruzione di un impianto al plutonio ad Arak, né lo smantellamento delle centrifughe e di altre strutture atte alla produzione di armi nucleari, né il trasporto all’estero delle scorte di uranio già esistenti, né altre valide misure per la verifica del rispetto degli accordi nonostante gli imbrogli iraniani del passato. “Non c’è alcuna possibilità – dicono – che Teheran ceda sul suo ‘diritto’ di arricchire l’uranio”. Ma sono convinti che con le trattative in corso si potrà arrivare a un grandioso accordo che produrrà l’equivalente mediorientale della fine della Guerra Fredda con l’Unione Sovietica. Varrà la pena allora ricordare che la strategia del presidente Ronald Reagan – da lui memorabilmente sintetizzata nella frase: “noi vinciamo, loro perdono” – fu quella di accelerare la corsa agli armamenti (qualcuno ricorda gli “Euromissili”?), esercitando una fortissima pressione economica sui russi. E di esigere l’abbattimento del Muro di Berlino, cosa che i sofisticati soloni di politica estera dell’epoca consideravano “impossibile” che accadesse. Un dibattito vivace e informato su questi problemi sarebbe utile e costruttivo. E invece quelli – come i francesi, i sauditi, gli israeliani – che vorrebbero che Occidente e Stati Uniti avessero maggiori carte negoziali, e non meno, non vengono affrontati in un dibattito: vengono semplicemente etichettati come “intransigenti” e “guerrafondai”». (Da: Israel HaYom, 21.11.13)