Bambini israeliani e palestinesi uniti dallo sport

Ahmed Sabri ricordera' sempre il giorno in cui, per la prima volta, ha giocato a calcio con i suoi coetanei israeliani

di Daniel Ben-Tal

image_57Ahmed Sabri ricordera’ sempre il giorno in cui, per la prima volta, ha giocato a calcio con i suoi coetanei israeliani. “Sono fiero della mia uniforme e di essere bravo come i ragazzi israeliani”, dichiara il tredicenne di Sur Bahir, quartiere arabo di Gerusalemme.
Sabri e’ uno degli oltre duecento ragazzi palestinesi e israeliani, di eta’ compresa tra i 9 e i 15 anni, che hanno partecipato a fine febbraio in Israele alla sessione bilingue di allenamenti calcistici, conclusasi con partite fra squadre di giocatori misti.
E’ difficile determinare chi sia israeliano e chi palestinese quando i ragazzini nelle loro belle tenute affollano il campo da calcio di Kiryat Ekron, appena fuori dalla citta’ israeliana di Rehovot.
Muhamad Amin-Halaf, dodicenne di Issawiya (Gerusalemme est), tifa per la spagnola Real Madrid. Kim Hazan, undicenne israeliano di Bney Ayish, tiene invece per la squadra inglese del Manchester United.
“Sono esattamente come noi, parlano soltanto una lingua diversa”, dice Hazan ad “Israel21c” durante una pausa tra le partite. “Ci e’ difficile parlare ed e’ un peccato, perche’ alcuni di loro sono davvero bravi giocatori”.
“I bambini di questa eta’ non vogliono sentir parlare di politica, lasciateli giocare assieme”, afferma il padre orgoglioso di Kim, Avraham Hazan, mentre distribuisce panini e coca-cola ai giovani calciatori affamati. “Inshallah (con l’aiuto di Dio), qualcosa di buono ne verra’ fuori”.
Il programma “Twinned Sports Schools”, sponsorizzato dalla ONG Peres Center for Peace, e’ stato lanciato nel 2002 con il gemellaggio pilota tra le due scuole di Issawiya e Sderot. Nel corso del corrente anno accademico, altre otto “scuole” di calcio e quattro scuole di basket femminile sono state create in comunita’ israeliane e palestinesi economicamente deboli, grazie al supporto di Right to Play, Development Cooperation Ireland, Pratt Foundation e Laureus Sports For Good Foundation.
Oltre a nutrire le aspirazioni sportive dei giovani, le scuole offrono sostegno supplementare in materie quali matematica, inglese, ebraico per i palestinesi e arabo per gli israeliani.
Stando a Gal Peled, coordinatore del progetto per il Centro Peres, l’obiettivo consiste nel richiamare l’attenzione dei piu’ giovani sugli aspetti della vita che essi condividono. “Lavorando assieme, i bambini si rendono conto di quanto abbiano in comune, piuttosto che concentrarsi sulle loro differenze. Una volta divisi in squadre miste, infatti, e’ difficile capire chi sia israeliano e chi palestinese. Non c’e’ dubbio che tutti loro condividano obiettivi e aspirazioni comuni”, ha dichiarato Peled.
Gli atleti in fiore si ritrovano una volta al mese per praticare attivita’ comuni, sebbene non manchino severe misure di sicurezza precauzionali. Una sessione di allenamenti a Sderot si e’ tenuta appena 20 minuti dopo che dei razzi Qassam lanciati dalle vicinanze di Gaza erano atterrati sul campo di calcio della citta’.
A fine febbraio, mentre le giocatrici entusiaste di Issawya e di altri villaggi dell’area di Gerusalemme, Jerico e Kiryat Ekron si mescolavano, la palestra del liceo Ben Zvi situata vicino al campo da calcio di Kiryat Ekron, risuonava di un vociare misto di ebraico e arabo.
L’ex capitano della nazionale israeliana di basket Aluma Goren fischia la fine di altri cinque minuti di partita tra squadre miste israeliane e palestinesi. Ottanta ragazze attendono ansiose il loro turno di gioco.
Uscendo di campo, Racheli Kadosh mostra una ferita sull’avambraccio. “E’ successo in una zuffa per una palla alta con una ragazza araba. Non ho detto nulla, fa parte del gioco”, afferma la quattordicenne di Ofakim con un’alzata di spalle.
“In campo comunichiamo a gesti – spiega Lian Abargil – Le ragazze arabe sono piu’ o meno della nostra statura e non sono piu’ grosse di noi”.
“Alcuni dei nostri genitori si sono preoccupati quando hanno sentito che ci saremmo allenate con ragazze arabe. Hanno voluto sapere esattamente chi fossero, ma alla fine ci hanno tutti permesso di venire”, racconta Abargil.
Peleg spiega che le squadre vengono sempre formate da gruppi misti di israeliani e palestinesi. “Le attivita’ svolte in comune non mettono in competizione i palestinesi contro gli israeliani, al contrario, danno loro la possibilita’ di giocare in squadre miste per incontrare bambini dell’altra parte – racconta – Queste squadre miste si sono dimostrate utili per insegnare ai bambini il gioco di squadra. I giovani si sono resi conto, infatti, che a vincere e’ la squadra che raggiunge il piu’ alto livello di cooperazione”.
Se da un lato le partite di basket a squadre miste offrono l’opportunita’ di rompere il ghiaccio, dall’altro sono pero’ troppo brevi per costruire rapporti d’amicizia, dice la quindicenne Rasan Rhabba di Issawiya.
“I miei genitori sono molto felici che io incontri altre ragazze della mia eta’ – continua – Sto imparando a giocare a basket e mi diverto”.
Meital Abutbul, undicenne di Sderot, e’ la piu’ alta della sua scuola. “Oggi ho imparato qualche nuovo trucchetto di gioco e ho conosciuto due ragazze di Gerusalemme est. Se i miei genitori me lo consentiranno, un giorno andro’ a trovarle”.
Il consulente speciale per lo sport delle Nazioni Unite ed ex presidente della Svizzera, Adolf Ogi, segue i giovani atleti mediante interpreti di ebraico e arabo. “Lo sport e’ una grande scuola nella vita. Dallo sport si imparano solidarieta’, disciplina, spirito di squadra, come vincere e come perdere. Voi siete un esempio per il mondo intero”, ha dichiarato in un crescendo di applausi.
Venti dei previsti sessanta partecipanti arabi della Gerusalemme est non si sono presentati a causa dell’opposizione dei genitori, riferisce l’insegnante Amira Jaber mentre i giovani palestinesi si apprestano a salire sugli autobus che li riportano a casa.
“Questa e’ la prima volta che molti di loro hanno incontrato ragazzini israeliani della loro eta’. Non e’ facile per i bambini giocare assieme agli israeliani. La lingua si pone d’ostacolo tra loro, ma lo sport e’ un linguaggio comune. E’ bene che sentano che i fatti possono volgersi in direzione positiva”.
“Mi chiedo quanto ci vorra’ perche’ i genitori israeliani possano mandare i loro figli da noi senza temere. Dovremo essere tutti pazienti, ci vorra’ tempo perche’ la situazioni si normalizzi”, sospira Jaber.

(Da: Israel21c, 1.03.04)