Barriera più ritiro unilaterale

La lungimirante strategia lasciata incompiuta da Sharon.

Da un articolo di Charles Krauthammer

image_1046L’ictus che ha colpito il primo ministro israeliano Ariel Sharon potrebbe rivelarsi uno dei peggiori disastri che abbiano colpito il paese nei suoi quasi sessant’anni di storia. Le condizioni di Sharon restano incerte, ma la gravità della malattia rende del tutto improbabile un suo ritorno al potere. Ciò potrebbe essere disastroso giacché Sharon rappresentava, anzi incarnava l’emergere di un’idea nazionale razionale e lungimirante, che sembrava destinata a dare vita con le prossime elezioni, per la prima volta dopo decenni, a un centro politico stabile.
Per un’intera generazione la politica israeliana ha offerto solo due alternative. La sinistra diceva: dobbiamo negoziare la pace con i palestinesi. La destra diceva: non c’è nessuno con cui negoziare perché loro non vogliono fare la pace; vogliono distruggerci, per cui noi restiamo nei territori occupati e cerchiamo di integrarli nella vita israeliana.
La sinistra ebbe la sua chance con gli accordi di pace di Oslo del 1993. Accordi che tuttavia si rivelarono una frode e un inganno. L’Olp utilizzò le concessioni israeliane per creare un apparato palestinese armato ed aggressivo nel cuore della Cisgiordania e della striscia di Gaza. L’offerta israeliana di un compromesso di pace estremamente generoso nell’estate del 2000 a Camp David si imbatté in una selvaggia campagna terroristica, la seconda intifada, che assassinò a freddo più di mille israeliani in cinque anni (come se in Italia venissero uccise, in proporzione, 10.000 persone).
Screditata la linea della sinistra, Israele si volse verso la destra eleggendo Sharon nel 2001. Ma l’idea della destra di restare aggrappati ai territori indefinitamente era insostenibile. Governare una popolazione araba giovane, estremista, in costante aumento e votata all’indipendenza palestinese era uno sforzo non solo troppo dispendioso ma anche, in definitiva, vano.
La genialità di Sharon è stata quella di cogliere al volo e iniziare a percorrere una terza via. Essendo illusoria una pace negoziata ed essendo insostenibile l’integrità della Terra d’Israele, Sharon sostenne che l’unica via per la sicurezza era ridisegnare unilateralmente i confini di Israele, erigendo una barriera attorno a un nuovo Israele e ritirando soldati e civili israeliani che si trovavano dall’altra parte: la parte che sarebbe diventata la Palestina indipendente.
Di conseguenza Sharon ritirò completamente Israele da Gaza. Sull’altro fronte, la Cisgiordania, la barriera di separazione attualmente in costruzione darà alla nuova Palestina circa il 93 % del territorio. Il 7% israeliano comprenderà una considerevole maggioranza degli israeliani che vivono in Cisgiordania. Gli altri, lo capisce chiunque, dovranno essere sgomberati e riportati in Israele.
Il successo di questa strategia barriera-più-ritiro-unilaterale si vede bene nel collasso dell’intifada. Gli attacchi terroristici palestinesi sono scesi del 90%. L’economia israeliana è in ripresa: nel 2005 è cresciuta al tasso più alto di tutto l’occidente. Sono tornati i turisti e il paese ha riguadagnato fiducia. L’idea di Sharon di un Israele più piccolo ma più sicuro e demograficamente ebraico si è guadagnata il sostegno della gente, ha messo nell’angolo i vecchi partiti della destra e della sinistra, ed era sulla soglia di un successo elettorale che avrebbe dato vita a un nuovo centro politico volto ad applicare questa strategia.
Il problema è che il veicolo per questo centrismo di Sharon, il suo nuovo partito Kadima, è nato solo da poche settimane, non ha strutture istituzionali e dipende grandemente dal carisma di Sharon e dalla fiducia che la gente aveva in lui. Certo, Kadima non è il partito di un uomo solo. Ha raccolto immediatamente un gran numero di fuoriusciti dai vecchi partiti della destra e della sinistra (laburisti e Likud), compresi membri del governo e del parlamento. Il Kadima non crollerà dalla sera alla mattina. Ma l’uscita di Sharon dalla scena politica lo indebolirà alle prossime elezioni di fine marzo e ne metterà a repentaglio il futuro. Sharon aveva bisogno di tempo, forse solo uno o due anni, per governare il paese come leader del Kadima, impiantarne le radici istituzionali e preparare una nuova generazione di leader del partito che ne prendessero le redini dopo di lui.
Tutto questo non avverrà. Non esiste nel paese, per non dire nel partito, nessun altro con il prestigio e la posizione di Sharon. Il primo ministro ad interim Ehud Olmert, suo vice, è assai improbabile che possa riportare il genere di vittoria elettorale che avrebbe permesso una maggioranza stabile di governo.
Il Kadima rappresenta un’idea per la quale i tempi sono maturi. Ma non tutte le idee i cui tempi sono maturi sono destinate a realizzarsi. Hanno bisogno di autentici protagonisti di levatura storica in grado di attuarle. Sharon era un protagonista storico di prima grandezza, avendo servito in tutte le guerre di Israele sin dalla fondazione dello stato nel 1948, avendo salvato Israele quasi da solo con l’audace attraversamento del Canale di Suez nella guerra di Yom Kippur del 1973, e ora avendo spezzato il duopolio israeliano destra-sinistra che aveva lasciato il paese privo di qualunque idea strategica per muoversi nell’era del dopo-Oslo.
Sharon ha messo Israele sull’unica via strategica razionale per uscire da quel fallimento. Ma, ahimè, aveva condotto il suo paese solo fino a metà strada quando lui stesso è stato portato via. E non ha lasciato nessun Giosuè.

(Da: Jerusalem Post, 9.01.06)

Vedi anche:

Il nuovo baricentro della politica israeliana

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