Ben al di là del problema israelo-palestinese

Da secoli il Medio Oriente è lacerato da conflitti che non hanno nulla a che fare con sionismo e Israele

Da un articolo di Eli Kavon

image_2272Immaginiamo che domani mattina ci svegliamo tutti con l’incredibile notizia che lo Stato di Israele e l’Autorità Palestinese hanno concluso un trattato di pace con tanto di accordo sottoscritti da entrambe le parti sue questioni dei diritti alle fonti idriche, dei confini e dello status di Gerusalemme. D’un tratto, avremmo uno stato ebraico e uno stato palestinese che vivono per sempre, fianco a fianco, in beata pace, la violenza che affligge il Medio Oriente finirebbe del tutto, l’Iran cesserebbe di far rullare i suoi tamburi di guerra e di invocare l’eliminazione dell’entità sionista, la calma regnerebbe sovrana su un Iraq unificato e su un Afghanistan indipendente. In altri termini, una delle regioni più instabili del pianeta si trasformerebbe in un’oasi di stabilità, con ebrei cristiani e musulmani che vivono insieme in serenità.
Ma è solo una fantasia. In realtà, il Medio Oriente di oggi vede in campo da secoli lo stesso intreccio di ostilità e conflittualità etniche e religiose, che si estende ben al di là dei confini dello Stato di Israele. La guerra civile che affligge l’Iraq è, in una certa misura, un conflitto fra musulmani vecchio di mille e trecento anni che non ha nulla a che fare direttamente con il conflitto, vecchio di cento anni, fra arabi palestinesi ed ebrei israeliani.
I sauditi, gli egiziani e i giordani hanno molta più paura di un Iran espansionista e nucleare di quanto non ne abbiano per Israele. Le ultime parole di Saddam Hussein prima di essere impiccato dal governo iracheno non furono “morte all’America” o “morte ai sionisti”. Le sue ultime parole furono: “Morte ai persiani”. Nel momento supremo, il dittatore iracheno scelse di maledire dei correligionari musulmani.
È del tutto evidente che, quand’anche Israele non esistesse, il Medio Oriente sarebbe comunque una regione lacerata da un’infinità di conflitti che non hanno nulla a che vedere né col sionismo né con lo Stato di Israele. Il conflitto israelo-palestinese non è che uno dei tanti sanguinosi conflitti radicati in un’area caratterizzata da una lunga storia di ostilità religiosa, etnica e politica.
Non si vuole con questo sostenere che la questione israelo-palestinese non sia importante ai fini di una più ampia pace in Medio Oriente. Tuttavia, quando cerchiamo di capire l’opposizione araba e islamica all’esistenza dello Stato di Israele, tendiamo a ignorare una motivazione che è ben più determinante di quella dei profughi palestinesi. Quella motivazione è la religione, e specificamente l’islam.
Le radici dell’odio ossessivo per il sionismo e Israele, soprattutto negli ambienti del fondamentalismo islamista, possono essere rintracciate sin dai primi anni delle grandi conquiste islamiche degli inizi del VII secolo su gran parte del mondo allora conosciuto. Sin da allora i conquistatori musulmani, pur riconoscendo a ebrei e cristiani un certo grado di libertà e autonomia religiosa, relegarono tuttavia i tollerati “popoli del Libro” nello status di dhimmi, “popoli subordinati”. I governanti musulmani vietavano a ebrei e cristiani l’onore di cavalcare un cavallo o un cammello, di tenere cerimonie religiose in pubblico, di portare armi, di convertire dei musulmani all’ebraismo o al cristianesimo, di costruire edifici di culto. Ebrei e cristiani dovevano pagare una tassa speciale come chiara manifestazione della loro condizione di inferiorità per aver respinto il Profeta Muhammad quale ultimo profeta della rivelazione divina.
Benché vi siano stati sicuramente dei periodi in cui i governanti musulmani hanno ignorato lo status di dhimmi riconoscendo ad ebrei e cristiani una certa misura di potere e influenza (gli esempi più evidenti furono la Spagna medioevale e l’ultimo periodo dell’Impero Ottomano), in ogni caso la manifesta inferiorità di ebrei e musulmani rimaneva e rimane ancora oggi una componente essenziale della teologia e dell’identità musulmana. Nello Yemen e nell’impero iraniano safavide, gli ebrei vennero trattati più duramente che nella Spagna musulmana o nell’impero turco. Ma dovunque ebrei e cristiani abbiano vissuto nel mondo islamico, furono costantemente in condizioni di subordinazione legale: quasi sempre umiliante, talvolta addirittura fatale.
Dunque non deve stupire che vi siano anche oggi non pochi musulmani, soprattutto negli ambienti fondamentalisti, che non possono accettare di vivere in pace con Israele. L’esistenza di ebrei in uno stato democratico fiero della propria indipendenza, e non nello stato di umiliante soggezione del dhimmi, viene percepito come una sfida a secoli di teologia islamica che proclama la superiorità giuridico, sociale e religiosa del musulmano sull’infedele non musulmano.
Il fatto che lo Stato di Israele con capitale Gerusalemme si trovi nel cuore di ciò che un tempo fu il più grande impero islamico, quello dei turchi ottomani, ricorda costantemente ai musulmani che i gloriosi giorni della potenza politica e militare della loro religione sono tramontati.
Il fatto che diecimila aziende americane facciano affari con e nello stato ebraico, contribuendo di fatto a forgiare un’economia delle dimensioni di un piccolo paese europeo, fa infuriare non pochi musulmani invidiosi di questa piccola nazione, con la sua quota di Premi Nobel e di imprenditori internazionali. Israele, nonostante le sue dimensioni, le sue crisi e le piaghe della guerra e del terrorismo, non è più un paese del terzo mondo. È diventato una moderna società di successo.
I fondamentalisti islamici sognano il ritorno dei tempi in cui gli ebrei sapevano stare al loro posto. Purtroppo per loro, alla fine il dhimmi si è stancato della sottomissione e delle umiliazioni, optando per l’indipendenza e la sovranità.
Questo fatto in se stesso è e rimane un fattore centrale nell’atteggiamento musulmano verso Israele, sia che israeliani e palestinesi facciano la pace sia che restino in perpetuo stato di guerra.

(Da: Jerusalem Post, 23.09.08)

Nella foto in alto: Manifestazione contro Israele di musulmani in Indonesia