Bisogna eliminare l’ISIS finché è ancora un fenomeno relativamente piccolo

Quando cercheremo di schiacciarli? Quando saranno milioni? Quando avranno raggiunto i nostri confini e attaccheranno i nostri soldati e civili?

Di Eitan Haber

Eitan Haber, auyore di questo articolo

Eitan Haber, autore di questo articolo

Qualche tempo prima della guerra dello Yom Kippur, un carro armato siriano era riuscito a infiltrarsi nella parte israeliana delle alture del Golan, a girovagare un po’ sulla strada e a tornarsene a casa in tutta sicurezza. Quasi tre anni fa, nell’estate del 2012, dei terroristi dalla striscia di Gaza riuscirono a penetrare il valico di frontiera di Kerem Shalom e a percorrere la strada vicina per parecchi minuti. In entrambi i casi vi fu chi, in Israele e nelle Forze di Difesa israeliane, sostenne che si trattava di una “spia accesa”, un segnale di avvertimento di ciò che stava per accadere, ma i decisori preferirono minimizzare questi avvertimenti e tirare avanti: siamo bravi, sapremo sempre vincere.

Non è un segreto che forze relativamente modeste garantiscono la sicurezza dei nostri confini con gli stati arabi. Non abbiamo mezzi da investire per schierare grandi divisioni che ci proteggano dalle infiltrazioni da Siria, Libano, Egitto e Giordania. Gli accordi di pace firmati con Egitto e Giordania tengono da decenni, e così facciamo affidamento sul fatto che anche loro facciano la loro parte a guardia del confine comune.

Ma non è che non vediamo il pericolo in agguato nel prossimo futuro, verosimilmente dalla direzione dell’Egitto e della penisola del Sinai. I jihadisti dello “Stato Islamico” (ISIS) sono ai nostri confini, e con quella gente non c’è via di mezzo: o noi o loro. Bisogna dare atto che non nascondono le loro intenzioni. E’ imperdonabile reagire con una scrollata di spalle: abbiamo battuto tutti gli eserciti arabi insieme nella guerra dei sei giorni, perché non dovremmo battere un gruppo terrorista? Che ci provino.

ISIS Palmira

Un’immagine tratta del video diffuso dall’ISIS che mostra l’esecuzione con un colpo alla testa di almeno 27 soldati siriani fatti inginocchiare nell’antico teatro di Palmira davanti a una folla di spettatori seduti sulle scalinate dell’anfiteatro e fatti uccidere da ragazzini in uniforme mimetica

Appunto. In una situazione “o noi o loro”, Israele e Forze di Difesa israeliane dovrebbero scovare ogni mezzo e stratagemma per difendere la vita dei propri cittadini. In parole semplici: adottare misure preventive, prevenire quello che ci si aspetta che accada nel giro di qualche mese o anno. In parole politicamente scorrette: eliminarli finché sono ancora relativamente pochi.

Questo è quello che abbiamo fatto nella campagna del Sinai, nella guerra dei sei giorni e in molte operazioni di sicurezza tra una guerra e l’altra. Questo è quello che abbiamo cercato di fare con la prima e la seconda guerra in Libano. Questo è quello che hanno fatto a noi con la guerra dello Yom Kippur: cogliere un’opportunità.

E’ vero che la situazione diplomatica internazionale in questo momento non sembra a nostro favore, ma i principali regimi arabi in realtà ci guardano benevolmente: abbiamo un nemico comune che si sta moltiplicando per numero e spavalderia, che minaccia la loro stabilità massacrando soldati e civili. I giordani sono estremamente preoccupati che l’ISIS possa infiltrarsi nel loro paese, e se ci riuscisse – Dio non voglia – ce li ritroveremmo alla barriera di Qalqilya, letteralmente a un passo dalle maggiori città israeliane.

Adesso ci chiameranno guerrafondai. No, siamo pacifici e soprattutto vogliamo vivere. A volte, quando non c’è altra scelta, per poter sopravvivere altri devono morire. E’ orrendo, è orribile, ma è sempre meglio capirlo noi che lasciarlo fare ad altri con noi.

Bisogna ricordare che l’ISIS non è uno stato né un esercito. E’ un’idea che esercita una terribile forza d’attrazione. Ecco perché è importante colpire coloro che la diffondono prima che si trasformi in un’epidemia.

Qualcuno dirà: una guerra in questo momento? Sei impazzito? Ma se tutta la forza dello stato d’Israele e del movimento sionista sta nell’aver allungato gli intervalli tra una guerra e l’altra, lungo questa guerra dei cent’anni di cui di volta in volta cambia solo il nome?

Si risponderà, secondo l’antico detto: “Se non sono io per me, chi per me? E se non ora, quando?”. Quando cercheremo di schiacciarli? Quando saranno milioni? Quando avranno raggiunto i nostri confini attaccando i nostri soldati e civili? Quando l’idea dello “stato islamico” si sarà estesa al di là del Medio Oriente sin dentro gli stessi paesi occidentali?

(Da: YnetNews, 5.7.15)