Boicottaggi di arte e accademia: faziosi, meschini e stupidi

Israele è l’unico paese in Medio Oriente che finanzia film severamente polemici verso lo stato e il governo

di Teddy Leifler

image_2602La decisione di John Greyson di ritirare il suo film “Covered” dall’International Film Festival di Toronto è un ulteriore, ignobile esempio del disgustoso doppiopesismo che viene applicato ai danni di Israele, per diffamarlo e diffamare i cineasti israeliani.
Innanzitutto, l’International Film Festival di Toronto deve essere fiero d’aver mantenuto la sua decisione di andare avanti con il programma di film dedicati al centenario di Tel Aviv. Nonostante il Festival venisse scaraventato in una incresciosa posizione a causa di una vera e propria aggressione e di una imbarazzante pubblicità, i direttori hanno dimostrato determinazione e grande integrità.
John Greyson sostiene che la sua decisione di ritirare il film è dovuta ai contributi finanziari giunti quest’anno al festival dal governo e da privati israeliani. Su queste basi non dovrebbe allora boicottare il fatto stesso di andare a vedere qualunque film israeliano? Ad esempio, il film “Valzer con Bashir” non sarebbe mai stato girato senza i finanziamenti forniti dal Film Council israeliano. Proiettato esattamente un anno fa al Film Festival di Toronto, si tratta di una fotografia profondamente critica e polemica del ruolo delle Forze di Difesa israeliane in Libano. Israele è l’unico paese in tutto il Medio Oriente il cui governo garantisce finanziamenti statali alla produzione di film e altre opere d’ingegno che sottopongono a severa critica lo stato stesso e le sue politiche. Ma questo concetto sembra sfuggire del tutto a Greyson.
L’idea che la comunità cinematografica israeliana sia una sorta di portavoce del governo israeliano è semplicemente ridicola. Come in molti altri paesi, l’industria del cinema israeliana è liberale, diversificata e offre tutta una serie di voci che criticano lo status quo. E come in molti altri paesi, compreso quello di Greyson (il Canada) e il mio (il Regno Unito), la produzione di film sarebbe drammaticamente scarsa senza i tanto necessari finanziamenti statali.
L’effetto che Greyson si augura di ottenere, suppongo, è che la sua assenza, o perlomeno l’annuncio della sua assenza, metta in difficoltà gli organizzatori del Festival di Toronto, tormentandoli e intimidendoli. Non si tratta di un caso isolato. Abbiamo già visto Ken Loach abusare del suo status per intimidire sia l’International Film Festival di Edimburgo che l’International Film Festival di Melbourne, sempre e solo su questo tema. Forse, adottando un atteggiamento altrettanto intimidatorio di quello di Loach, Greyson spera che il suo film goda alla fine di maggiore risalto e maggiori applausi. Tristemente, invece, l’unico risultato che verrà da questo genere di scelte sarà molto probabilmente alienazione e malessere per i cineasti israeliani, colpiti unicamente in base alla loro nazionalità, cioè per il solo fatto di essere israeliani: un agghiacciante effetto collaterale che non potrebbe essere più controproducente. Coloro che operano nel campo delle arti in Israele, e per la verità in tutte le regioni conflittuali, sono proprio quelli che devono sentirsi inclusi, non esclusi. Naturalmente lo stesso vale per tutto il mondo accademico.
I boicottaggi di questa natura non colpiscono la politica del governo: riducono soltanto il numero di persone con cui si possono avere utili scambi di opinioni. E silurano la ricerca di soluzioni pacifiche, ostracizzando deliberatamente importanti sostenitori dei progressi in quel senso.
Lo sa, John Greyson, che esistono molti intrepidi film, prodotti in modo indipendente da cineasti israeliani spesso col determinate supporto di fondi statali, e che i migliori registi israeliani possono dire esattamente quello che vogliono, senza timore di nessuna ripercussione? Una democrazia matura alimenta la libera produzione artistica. Perché mai si dovrebbero respingere questi artisti? Purtroppo, temo, la decisione di John Greyson ha più a che fare con John Greyson stesso che con qualunque altra cosa. Confezionata come una presa di posizione etica e politica, di fatto si tratta solo di una montatura propagandistica. Presumibilmente, allo scopo di ottenere il massimo effetto (intanto continua benevolmente a esibire il suo film on-line), Greyson ha aspettato a ritirare il suo film appena prima che iniziasse il Festival di Toronto, sebbene da mesi sapesse (e criticasse) la sponsorizzazione israeliana.
Non è troppo tardi perché Greyson cambi idea, porti la sua opera al Festival e si impegni seriamente sulla questione. Nel frattempo, comunque, non è che perderò il sonno. C’è sempre gente che sembra troppo votata ad una demonizzazione, intellettualmente confusa e superficiale, sempre dello stesso paese, anche se questo significa concentrare la condanna proprio sui soggetti più aperti, creativi e progressivi di quel paese.

(Da: Jerusalem Post, 10.09.09)

Nella foto in alto: l’autore di questo articolo, Teddy Leifler, regista e produttore televisivo, copresidente della fondazione RISE che gestisce programmi educativi per bambini svantaggiati in Africa.