Breaking the Silence meriterebbe un premio per ipocrisia

La ong invoca indagini sui “crimini” delle Forze di Difesa israeliane, ma non è in grado di circostanziare le accuse. Messa alle strette, si atteggia a vittima di attacchi politici

Omri Seiner, il comandante dell’unità delle Forze di Difesa israeliane dove ha prestato servizio Dean Issacharoff, il portavoce dell’associazione Breaking the Silence diventato celebre per aver affermato in pubblico d’aver aggredito e picchiato un palestinese mentre era sotto le armi a Hebron, accusa il suo ex-commilitone si aver inventato un incidente che “non è mai successo”. Lo stesso avevano già fatto gli altri soldati della stessa unità in un video dove, presentandosi con il proprio volto, nome e cognome, hanno dato apertamente a Issacharoff del “bugiardo” (shakran).

 

 

Dopo le dichiarazioni pubbliche circa il pestaggio che Issacharoff dice d’aver fatto, su richiesta della ministra della giustizia Ayelet Shaked il procuratore generale Avichai Mandelblit ha esaminato il caso e ha dato istruzione alla polizia di aprire un’inchiesta a carico di Issacharoff. Breaking the Silence, una ong israeliana che afferma di dare voce a soldati e ufficiali che raccontano (per lo più in modo anonimo) “crimini di guerra” commessi durante il loro servizio militare, accusa regolarmente la giustizia israeliana di non condurre indagini approfondite sui casi segnalati. Tuttavia, in questo caso, la accusa esattamente del contrario e cioè di aver aperto un’indagine sui fatti riferiti dal suo portavoce.

“O siamo di fronte a un bugiardo che calunnia le Forze di Difesa israeliane, oppure a un caso di violenza che deve essere indagato – ha detto la ministra Shaked – Lo stato ha chiesto e continuerà a chiedere di ricevere le testimonianze inviate alla ong Breaking the Silence in modo da poterle indagare e scoprire la verità. Le Forze di Difesa israeliane vantano standard etici fra i più alti al mondo e tutti i casi di violenza, vera o presunta, devono essere indagati”.

Omri Seiner (a sinistra) e Dean Issacharoff

Purtroppo gran parte delle segnalazioni di Breaking the Silence sono anonime e non circostanziate, e la ong si rifiuta di fornire alle autorità i dati necessari per avviare le inchieste. Breaking the Silence accusa le autorità di non voler davvero indagare a tutela della moralità dell’esercito, ma di voler solo attaccare la ong e minare la sua credibilità.

Intervistato in due diverse occasioni da Israel HaYom e da YnetNews, Seiner, che era il comandante dell’unità di Issacharoff al momento del presunto crimine, ha dichiarato che l’incidente descritto nella sua testimonianza “non è mai accaduto”, ricordando che lo stesso hanno affermato tutti i soldati sotto il suo comando. In base alle leggi e a precedenti sentenze, ha sottolineato Seiner, nell’esercito israeliano “se ricevi un ordine che ritieni illegale, hai il dovere di opporti e dire: non lo faccio. Tutti i miei uomini sapevano che la mia porta era aperta, ma Dean Issacharoff non è mai venuto da me a dire: questa cosa è sbagliata, parliamone”. “Quando ho visto la sua testimonianza – ha raccontato Seiner – sono rimasto scioccato. Ho subito parlato con il centro di comando e con tutti i soldati: forse c’era qualcosa che non avevo visto. Ma nessuno capiva di cosa stesse parlando. E’ una storia completamente inventata. Sono accuse serie, che infangano il mio nome e quello dei soldati. Delle due l’una: o noi siamo dei criminali o lui è un bugiardo, e ci deve chiedere scusa”.

Nel frattempo, Amit Deri, portavoce di Reservists on the Front, il gruppo che ha raccolto le testimonianze degli altri soldati dell’unità di Issacharoff, si è chiesto come mai lo stesso Issacharoff sia così riluttante a partecipare a un serio dibattito sulla questione con le persone che erano presenti durante il suo presunto crimine. “Noi diciamo: controlliamo quello che dici. Tutti i soldati che hanno fornito la loro testimonianza sono pronti a ripeterla sotto poligrafo [macchina della verità]. Lui è disposto a farlo? Perché non è qui a parlarne con noi e non è disposto a un confronto? Qui ci sono ventidue persone che affermano che ciò lui racconta non è mai successo”.

(Da: YnetNews 25.6.17, Israel HaYom 7.5 e 25.6.17)

Ben-Dror Yemini

Scrive Ben-Dror Yemini su YnetNews: «Yuli Novak, direttrice di Breaking the Silence, è furibonda per l’inchiesta a carico del suo portavoce Dean Issacharof, che ha dichiarato di aver commesso un crimine di guerra picchiando a sangue un palestinese. Perché proprio lui, si lamenta Novak, quando ci sono centinaia di altre testimonianze? Sono andato a controllare le “testimonianze” di cui parla Novak. E non testimonianze a caso, ma quelle segnalate dalla ong come le più gravi. Una di esse riguarda il caso di un bambino di tre anni che è stato lasciato sotto un letto durante una perquisizione anti-terrorismo armi in pugno. La stessa testimonianza dice che non gli è stato torto un capello. Sicuramente una vicenda incresciosa e molto triste, ma devo dire che non ho capito dove sarebbe il crimine di guerra da indagare. Un’altra testimonianza parla di un caso in cui i soldati avrebbero violato il divieto di ricorrere alla cosiddetta “procedura del vicino” (costringere un vicino o un parente del ricercato a partecipare al suo arresto facendo in pratica da scudo umano). Dalla testimonianza non è chiaro quando l’incidente sarebbe accaduto, ma è importante perché la pratica è stata proibita da una sentenza della Corte Suprema nell’agosto 2002 (nel pieno dell’intifada della stragi suicide e della caccia ai suoi responsabili).

“Atta shakran” (“sei un bugiardo”)

L’affermazione che le Forze di Difesa israeliane l’avrebbero ignorata appare un po’ strana se nel 2007, ad esempio, la polizia militare ha condotto un’inchiesta a carico nientemeno che di un generale, Yair Golan, allora a capo della Divisione Giudea e Samaria, per aver violato il divieto. La terza testimonianza ha a che fare con la procedura cosiddetta del “bussare sul tetto”: una prima piccola bomba che le forze israeliane sganciano sul tetto di un edificio per avvertire gli eventuali civili presenti di sgomberare perché il fabbricato ospita strutture terroristiche e verrà preso di mira come obiettivo militare. Il soldato che ha dato la testimonianza lamenta il fatto che il tempo fra il “colpetto di preavviso” e il vero bombardamento è, a suo dire, “abbastanza lungo da dare il tempo ai terroristi di mettersi al riparo, ma non abbastanza per una famiglia che ha una nonna seduta in salotto”. Non potevo crederci. L’esercito israeliano è l’unico al mondo che ricorre a questa procedura rinunciando all’effetto-sorpresa pur di preservare persone innocenti. Dove sarebbe il crimine di guerra? Cosa vuole esattamente Breaking the Silence, che la procedura venga annullata del tutto? Sono passato alle testimonianze in video, quelle che dovrebbero essere più gravi. Ebbene, nel primo video il soldato afferma che, durante la caccia a un terrorista ricercato, lui ha “afferrato il capo famiglia per la camicia e lo ha spinto contro il muro”. Egli stesso aggiunge che “non c’è stato nessun pugno e nessuno schiaffo”. Dov’è il crimine di guerra da indagare? In un’altra testimonianza, Nadav Weiman, che poi è diventato uno dei leader della ong, dice che un rabbino militare ha predicato ai soldati che l’obiettivo era tornare a Nablus. Sono d’accordo con Weiman: vorrei che non nessuno predicasse di tornare a Nablus. Ma dov’è il crimine di guerra da indagare? Certo, vi sono anche testimonianze più gravi. Una ogni varie decine. E il procuratore generale militare voleva indagare sui casi relativi ad autentici sospetti di reato. Ma i membri della ong invocano la protezione delle loro fonti. E intanto la direttrice Novak si lamenta che le testimonianze non vengono indagate. Meriterebbe il primo premio per ipocrisia.» (Da: YnetNews, 2.7.17)