Bush sul MO: cosa dice e cosa intende

A prima vista non cè nulla di nuovo in ciò che ha detto il presidente Usa lunedì scorso a Bruxelles.

Da un editoriale di Haaretz

image_585A prima vista non c’è nulla di nuovo in ciò che ha detto il presidente Usa George W. Bush lunedì scorso a Bruxelles sul conflitto israelo-palestinese. Bush ha ribadito la sua visione di due stati, Palestina a fianco di Israele, da lui già abbracciata nel giugno 2002 e che i più alti rappresentanti della sua amministrazione, primo fra tutti il segretario di stato Condoleezza Rice, da allora hanno spesso ripetuto. Lo stato palestinese descritto da Bush ha chiare caratteristiche: deve essere in grado di mantenersi, nel senso che non deve dipendere dalla respirazione artificiale garantita da altri; deve avere continuità territoriale in Cisgiordania; deve combattere il terrorismo; deve dotarsi di istituzioni democratiche non affette da corruzione endemica.
L’importanza del discorso di Bush a Bruxelles non sta tanto in ciò che ha detto quanto nel contesto in cui l’ha detto. Prima di tutto il momento. Da quando formulò per la prima volta questa sua posizione, Bush ha fatto la guerra in Iraq, una guerra non ancora finita nonostante la caduta di Saddam Hussein; Yasser Arafat è morto ed è stato rimpiazzato da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), che ha adottato una linea più moderata e che si dà da fare per un cessate il fuoco; e Ariel Sharon ha avviato il ritiro di ogni presenza israeliana, militare e civile, da tutta la striscia di Gaza e da quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania.
Anche se Bush nel suo discorso non vi ha fatto direttamente riferimento, appare chiaro il suo appoggio al piano di Sharon. Il suo discorso contemplava sia l’aspettativa che Israele attui lo sgombero, sia l’impegno a tenere conto della volontà di Israele di preservare alcuni blocchi di insediamenti in Cisgiordania. Questo è un fatto diplomatico di prima importanza, almeno finché Bush sarà alla Casa Bianca. (…)
Nell’attuale disputa circa il tasso di progressi fatti verso il punto d’arrivo della Road Map, la composizione definitiva del conflitto, gli europei stanno chiaramente con i palestinesi, che cercano di farsi esentare dal compito di creare apparati civili e di sicurezza efficaci e trasparenti e dall’obbligo di contrastare seriamente il terrorismo. Bush ha messo in chiaro che, su questo, sta con Israele. I palestinesi dovranno superare l’esame dell’amministrazione americana, e gli esaminatori saranno la Rice e William Ward, il coordinatore Usa incaricato di supervisionare i loro progressi.
Bush non ha parlato solo agli europei, ma anche ad Abu Mazen e a Sharon. Ad Abu Mazen ha detto che l’occasione che gli si presenta è momentanea e fugace. A Sharon – e forse ancor più a quesgli oppositori all’interno del Likud che sperano di far naufragare il disimpegno – ha ricordato che lo stato palestinese non sarà raffazzonato mettendo insieme pezzetti separati di territorio.
Questa posizione americana non dipende da chi sia a capo del governo israeliano, così come le richieste alla dirigenza palestinese non sono diventata meno stringenti con il passaggio della presidenza da Arafat ad Abu Mazen.

(Da: Ha’aretz, 23.02.05)

Questi i principali passaggi relativi al teatro mediorientale nel discorso fatto lunedì 21 febbraio a Bruxelles dal presidente Usa George W. Bush.

“La nostra maggiore occasione e obiettivo immediato è la pace nel Medio Oriente. Dopo molte false partenze, speranze infrante e vite svanite, una risoluzione del conflitto tra gli israeliani e i palestinesi è ora a portata di mano. L’ America e l’ Europa hanno assunto un impegno morale. Non rimarremo a guardare mentre un’ altra generazione nella Terra Santa cresce in un clima di violenza e disperazione. L’ America e l’ Europa condividono anche un interesse strategico. Contribuendo a costruire una pace duratura, rimuoveremo dei rancori irrisolti che sono usati per fomentare odio e violenza in tutto il Medio Oriente. I nostri sforzi sono guidati da una visione chiara. Siamo decisi a vedere due stati democratici, Israele e la Palestina, che vivono l’ uno accanto all’ altro in pace e sicurezza. Il popolo palestinese merita un governo che sia rappresentativo, onesto e pacifico. Il popolo israeliano ha bisogno che finisca il terrore e vi sia un partner affidabile e deciso alla pace. E il mondo non deve smettere di adoperarsi finché non si arrivi a una risoluzione giusta e duratura di questo conflitto. Tutte le parti devono assumere delle responsabilità. Gli stati arabi devono porre fine a ogni istigazione nei loro mezzi di comunicazione, tagliare i fondi al terrorismo, smettere di sostenere un’ istruzione scolastica estremista e stabilire relazioni normali con Israele. I leader palestinesi devono affrontare e disarmare i gruppi terroristi, combattere la corruzione, incoraggiare la libertà d’ impresa e stabilire una vera autorità nei confronti del popolo. Solo una democrazia può sostenere le speranze dei palestinesi, rendere Israele sicuro e alzare la bandiera di una Palestina libera. Il successo della democrazia in Palestina dovrebbe anche essere il principale scopo di Israele. Perciò Israele deve sospendere gli insediamenti, aiutare i palestinesi a costruire una economia florida e rendere possibile la costruzione di un nuovo stato palestinese con territori contigui sulla West Bank. Uno stato composto da territori sparsi non funzionerà. Cerchiamo la pace tra Israele e la Palestina per il valore della pace. Siamo anche consapevoli che una Palestina libera e pacifica possa dare maggior slancio al processo di riforme in tutto il Medio Oriente. A lungo andare non possiamo vivere in pace e sicurezza se il Medio Oriente continuerà a produrre ideologie volte all’ assassinio e terroristi che cercano le armi più letali. Regimi che terrorizzano il proprio popolo non esiteranno ad appoggiare il terrore all’ estero. Lo status quo della tirannia e la disperazione nel Medio Oriente, la falsa stabilità della dittatura e la stagnazione possono solo portare a un maggior risentimento in una regione martoriata e a maggiori tragedie nelle nazioni libere. Il futuro delle nostre nazioni e il futuro del Medio Oriente sono collegati e la nostra pace dipende dalle loro prospettive, dal loro sviluppo e dalla loro libertà. Riforme durevoli ed efficaci nell’ arco del Medio Oriente non saranno imposte dall’ esterno. Devono essere volute dall’ interno. I governi devono scegliere di combattere la corruzione, abbandonare le vecchie abitudini di controllo, proteggere il diritto di coscienza e i diritti delle minoranze. I governi devono investire nella sanità e nell’ educazione dei loro popoli e assumersi la responsabilità di risolvere i problemi invece di limitarsi a dare la colpa ad altri. I cittadini devono ritenere responsabili i propri governi. Il cammino non è sempre facile, come possono testimoniare tutti i popoli liberi. Tuttavia vi sono ragioni per aver fiducia. Alla fine uomini e donne che cercano il successo della propria nazione rifiuteranno un’ ideologia fatta di oppressione, rabbia e paura. Alla fine gli uomini e le donne abbracceranno la partecipazione democratica e il progresso. Stiamo intanto assistendo ad un arco di riforme che va dal Marocco al Bahrain, all’ Iraq all’ Afghanistan. Il nostro compito è incoraggiare questo progresso accettando i doveri delle grandi democrazie. Dobbiamo stare dalla parte dei riformatori democratici. Dobbiamo incoraggiare i movimenti democratici. E dobbiamo appoggiare le transizioni verso la democrazia in modi concreti. L’ Europa e l’ America non devono aspettarsi e non devono pretendere che le riforme avvengano di colpo. Non è avvenuto così nella nostra storia. Al mio Paese sono occorsi molti anni per accogliere a pieno titolo le minoranze e le donne nel sistema americano e questa battaglia non è ancora finita. Tuttavia, mentre le nostre aspettative devono essere realistiche, i nostri ideali devono mantenersi saldi e chiari. Dobbiamo attenderci standard più alti dai nostri amici e partner mediorientali. Il governo dell’ Arabia Saudita può dimostrare la sua leadership nella regione incrementando il ruolo del popolo nella possibilità di determinare il proprio futuro. E la grande e fiera nazione egiziana, che ha mostrato la strada verso la pace nel Medio Oriente, può ora mostrare la strada verso la democrazia. Il nostro comune impegno per un progresso democratico viene messo alla prova in Libano, un Paese una volta fiorente che ora soffre a causa di un vicino oppressivo. Il regime siriano, mentre deve agire in modo più deciso per fermare chi sostiene la violenza e la sovversione in Iraq, deve anche cessare di appoggiare gruppi terroristi che cercano di distruggere le speranze di pace tra israeliani e palestinesi. La Siria deve anche porre fine all’ occupazione del Libano. Il popolo libanese ha il diritto di essere libero e gli Stati Uniti e l’ Europa hanno un comune interesse a che il Libano sia uno stato democratico e indipendente. Il mio Paese e la Francia si sono adoperati per far approvare la risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza, che chiede che la sovranità del Libano sia rispettata, che i militari e gli agenti stranieri siano ritirati, e che si tengano libere elezioni senza interferenze straniere. Negli ultimi mesi il mondo ha visto uomini e donne prendere parte a elezioni storiche da Kabul a Ramallah a Baghdad. E senza l’ interferenza siriana, le elezioni parlamentari nella prossima primavera in Libano potranno rappresentare un’ altra pietra miliare della libertà. (…) In Iran il mondo libero ha uno scopo comune. Per amore della pace il regime iraniano deve cessare di dare sostegno al terrorismo e non deve costruire armi nucleari. Nel salvaguardare la sicurezza delle nazioni libere, non si può escludere nessuna opzione. Tuttavia l’ Iran è diverso dall’ Iraq. Siamo alle prime fasi della diplomazia. Gli Stati Uniti sono membri del gruppo di governo dell’ IAEA (International Atomic Energy Agency), che ha la responsabilità di affrontare questo problema. Stiamo lavorando in collaborazione con l’ Inghilterra, la Francia e la Germania, che si oppongono alle ambizioni nucleari dell’ Iran e insistono perché Teheran si adegui alle leggi internazionali. I risultati di questo modo di affrontare la questione dipendono ora in larga parte dall’ Iran. Ci adoperiamo anche perché l’ Iran attui le riforme promesse. È arrivato il momento per il regime iraniano di ascoltare il suo popolo, rispettarne i diritti e unirsi al movimento per la libertà che sta crescendo intorno a loro. In tutto il Medio Oriente, dai territori palestinesi al Libano, all’ Iraq e all’ Iran, credo che l’ avanzamento della libertà all’ interno delle nazioni costruirà la pace tra le nazioni stesse. E una ragione di questa convinzione deriva dall’ esperienza dell’ Europa. In due guerre mondiali, l’ Europa ha visto la natura aggressiva della tirannia e il costo terribile della mancanza di fiducia e della divisione. Nella Guerra Fredda l’ Europa ha visto che la cosiddetta stabilità di Yalta era una fonte costante di ingiustizia e paura. E ha anche visto che l’ ascesa di movimenti democratici come Solidarnosc riusciva ad aprire la cortina di ferro tesa dai tiranni. Il diffondersi della libertà ha contribuito a risolvere vecchi conflitti e l’ allargamento della Nato e l’ Unione Europea hanno trasformato i rivali in alleati. L’ America sostiene l’ unità democratica dell’ Europa per la stesse ragioni per cui appoggiamo il diffondersi della democrazia in Medio Oriente: perché la libertà porta alla pace”.

(Da: Corriere della Sera, 22.02.05)