Caso Shalit: gli interessi in gioco

Israele deve salvare l’ostaggio senza rafforzare Hamas, Barghouti ne vuole approfittare

di Yaakov Katz

image_2674Lo scorso ottobre, quando Israele scarcerò una ventina di detenute palestinesi in cambio di un video con Gilad Shalit, i funzionari della difesa dicevano che Hamas non era interessata a un accordo in quel momento perché preferiva aspettare una data più vicina alle elezioni dell’Autorità Palestinese per approfittare del proprio prevedibile aumento di popolarità. L’interesse d’Israele è da sempre esattamente opposto: ottenere il rilascio di Shalit a distanza dalle elezioni palestinesi – che da allora sono state rinviate a data imprecisata – per evitare che le scarcerazioni in massa di detenuti palestinesi, che verrebbero naturalmente accreditate a Hamas, erodano in modo decisivo la posizione del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), il leader che Israele ha cercato di sostenere negli ultimi anni e col quale Israele spera alla fine di riuscire a fare la pace.
Il rilascio di Shalit viene comunemente considerato sotto l’aspetto del pesante prezzo che Israele sarà costretto a pagare, ma in realtà condiziona tutta una serie di svariati interessi di parecchi soggetti in gioco tra cui Israele, Hamas, Fatah e gli Stati Uniti. Un peso davvero eccessivo per le povero spalle di un soldato semplice tenuto in ostaggio da Hamas da quasi tre anni e mezzo.
L’interesse di Israele è duplice e quanto pare contraddittorio. Da una parte, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, come Ehud Olmert prima di lui, vuole portare in salvo Shalit; allo stesso tempo, però, non vuole rafforzare Hamas.
Se è vero che Hamas risulterebbe rafforzata nell’immediato dalla scarcerazione di più di mille detenuti, è anche vero d’altra parte che il rinvio delle elezioni palestinesi – la commissione elettorale dovrebbe riunirsi a dicembre per fissare la nuova data – potrebbe ridurre questo effetto.
Inoltre, se risulteranno fondati i resoconti secondo cui nello scambio, insieme ai detenuti di Hamas, verrebbe rimesso in libertà anche il leader dei Tanzim Marwan Barghouti, si ritiene che questi goda del sostegno popolare necessario per rafforzare Abu Mazen e contrastare l’ascesa di Hamas.
Per Abu Mazen, Barghouti potrebbe essere l’asso nella manica. Finora il presidente palestinese, che è in giro per il Sud America, non si è pronunciato sull’incombente accordo. Dall’Argentina, lunedì, ha parlato della necessità di rilanciare i negoziati e di un congelamento delle costruzioni israeliane negli insediamenti, senza fare nessun accenno a Shalit.
Per Netanyahu, lo scambio potrebbe significare due cose. Da un lato, egli verrebbe riconosciuto dalla maggior parte degli israeliani (quelli a favore dell’accordo di scambio) come colui che, dopo meno di un anno in carica, ha preso la coraggiosa decisione ed è risuscito là dove altri prima di lui avevano fallito. Dall’altro lato, c’è il fatto che Netanyahu si presenta come un duro che ha sempre predicato di non arrendersi al terrorismo. Il cedimento al ricatto di Hamas potrebbe essere visto esattamente come una resa al terrorismo. Certo, con la sua squadra di PR cercherà di presentare diversamente la vicenda, in particolare sostenendo che è stato Olmert a fissare i parametri del negoziato e che pertanto lui non ha avuto altra scelta che accettare quello schema. Netanyahu sosterrà molto probabilmente che, però, da Shalit in avanti Israele non pagherà mai più tali prezzi. Cosa che naturalmente resta tutta da vedere.
La più grossa battaglia, comunque, avrà inizio nel momento in cui i detenuti verranno scarcerati da Israele, e sarà la battaglia fra Hamas e Fatah per la conquista dell’opinione pubblica palestinese.
Come negli scambi precedenti, i detenuti scarcerati in Cisgiordania verosimilmente verranno innanzitutto portati alla Muqata, a Ramallah, per un abbraccio e una foto con Abu Mazen, anche se questi non può attribuirsi direttamente il merito del loro rilascio. E verosimilmente gli esponenti di Hamas sosterranno di essere loro i veri leader del popolo palestinese, gli unici in grado di strappare il rilascio dei detenuti.
Israele dovrà ponderare attentamente la scarcerazione di alcuni pericolosi detenuti presenti nella lista di Hamas che è stata pubblicata sulla stampa araba. Barghouti, ad esempio, sta scontando cinque ergastoli. Sempre stando alla stampa araba, sembra che sia nella lista anche Ahmad Sa’adat, il capo dell’Fplp arretrato da Israele con un audace raid a Gerico alcuni anni fa, responsabile dell’assassinio del ministro israeliano Rehavam Ze’evi. Ma nelle liste pubblicate dai giornali arabi compaiano anche altri nomi grossi, sebbene meno noti al grande pubblico, come Ibrahim Hamed, ex capo dell’ala militare di Hamas, responsabile della morte di decine di cittadini israeliani, o Abed Said, il mandante dell’attentato suicida della sera di Pasqua di sette anni fa al Park Hotel di Natanya (30 morti, 160 feriti).
E poi c’è la questione della scarcerazione di cittadini arabi di Gerusalemme est, che pure figurano nella lista di Hamas riportata dai giornali arabi. La loro scarcerazione costituirebbe una sorta di precedente per Israele, che in questo modo accetterebbe di collegare la scarcerazione di propri cittadini, ancorché terroristi, nel quadro di un accordo con un gruppo terroristico palestinese. Che ne sarebbe di questi arabi israeliani, dopo la loro scarcerazione? Tornerebbero alle loro case in Israele, continuerebbero a giovarsi del sistema assistenziale israeliano e a votare alle elezioni israeliane?

(Da: Jerusalem Post, 25.11.09)

Nella foto in alto: Marwan Barghouti ad una manifestazione il 30 novembre 2001 a Ramallah. Sulla bandiera alle sue spalle, la consueta rappresentazione delle rivendicazioni palestinesi: Israele è cancellata dalla mappa geografica.