Censure incongrue e grottesche

La “linea verde” era arbitraria, e arbitrario è il dogma internazionale che basa tutto su di essa.

Di Daniel Laufer

image_2817In risposta alle proteste di un lettore, la British Advertising Standards Authority (l’authority britannica per le regole in pubblicità) ha recentemente decretato che una certa campagna pubblicità del turismo israeliano nel Regno Unito non può essere usata perché giudicata ingannevole. E dove stava la grave menzogna israeliana? Nel fatto che nella pubblicità compariva una fotografia del Muro Occidentale (cosiddetto ‘del Pianto’) di Gerusalemme. Davvero scandaloso, non vi pare?
Solo pochi anni fa la sola idea che di questo luogo-icona dell’ebraismo – una vera e propria sinagoga a cielo aperto visitata da milioni di turisti e pellegrini, ambientazione di migliaia di cerimonie di bar mitzvah e bat mitzvah (maggiorità religiosa ebraica) – potesse essere in qualche modo negata l’israelianità, sarebbe stata disdegnata come una ridicola stupidaggine o, al peggio, come puro e semplice estremismo. Ma proprio quelle idee, che fino a poco fa sarebbero state scartate, oggi sono diventate il “vangelo” della politica sul Medio Oriente. E la grottesca posizione della British Advertising Standards Authority non è che la dimostrazione della conclusione logica a cui portano quegli assiomi.
Giusto due anni fa, nel 2008, la stessa British Advertising Standards Authority aveva ordinato il ritiro di un’altra pubblicità del turismo israeliano, quella volta perché riportava l’immagine delle grotte di Qumran, quelle dove sono stati scoperti i Rotoli (ebraici) del Mar Morto e i resti di un villaggio ebraico di più di duemila anni fa. Qumran è un sito storico ebraico, ma capita che si trovi nel deserto di Giudea, ai bordi della cosiddetta Cisgiordania e tanto basta, nella testa della British Advertising Standards Authority, per decretare che non può essere pubblicizzato da Israele.
Per il pensiero internazionale attuale, infatti, Israele ha certamente il diritto di esistere, ma solo dietro la linea armistiziale che è stata in vigore fra il 1949 e il 1967, conosciuta come “linea verde”. Le aree che cadono (anche solo per un centimetro) al di fuori di questa linea – la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est – sono considerate ipso facto “palestinesi”. Con questo dogma ben piantato nella mente, qualunque presenza israeliana in quelle aree, compresi i civili che vi abitano, è considerata intrinsecamente illegittima (e per questo, prosegue il ragionamento, qualunque futuro accordo di pace dovrà fondarsi sulla giustizia assoluta rappresentata da quella linea).
È una posizione che sembra molto lineare, e forse proprio per questo ha avuto così grande successo. Il problema è che c’era ben poco di giusto, o anche solo di intenzionale o di logico, in quella linea, durata solo diciannove anni e che oggi costituisce il perno attorno a cui ruota tutta questa concezione.
La “linea verde” indicava semplicemente dove si erano attestate le forze israeliane e quelle giordane ed egiziane, le une di fronte alle altre, quando le parti cessarono di combattere a seguito di quello che sarebbe diventato l’ultimo cessate il fuoco della guerra arabo-israeliana del 1948-49. Non vi è nulla di più né di meno israeliano o palestinese, nulla di più né di meno ebraico o arabo al di qua e al di là di quella linea. Anzi, a ben vedere l’unica vera differenza era che, alla fine dei combattimenti, sul versante israeliano della linea c’erano sia ebrei che arabi, mentre sul versante controllato dagli arabi (dai giordani e dagli egiziani) di ebrei non ne rimaneva più neanche uno.
In realtà quella linea era completamente arbitraria, ed arbitraria è la concezione internazionale corrente che su di essa si basa. Ecco perché le censure della British Advertising Standards Authority saltano all’occhio come incongrue e grottesche.
È il motivo per cui una concezione fondata su premesse tanto fallaci non può contribuire a nulla che non sia profondamente ingiusto: giacché essa semplicemente richiede di ignorare o sminuire le complessità della storia, esattamente come ha fatto la British Advertising Standards Authority riguardo al Muro Occidentale e a Qumran.
Poco importa che la presenza ebraica in aree “al di là della linea” sia stata interrotta solo poche decine di anni prima che Israele ne assumesse il controllo durante la guerra dei sei giorni del 1967. Era stato soltanto nel 1929 e nel 1936 che la violenza araba aveva cacciato gli ebrei rispettivamente da Hebron e da Gaza. Gli ebrei erano già il gruppo maggioritario della popolazione di Gerusalemme quando al di fuori dalla cerchia di mura della Città Vecchia non c’era ancora niente. E fu soltanto nei diciannove anni di controllo giordano, delimitato dalla “linea verde”, che agli ebrei fu proibito l’accesso al Muro Occidentale e alle loro case nella Gerusalemme vecchia.
Poco importa, poi, che il governo israeliano eserciti il controllo su quelle aree sin dal 1967, per un periodo di tempo più che doppio di quello esercitato dagli stati arabi che le avevano occupate; e che durante questo periodo abbia garantito a tutte le fedi libertà di culto e libertà di accesso ai luoghi santi (al contrario di quello che era avvenuto nei diciannove anni sotto governo arabo).
In effetti, se la comunità internazionale assimilasse, e integrasse nella sua concezione, gli eventi che precedettero solo di pochi anni lo scarabocchio tracciato in fretta sulla mappa col pastello verde, l’assurdità di certe attuali posizioni apparirebbe chiara a tutti.
Dobbiamo dunque ringraziare la British Advertising Standards Authority per aver dimostrato quanto il paradigma corrente si sia allontanato dalla realtà. E quanto ciò sia pericoloso. Bando alle illusioni: una politica che cerca di separare a forza un popolo dalla sua storia e dal suo patrimonio culturale e religioso, una politica che in nome della pace ratifica legalmente i frutti del rifiuto, dell’aggressione e dell’intolleranza, è certamente pericolosa. Lungi dal produrre la pace, essa non fa che incoraggiare più rifiuto e più intolleranza.
D’altro canto, che altro ci si dovrebbe aspettare da un dogma che giunge a negare all’unico stato ebraico che esiste al mondo di pubblicizzare il luogo più sacro al mondo per gli ebrei?
(Da: YnetNews, 05.05.10)

UN ERRORE STORICO, UN OSTACOLO POLITICO, UN NONSENSO LOGICO
«Parlare di confini del ’67 porta necessariamente con sé l’impressione che qualunque assetto che si discosti da quelle linee non possa che essere eccezionale, transitorio, in qualche modo sbagliato e innaturale. E dunque bisognerà ricordare che gli unici confini internazionali d’Israele sono quelli con Egitto, Giordania e Libano, mentre le linee armistiziali del 1949, esse sì provvisorie, che separavano la Cisgiordania da Israele non sono mai diventate confini permanenti né riconosciuti: men che meno dagli stessi stati arabi, i quali insistettero affinché nel testo degli armistizi fosse esplicitamente scritto che “le linee di demarcazione non sono in alcun modo concepite come frontiera politica o territoriale e non pregiudicano i diritti, le rivendicazioni e le posizioni delle parti circa la composizione finale della questione palestinese”. Così l’art. V comma 2 dell’Accordo d’Armistizio Israelo-Egiziano del 24 febbraio 1949. L’intero Accordo è definito del tutto ininfluente riguardo ad ogni aspetto della futura composizione politica del conflitto dall’art. IV comma 3. Identico concetto è ribadito nell’art. II comma 2 dell’Accordo con il Libano (23 marzo 1949), nell’art. II comma 2 dell’Accordo con la Giordania (3 aprile 1949), e negli artt. II comma 2 e V comma 1 dell’Accordo con la Siria (20 luglio 1949).
Se invece, sia in sede politica che didattica, si continua a parlare di confini del 67, diventa poi difficile spiegare lo spirito e la lettera della Risoluzione Onu 242 (1967), e spiegare come mai tutte le rilevanti proposte di composizione territoriale – dagli accordi di Oslo degli anni ’90, ai piani di Camp David del luglio 2000, ai punti di Bill Clinton del dicembre 2000, alle offerte di Taba del gennaio 2001 – si basano sul principio che il futuro confine fra Israele e vicini arabi non è già stabilito. Lo stesso accordo “virtuale” di Ginevra firmato da private personalità israeliane e palestinesi nel dicembre 2003 – la proposta di compromesso forse più avanzata che sia mai stata formulata – prevede spostamenti del confine rispetto alla Linea Verde del 1949-67. D’altra parte, come potrebbero le parti concordare un futuro confine che risponda quanto più possibile alle rispettive esigenze (sicurezza, omogeneità demografica, continuità territoriale ecc.) se quel confine fosse già stabilito sulle mappe politiche e diplomatiche dall’arbitraria linea di un cessate il fuoco di sessant’anni fa? A che servirebbe dunque il negoziato?
Chiamare confine quella linea è un errore storico, un ostacolo politico e un nonsenso logico. Averlo fatto per decenni, in ogni sede politica e giornalistica, non lo rende meno insensato.»
[Da: Marco Paganoni, “Insegnare la storia d’Israele. Riflessioni preliminari sull’esperienza con studenti italiani”, in: AA. VV., Il mio cuore è a oriente. Studi di linguistica, filologia e cultura ebraica, Cisalpino Istituto Editoriale Universitario, Milano, 2008]

Nella foto in alto: ebrei in preghiera al Muro Occidentale, Gerusalemme, 1898

Si veda anche:

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