Che la terza volta sia quella buona?

Il mondo arabo oggi è lunica forza in grado di controllare la democrazia dei fucili dei palestinesi

Da un articolo di Terry Newman

image_1635Perché si agitano tutti così tanto per l’iniziativa araba? Dal 1992 al 2000 israeliani e palestinesi hanno negoziato. E hanno fallito. Dal 2001 al 2006 hanno negoziato americani e israeliani. E hanno fallito. Ora c’è una terza chance: negoziati fra il mondo arabo e Israele. Che la terza volta sia quella buona?
I negoziati israelo-palestinesi sono falliti perché ignoravano il fattore religioso e non avevano fissato un traguardo preciso. Gli israeliani hanno ampliato gli insediamenti. I palestinesi hanno ampliato le attività terroristiche. Quando sono arrivati alla tappa finale, Arafat non ebbe la volontà né la capacità di impegnare gli islamisti. E fu il fallimento.
I negoziati israelo-americani fallirono perché ignorarono i palestinesi. Le lettere di d’intesa fra il presidente Usa George W. Bush e l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon portarono alla rimozione degli insediamenti dalla striscia di Gaza e da una parte della Cisgiordania. Gli americani rimossero Arafat e promossero la democratizzazione per ridurre il terrorismo. Invece, portarono al potere gli islamisti e il terrorismo aumentò. E così fu il fallimento.
Ora si presenta una terza opzione: negoziati arabo-israeliani. L’idea non è nuova, ma lo è la possibilità di realizzarla. Israele invocò tali negoziati nel 1967, ma il mondo arabo rispose tre volte no. L’Egitto li invocò nel 1978, ma Israele [e il fronte arabo del rifiuto] rispose no. Abbiamo dunque qui un’opzione che entrambe le parti hanno perseguito in un certo momento della loro storia.
Secondo tale opzione, Israele si ritirerà da tutti i territori conquistati nel 1967 a Egitto, Giordania e Siria, e accetterà la “creazione di uno stato palestinese indipendente e sovrano, con Gerusalemme est come capitale”. Verrà trovata una “giusta soluzione al problema dei profughi palestinesi da concordare in conformità con la risoluzione 194 dell’Assemblea Generale dell’Onu”. Ogni stato arabo firmerà trattati di pace globali con Israele e promuoverà la normalizzazione dei rapporti economici, culturali e diplomatici. In breve, il conflitto arabo-israeliano diventerà storia passata.
Ma perché questa iniziativa araba dovrebbe funzionare dove tutte le altre hanno fallito? Primo, perché sappiamo già quale sarà il traguardo. La mappa territoriale è più o meno chiara. Vi saranno aggiustamenti di confine minori, ma i palestinesi otterranno praticamente il 100% del territorio conquistato da Israele nel 1967. Per Israele questo deve significare un vero scambio “terra contro pace”. Non una “hudna” (periodo di calma), bensì un autentico trattato di pace.
Secondo, perché questa iniziativa offre un autentico interlocutore arabo e islamico. Il mondo arabo è l’unica forza oggi in grado di controllare il popolo palestinese. Gaza è una società governata dalla democrazia dei fucili. L’appeal dell’islamismo internazionale supera di molto quello del nazionalismo palestinese. Se Hamas manderà un altro bombarolo o un altro missile contro Israele, di fatto lo farà in sfida all’Arabia Saudita, governante della Mecca.
Terzo, l’iniziativa offre il più forte contrappeso all’ascesa dell’Iran non-arabo e sciita. L’Iran diffonde due ideologie: lo sciismo e l’islamismo. Hezbollah incarna perfettamente entrambe. Hamas, invece, ha orecchie solo per la seconda. Il mondo arabo vuole riportare nel proprio campo l’islamismo sunnita alla Hamas. Ciò non fermerà le ambizioni nucleari iraniane, ma limiterà le capacità di quel paese di condurre guerre per procura a bassa intensità. Se il mondo arabo riesce nello stesso tempo riguadagnare la Siria, tanto meglio. Anche questo collima con gli interessi strategici di Israele.
Dove sono dunque gli ostacoli? Innanzitutto, un approccio di pace globale comporta appunto la necessità di tener dentro la Siria, e questo proprio in un momento in cui la comunità internazionale e il mondo arabo sono allarmati per il riarmo siriano, sono furibondi per lo stupro siriano del Libano, sono arrabbiati per l’assassinio attribuito a Damasco dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri.
Secondo, l’iniziativa prevede che Israele lasci Gerusalemme est, compresa la Città Vecchia, sradicando mezzo milione di cittadini ebrei. I dirigenti arabi sanno bene che questo non può avvenire. Conoscono l’impegno e il legame ebraico verso Gerusalemme e i maggiori blocchi di insediamenti. Probabilmente la loro è una posizione iniziale, che ha lo scopo di tenere uniti tutti i 22 paesi arabi. Ma la questione Gerusalemme è destinata a scatenare emozioni religiose in tutto il mondo. Chi può sapere cosa accadrà quando il genio di Gerusalemme uscirà dalla lampada?
Infine, i profughi. I profughi palestinesi sparsi fra Siria, Libano e il resto del mondo arabo chiederanno a gran voce il ritorno in Israele, non nello stato di Palestina. I profughi ebrei dai paesi arabi a loro volta faranno sentire la loro voce, chiedendo indennizzi e compensazioni. Ma non bisogna lasciarsi ingannare: la questione chiave è quella della “giustizia”. Gli arabi vogliono che Israele si assuma la responsabilità storica d’aver scatenato la guerra del 1948 e aver creato i profughi palestinesi. Gli israeliani non dimenticano la collaborazione palestinese con i nazisti e il loro appello per la pulizia etnica di tutti gli ebrei dalle terre arabe e islamiche. Fu una guerra per la sopravvivenza, non una guerra d’aggressione.
L’iniziativa sta avvicinando nemici giurati: gli islamisti e Israele. Mette allo scoperto le carte di entrambe le parti. Islamisti e mondo arabo desiderano ancora distruggere Israele, ma saranno costretti e riconoscere l’esistenza dello stato ebraico. Israele, che preferisce negoziare con i nazionalisti e ha sempre temuto la forza degli islamisti dietro ad Arafat, dovrà accettare l’esistenza in Palestina di un governo prevalentemente islamista.
Questa non è una iniziativa pan-araba. È una iniziativa pan-arabo-islamica. Che è il motivo per cui arriva dall’Arabia Saudita, cuore dell’islam, e non dall’Egitto, cuore del mondo arabo moderno. Israele dovrebbe reagire in modo positivo, perché in definitiva avrà bisogno di fare la pace con gli islamici del mondo arabo, e non solo con i loro leader più occidentalizzanti.
Dunque questa iniziativa ha gambe per camminare? Sì. E può farcela ad arrivare al traguardo? Forse. Ma quel che è certo è che essa rappresenta il modo migliore per ridurre la crescente influenza dell’Iran, e per contenere l’islamismo in Medio Oriente e forse anche nel resto del mondo.

(Da: Ha’aretz, 26.03.07)