Che ne è di Annapolis?

Improbabile uno stato palestinese “pacifico e democratico” entro il 2008

Da un articolo di Zalman Shoval

image_2199“Annapolis può sperare di essere realizzata entro la fine dell’anno?”, mi hanno chiesto ad un recente convegno a Berlino. La mia risposta è stata breve: no.
Sin dall’inizio, la conferenza di Annapolis (novembre 2007) è stata ben poco condivisa: in Israele per motivi sia pragmatici che ideologici, fra i palestinesi per la presenza dei tanti che non hanno abbandonato il sogno di cancellare del tutto lo stato degli ebrei. Inoltre Annapolis non fu ben preparata e, come fece notare l’ex negoziatore di pace Dennis Ross, vi fu ben poco coordinamento e poca programmazione a Washington e a Gerusalemme. Jon Alterman, stimato ed esperto specialista di Medio Oriente del Center for Strategic and International Studies di Washington, la mise in questi termini: “E’ difficile ricordare un momento meno favorevole di questo per la costruzione della pace fra arabi e israeliani. Le politiche sul terreno sono miserrime”.
Il conflitto palestinese non è e non è mai stato l’unica e nemmeno la principale causa di instabilità in Medio Oriente. A differenza di come la vede Zbigniew Brzezinski, oggi uno dei consiglieri in politica estera del senatore Barack Obama, “la strada per Bagdad” non è affatto vero che “passa per Gerusalemme”. È vero anzi il contrario, e la diffusa percezione di un fallimento degli Stati Uniti in Iraq così come un loro eventuale ritiro precipitoso non solo indebolirebbero ulteriormente la posizione americana in Medio Oriente, ma avrebbero anche un effetto negativo sulla disponibilità del mondo arano, palestinesi inclusi, ad arrivare a un compromesso con Israele.
Ma l’errore fondamentale di Annapolis fu quello di cercare di mettere il carro dell’indipendenza palestinese davanti a debolissimi buoi che possono a mala pena trascinarsi avanti, certo non galoppare sulle loro due uniche gambe, le altre due essendo piantate a Gaza e a Damasco. E a proposito di Gaza, non c’è ombra di dubbio che, se Israele se ne andasse oggi dalla Cisgiordania, anche lì si riproporrebbe uno scenario del tipo Gaza-Hamas.
A questo punto sembra che tutti abbiano abbandonato l’idea che entro gennaio 2009 possa nascere uno stato palestinese “democratico e vitale, che viva in pace a fianco di Israele”. Sicché l’obiettivo da raggiungere entro l’anno è stato declassato a quello di un “shelf agreement” (accordo simbolico la cui attuazione può essere posticipata), che in effetti ha ancora qualche possibilità di concretizzarsi, sebbene anche questo sia tutt’altro che certo per via dei rimescolamenti sulla scena politica israeliana.
Tutte e tre le parti hanno interesse ad arrivare a un documento provvisorio: gli Stati Uniti per le loro ragioni di “successione” interna; Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per poter sostenere di non aver abbandonato neanche le più estreme posizioni dell’irredentismo palestinese; Ehud Olmert o uno dei suoi successori del partito Kadima per poter dire: “Vedete, siamo sulla strada giusta, ma per completare il lavoro dovete confermarci al governo”. Tuttavia, data l’intrattabilità di molte delle questioni in agenda, e dato soprattutto il generale rifiuto palestinese di accettare il diritto di esistere di Israele come sede nazionale del popolo ebraico, è illusorio aspettarsi in tempi brevi una pace “alla Benelux”.
Fondamentalmente siamo ancora nella situazione della mancanza di interlocutore. Ariel Sharon cercò di aggirare il problema col disimpegno unilaterale, con risultati infausti. Come ha detto di recente lo stesso presidente egiziano Hosni Mubarak, significa avere l’Iran a Gaza come abbiamo l’Iran nel Libano meridionale, e significherebbe averlo in Cisgiordania e a Gerusalemme se Israele dovesse ritirarsi anche da lì.
Benché molti israeliani continuino a pensare nei termini di un “distacco” dai palestinesi, alla luce dell’esperienza fatta sin dal 1947, e anche prima, e certamente dell’esperienza fatta con il processo di “Oslo”, è tutt’altro che chiaro se i palestinesi dispongano ciò che occorre per mettere in piedi un loro stato. E se, una volta istituito, esso possa sopravvivere e superare difficoltà e spaccature. Se non si insite su questo punto, in nome dell’onestà intellettuale non meno che del realismo storico e politico, allora bisogna considerare che la creazione di uno stato palestinese, anziché risolvere il problema, potrebbe creare un problema persino più grave: non solo l’irruzione di al-Qaeda, ma soprattutto dell’Iran dentro il conflitto israelo-palestinese.
Naturalmente occorre adoperarsi per rafforzare i moderati e i pragmatici in Cisgiordania sperando che un giorno emerga una dirigenza palestinese che non sia solo votata alla pace e alla coesistenza sulla carta, ma che abbia anche la volontà e la capacità di promuoverle concretamente.
Ma ancor prima di questo, enormi vantaggi potrebbero derivare dall’adesione a progetti di sviluppo regionale ed economico: si potrebbero costruire strade e ferrovie e si potrebbero promuovere progetti turistici congiuntamente fra Giordania, Israele e palestinesi. E i fondi per questo si potrebbero reperire abbastanza facilmente anche di questi tempi. Su alcuni di questi aspetti, sembra esservi una convergenza d’opinioni almeno parziale fra il rappresentante del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) Tony Blair, il primo ministro dell’Autorità Palestinese Salam Fayyad, e il piano per una “pace economica” del leader dell’opposizione israeliana Benjamin Netanyahu. Tutto ciò non costituirebbe un’alternativa ad eventuali soluzioni politiche, quanto piuttosto un corridoio che ne favorirebbe il raggiungimento.
Certo, i fondamentalisti islamisti non diventeranno né meno islamisti né meno fondamentalisti. Ma un generale miglioramento economico potrebbe avere un effetto positivo almeno su una parte della popolazione palestinese e delle sue élite verso una normalizzazione della loro vita e del loro atteggiamento rispetto all’eventuale raggiungimento di un modus vivendi con Israele.

(Da: YnetNews, 22.07.08)

Si veda anche:

La nazionalità palestinese e le dure repliche della storia

https://www.israele.net/sections.php?id_article=1763&ion_cat=

Nella foto in alto: L’autore di questo articolo