Che venga a galla la verità storica

I riformatori arabi tolgano la censura e aprano al mondo i loro archivi di Stato.

Di Emanuele Ottolenghi

image_3188Tutti i regimi autoritari temono la verità. Come disse l’infame capo della propaganda nazista Joseph Goebbels, “se dici una menzogna abbastanza grande e continui a ripeterla, la gente finirà per crederci. La verità è il nemico mortale della menzogna e dunque, per estensione, la verità è il più grande nemico dello Stato”.
I regimi arabi non hanno fatto eccezione. Sperando di sviare le critiche, per decenni hanno dato in pasto al loro pubblico bugie e falsificazioni, demonizzando nemici – Israele in particolare – allo scopo di nascondere i loro fallimenti ed evitare di assumersene la responsabilità. Ora la “primavera araba” offre la possibilità di rimettere le cose a posto. Nella misura in cui le sollevazioni che scuotono il Medio Oriente e il Nord Africa sono genuine rivoluzioni democratiche, esse possono gettare nuova luce su un passato oscuro. I governi arabi non avevano alcun interesse ad aprire i loro archivi allo sguardo del pubblico, anche dei ricercatori più favorevoli, giacché sapevano di avere molto da perdere nel rivelare la verità a un pubblico così abituato alle loro menzogne. Ecco dunque una bella sfida per le forze del cambiamento nel mondo arabo: aprire gli archivi e lasciare che la verità venga a galla.
Le rivelazioni ne usciranno con lentezza – senza dubbio vagliare decenni di informazioni classificate prenderà tempo – ma l’ostinato rifiuto dei vecchi regimi di rivelare il passato fa capire che avevano parecchio da nascondere. E rivelare la verità contribuirà senza dubbio a dissipare l’odio che quelle menzogne hanno puntellato così a lungo. Gli storici del conflitto arabo-israeliano, in particolare, dovrebbero riconoscere che la mancanza di accesso agli archivi storici arabi rende il loro lavoro incompleto e le loro conclusioni solo provvisorie. Nondimeno alcuni “nuovi storici” hanno preferito minimizzare la questione o negare del tutto la rilevanza dei documenti arabi, in alcuni casi contribuendo essi stessi hanno a diffondere quelle bugie.
Le menzogne di Stato su Israele e occidente hanno una lunga storia, nel mondo arabo. L’accusa ai sionisti d’aver cercato di “ripulire etnicamente” la Palestina dalla popolazione araba allo scopo di fare spazio ai loro disegni nazionalisti venne diffusa per la prima volta dalla propaganda nazista in lingua araba, come ha documentato il professor Jeffrey Herf nel suo libro del 2009 “Propaganda nazista per il mondo arabo” [Roma, Edizioni dell’Altana, 2010]. La stessa propaganda nazista accusava anche gli ebrei di inventare sordide storie circa le loro sofferenze in Europa per ricattare il resto del mondo e costringerlo a sostenere il sionismo, una precoce versione della negazione della Shoà oggi molto popolare nel mondo arabo. I funzionari nazisti propagandavano queste menzogne per giustificare lo sterminio degli ebrei e migliorare le loro relazioni coi paesi arabi del Nord Africa e del Medio Oriente, dove speravano di sopraffare le forze Alleate.
Molti di quelle storie sinistre sono sopravvissute alla sconfitta delle forze dell’Asse e, dopo la seconda guerra mondiale, hanno conosciuto un rilancio quando i regimi arabi arruolarono nazisti in fuga come Johann von Leers in Egitto a Alois Brunner in Siria, per metterli a capo dei loro dipartimenti di propaganda. Negli anni ’50, la propaganda sovietica adottò molti degli stessi temi trasformandoli da un giorno all’altro in slogan “progressisti”. Col tempo queste le falsità metastatizzarono come un cancro, divenendo “verità accettate” nelle società arabe.
A partire dagli anni ’80 molti studiosi ebrei anti-sionisti hanno dato credito a quelle menzogne sostenendo d’aver trovato a loro sostegno prove incontrovertibili in documenti degli archivi di Stato israeliani precedentemente classificati. Le loro ricerche erano politicamente motivate e spesso scadenti, ma il fatto che fossero ebrei, e talvolta israeliani, conferiva ai loro scritti un aura di veridicità e uno scudo pressoché imbattibile contro ogni critica. Si prenda ad esempio Ilan Pappe, professore alla Exeter University e capofila dei “nuovi storici”. Quando non riuscì a documentare che i fondatori d’Israele avessero pianificato una pulizia etnica, postulò che l’assenza di un piano generale per l’espulsione degli arabi palestinesi nel 1948 fosse la prova dell’esistenza di una congiura del silenzio sionista. Per dirla con le parole dello stesso Pappe, “non c’erano ordini scritti, solo un’atmosfera che deve essere ricostruita”. Per Pappe, è del tutto evidente che “è proprio così che si arriva alla pulizia etnica, con la creazione di quel tipo di sistemi di educazione e indottrinamento che assicurano che ogni soldato e ogni comandante, ognuno con la sua responsabilità individuale, sappiano esattamente che cosa fare quando entrano in un villaggio, anche se non hanno ricevuto nessun ordine specifico di espellerne gli abitanti”. In realtà, questo genere di politiche sancite da uno Stato lasciano sempre considerevoli tracce scritte. Per Pappe, dunque, il solo modo per rilanciare una menzogna originariamente concepita dagli scagnozzi arabi di Goebbels è quello di asserire l’esistenza di una congiura del silenzio, costringendo i suoi critici a dimostrare il contrario.
Pappe e i suoi pari sostengono di basarsi solo su prove di recente rinvenimento, considerano il loro lavoro come conclusivo e definiscono chi li critica “tirapiedi” dell’establishment sionista. Ma gli storici non possono arrivare a una conclusione definitiva finché i governi non aprono i dossier delle loro politiche. Se la verità è l’antidoto alle bugie e la propaganda la stampella delle dittature, che gli arabi democratici diano inizio allo smantellamento dei miti. Per decenni le autocrazie arabe hanno disseminato menzogne perniciose e degli storici le hanno perpetuate, gettando benzina sul fuoco dell’estremismo in tutto il Medio Oriente. A riprova che stanno davvero voltando pagina rispetto alle dittature, i riformatori arabi tolgano la censura e aprano al mondo i loro archivi di Stato.

(Da: Ha’aretz, 15.07.11)

Nella foto in alto: Emanuele Ottolenghi, autore di questo articolo