Chi ha bisogno del riconoscimento?

Per Usa e Israele laccordo della Mecca, senza riconoscimento di Israele, è una farsa

Da un articolo di Yoel Marcus

image_1586I negoziati per la creazione dello stato palestinese avranno inizio il 19 febbraio. Lo ha laconicamente annunciato il portavoce del dipartimento di stato americano. Quel giorno, che è poi lunedì prossimo, Condoleezza Rice ospiterà a Washington il primo ministro israeliano Ehud Olmert e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per colloqui su come promuovere il famoso “orizzonte politico”. Questo, dice la Rice, darà ai palestinesi un’idea di come sarà il loro futuro stato a fianco di Israele.
Mettendo sul tavolo questo “orizzonte politico” (un parto del piano Bush), la Rice punta a un orizzonte che sia l’opposto della violenza. L’obiettivo è soprattutto quello di porre fine alla sanguinosa guerra civile fra Hamas e Fatah nella striscia di Gaza che più dura, più riduce le chance di un accordo con Israele sulla creazione di uno stato palestinese. Le tristi immagini da Gaza, che il mondo vede in televisione, fanno tornare alla mente ancora una volta il famoso detto di Abba Eban secondo cui i palestinesi non hanno mai perso l’occasione di perdere un’occasione. Si tratta di uno spargimento di sangue che serve soltanto ai fanatici dell’integrità della Terra d’Israele per continuare a puntare i piedi e dire no a qualunque accordo basato su un ritiro sulle linee del 1967.
Grazie alla richiesta, o alle pressioni, di Bush, l’Arabia Saudita è diventata un mediatore. In cambio della donazione di un miliardo di dollari ai territori e della possibile ripresa degli aiuti internazionali, è riuscita a far saltar fuori un piano di pace: non con Israele, ma tra Hamas e Fatah. Secondo questo piano – l’accordo della Mecca – Abu Mazen continuerà a fare il presidente dell’Autorità Palestinese e il leader di Hamas Ismael Haniyeh continuerà a fare il primo ministro. I dicasteri sono stati spartiti un po’ alla israeliana, ma con una differenza: gli israeliani non si ammazzano fra di loro, non riducono alla fame i loro cittadini e non rendono miserabile la vita dell’intera popolazione al solo scopo di mettere insieme una coalizione di governo.
Bush non è famoso per avere molta pazienza e verosimilmente questo non è il risultato che si aspettava. I sauditi hanno tirato fuori dal forno un piano mezzo crudo. Fra gli ingredienti che mancano, i principi del piano Bush e della Road Map, primo fra tutti il riconoscimento di Israele, lo stop al terrorismo, l’adesione agli accordi precedenti.
Non che gli impegni dei palestinesi abbiano molto valore. Yasser Arafat, non appena ebbe in tasca il Nobel per la Pace, lanciò un’ondata di terrorismo lasciando che i militanti islamisti commettessero attentati suicidi in Israele. Alla fine, istigò l’intifada al-Aqsa che ha lasciato file di morti da entrambe le parti.
Ma ora abbiamo a che fare con Hamas, che è parte integrante di un vasto e sanguinario movimento islamista che considera l’America il Grande Satana e Israele il Piccolo Satana. Hamas non si fa problemi ad uccidere i suoi fratelli arabi, ed è impaziente di veder crollare Israele. Non vede l’ora che l’Iran abbia la bomba e che Ahmadinejad mantenga la parola.
Agli occhi di Stati Uniti e Israele l’accordo della Mecca, che non contiene nessuna clausola sul riconoscimento di Israele o sull’abbandono del terrorismo, è una farsa. La risposta immediata dell’ufficio di Olmert è stata che Israele non ha intenzione di riconoscere un governo di unità nazionale palestinese finché Hamas si rifiuta di riconoscere Israele.
Quello che non riesco a capire è tutta questa faccenda del “riconoscimento di Israele”. Che ossessione è mai questa di alzarsi ogni mattina aspettandosi che i nostri più acerrimi nemici ci riconoscano? Per come stanno oggi le cose, chi ha mai bisogno del loro riconoscimento? Israele è stato uno dei primi paesi al mondo a perseguire la propria indipendenza ribellandosi all’imperialismo (britannico). È stato uno dei primi paesi ad entrare nelle Nazioni Unite: esattamente il numero 52 sui 190 paesi che oggi vi appartengono. Il 10 maggio 1949 il parlamentare israeliano David Hacohen issava la bandiera d’Israele alla sede dell’Onu [l’Italia è diventata membro Onu il 14 dicembre 1955, ndr].
Questa insistenza nell’essere riconosciuti, mentre Israele è uno dei primi stati nati dopo la seconda guerra mondiale, rasenta il masochismo. Lo Stato d’Israele non ha alcun bisogno di riconoscimento: è già riconosciuto come una delle meraviglie del mondo per il fatto stesso di esistere dopo che sette paesi arabi hanno cercato in tutti i modi di cancellarlo dalla carta geografica, per ciò che ha saputo creare, per ciò che ha realizzato nell’arco di 59 anni.
Israele è una realtà politica e geografica, oltre che un nome di famiglia. Se c’è qualcuno che ha bisogno di riconoscimento, qui, non è Israele bensì i palestinesi: sono loro che hanno bisogno del riconoscimento di Israele, se mai avranno abbastanza buon senso da accettare il principio della spartizione sancito dall’Onu sessant’anni fa, e mettersi seriamente a costruire il loro stato.

(Da: Ha’aretz, 13.02.07)

Nella foto in alto: Paramedici trasportano martedì il corpo di un terrorista colpito mentre, con un complice (rimasto ferito nello scontro a fuoco), piazzava ordigni esplosivi lungo la barriera difensiva fra striscia di Gaza e Israele, all’altezza del kibbutz Kfar Aza