Chi ha fretta di dividere la terra?

Secondo Sergio Romano, gli israeliani stanno “sbocconcellando la pizza” mentre si discute di come dividerla. Ma i dirigenti palestinesi non sembrano pensarla allo stesso modo

di Marco Paganoni, maggio 2010

image_2833Se gli israeliani stanno “sbocconcellando la pizza” mentre si discute di come dividerla (così Sergio Romano sul Corriere della Sera, 10.5.10, a proposito di insediamenti e negoziato), allora i palestinesi dovrebbero avere una gran fretta di arrivare al più presto a un accordo: solo in questo modo, infatti, potrebbero fissare una volta per tutte i confini del nuovo stato, entro i quali esercitare finalmente la loro sovranità.
Esiste, nella regione, un precedente significativo. Nel 1947, quando l’Onu approvò la spartizione del Mandato Britannico in due stati, uno ebraico e uno arabo, gli ebrei avevano grande urgenza ed estrema necessità di conseguire l’indipendenza che inseguivano da mezzo secolo. E infatti David Ben Gurion colse quell’occasione, forse irripetibile, accettando un compromesso che pure era assai lontano dalle esigenze e aspirazioni sioniste (basti ricordare che, all’epoca, comportava la rinuncia a Gerusalemme e ai centomila ebrei che vi vivevano).
Non cessa dunque di stupire l’atteggiamento che tiene invece, da almeno dieci anni, la dirigenza palestinese. Nota Barry Rubin, direttore del Global Research in International Affairs Center di Herzliya: “Se i palestinesi sono tanto miserabili e desiderano sbarazzarsi in fretta degli insediamenti, hanno una soluzione a portata di mano: firmare la pace. Dovrebbe essere nel loro interesse fare un accordo decente il più presto possibile”. Al contrario, è almeno dal luglio 2000 che rifiutano le soluzioni di compromesso proposte da Ehud Barak, da Bill Clinton, dallo stesso Ehud Olmert (che due anni fa aveva disperato bisogno di arrivare a un accordo per salvare la sua carriera politica). Avessero firmato, oggi avrebbero uno stato indipendente su una superficie equivalente alla somma di Cisgiordania e striscia di Gaza, la loro capitale nei quartieri arabi di Gerusalemme est, ingenti aiuti internazionali per integrare i figli e nipoti dei profughi del ’48. “Certo – continua Rubin – dovrebbero accettare di porre fine al conflitto e a ogni ulteriore rivendicazione, il che sembrerebbe abbastanza logico. E dovrebbero insediare i profughi nello stato palestinese anziché dentro Israele, il che pure sembra piuttosto logico”. Verosimilmente dovrebbero anche accettare dei limiti ai loro armamenti e alle loro alleanze militari, simili a quelli con cui altri paesi del mondo hanno vissuto e prosperato per decenni con ottimi risultati (si pensi al Giappone). In cambio – vale la pena ripetere – avrebbero l’agognata indipendenza, e senza più insediamenti fra i piedi. Se è vero che gli insediamenti continuano a crescere, che senso ha bloccare il negoziato sulla questione del congelamento anziché affrettare l’accordo che fisserebbe confini definitivi?
Eppure i dirigenti dell’Autorità Palestinese – che, per inciso, quanto a tenuta e consenso interni hanno qualche problema in più, ad esempio a Gaza, di quanti ne abbia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nella sua coalizione – si comportano come se il tempo lavorasse a loro favore. E forse non hanno torto: dipende da qual è l’obiettivo. “Israele – ha scritto Gadi Taub, scrittore e docente dell’Università di Gerusalemme – fatica a disfarsi del vecchio schema secondo cui ciò a cui puntano i suoi nemici è erodere fetta dopo fetta il territorio dello stato ebraico. Invece gli avversari del sionismo hanno capito che il modo migliore per eliminare Israele è fare esattamente l’opposto: impedire la spartizione del paese in due stati”. E puntare direttamente a un unico stato fra il Mediterraneo e il fiume Giordano: uno stato arabo, naturalmente (a meno di credere che il popolo palestinese sia l’unico popolo arabo disposto a rinunciare al carattere distintamente e ufficialmente arabo del proprio stato; e che Fatah e Hamas acconsentirebbero a questa concessione). “Secondo questa logica – conclude Taub – la soluzione ‘giusta’ non può essere la definitiva spartizione della terra in due stati, giacché questo non farebbe che ratificare l’esistenza del deprecato stato ebraico”. E pazienza se, nell’attesa, il compromesso possibile svapora, e le due popolazioni restano eternamente in attesa della pace cui avrebbero diritto.

Nell’immagine in alto: Tutte le mappe della pubblicistica irredentista palestinese mostrano senza reticenze l’obiettivo di occupare totalmente Israele