Ciò che la Siria dovrebbe fare

Se Assad è veramente sincero, perché non fa i passi necessari, come fece Sadat?

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_408Nel 1977, quando il presidente egiziano Anwar Sadat prese la storica decisione di optare per la pace con Israele, seppe marcare il cambiamento strategico con un gesto di grande impatto. Sadat fece ciò che allora era impensabile: si recò a Gerusalemme e parlò alla Knesset di persona per infondere fiducia. E questo lo rese credibile.
Si è molto parlato, nei mesi scorsi, di presunte aperture di pace da parte del presidente siriano Bashar Assad. L’apparente offensiva di pace sarebbe iniziata nel dicembre scorso con un’intervista al New York Times, nella quale Assad caldeggiava la ripresa dei negoziati troncati da suo padre nel 2000. La campagna ha ripreso vigore la scorsa settimana quando il Ba’ath, il partito di Assad, ha emendato la propria piattaforma citando per la prima volta la pace con Israele tra i suoi obiettivi strategici ufficiali. La cosa è stata salutata come un radicale mutamento di direzione, nonostante la nuova clausola subordini la pace al “diritto al ritorno dei profughi e alla costituzione di uno stato palestinese con Gerusalemme come capitale”. Oltre, naturalmente, alla richiesta siriana di riavere tutto il Golan (fino al confine da loro stabilito).
Comunque, anche se sorvoliamo sulle condizioni e supponiamo che Assad stia davvero sperimentando una trasformazione tipo quella di Sadat, perché allora non fa un serio tentativo, come fece Sadat, per convincere gli israeliani che non sta semplicemente pagando a chiacchiere il prezzo richiesto per conquistarsi qualche amico fra le persone che contano in occidente e per scrollarsi di dosso la pressione degli americani? Se Assad è veramente sincero, perché non fa il passo necessario, come fece Sadat?
Anche ammettendo che non sia realistico aspettarsi dal dittatore siriano la rottura di un tabù fondamentale contro lo stato ebraico, vi sono certamente altri gesti che egli potrebbe fare per cercare di convincere gli israeliani che fa sul serio. Ad esempio, potrebbe facilmente dissipare l’atroce mistero che tuttora avvolge la sorte di quattro militari israeliani dispersi nella battaglia di Sultan Yakoub (con i siriani) del 1982. E nulla gli impedisce di restituire a Israele la salma dell’agente segreto (ed eroe nazionale) israeliano Eli Cohen, impiccato a Damasco nel 1965.
Non c’è nulla che Israele accoglierebbe con maggior favore della pace con un altro nemico finora implacabile. Israele anela alla pace fin dal giorno della sua nascita. La sua speranza di avere relazioni normali con tutti i suoi vicini è espressa in modo esplicito nel testo della sua Dichiarazione di Indipendenza. Ma, dati i trascorsi della Siria come il più intransigente di tutti i vicini confinanti con Israele, è consigliabile esercitare molta cautela. Il sogno di pace degli israeliani non deve tradursi in facili illusioni. Israele non deve mai liquidare a priori qualunque segnale di possibili cambiamenti provenienti da Damasco. Ci limitiamo a raccomandare che lusinghe e ritocchi cosmetici non vengano presi per veri, finendo solo con l’aiutare la Siria a sottrarsi alla pressione degli americani.
Occorre fissare dei criteri chiari in base ai quali valutare le reali intenzioni di Assad.
Tali criteri debbono comprendere prove eloquenti e concrete che Damasco sta chiudendo l’arteria che alimenta il terrorismo anti-israeliano. Allo stato attuale la Siria finanza e sostiene attivamente almeno una dozzina di bande terroristiche, fra cui gli Hezbollah libanesi e il Hamas palestinese. Il fatto che migliaia di missili Hezbollah siano puntato sul nord di Israele con la piena approvazione della Siria, nonostante il competo ritiro delle Forze di Difesa israeliane dal Libano, non può essere occultato da una nuova clausola nel manifesto di un partito di regime antidemocratico. E’ la Siria che ha bloccato, fino ad oggi, il dispiegamento dell’esercito libanese lungo il confine con Israele, un fatto che veniva dato per scontato una volta che Israele si fosse ritirato sul confine internazionale riconosciuto dall’Onu (come ha fatto più quattro anni e mezzo fa).
Finché la Siria continua ad aiutare e favorire gruppi la cui ragion d’essere è compiere stragi di israeliani, non possiamo fare altro che manifestare un prudente scetticismo. Lo stesso vale per il fatto che i mass-media siriani, strettamente controllati dal regime di Assad, continuano a produrre e diffondere perniciose calunnie esplicitamente antisemite (come ad esempio l’accusa agli ebrei di usare il sangue dei non ebrei per impastare azzime pasquali). La promozione dell’odio anti-ebraico sbugiarda il presunto ramoscello d’olivo siriano, e non fa che accrescere i dubbi.
E’ chiaro che Assad ha interesse a fare la faccia gentile. Dopo il recente rapporto del segretario generale dell’Onu Kofi Annan secondo cui la Siria non ha rispettato la risoluzione del Consiglio di Sicurezza che sollecitava il ritiro delle sue truppe da Libano, l’amministrazione Bush lascia intendere che potrebbe imporre severe sanzioni. Sia Stati Uniti che Francia spingono per un giro di vite su Assad attraverso il Consiglio di Sicurezza. Assad è spiazzato e nervoso, e il suo regime autocratico ne risente. Un autentico sforzo per arrivare alla pace con Israele alleggerirebbe certamente la sua posizione, e Israele dove essere pronto ad accogliere un’eventuale autentico sforzo di questo tipo.
Ma, di nuovo, conta il precedente dell’Egitto. Prima di fare la sua storica mossa, Sadat decise di scommettere sull’America, e di liberalizzare l’economia e il dibattito interno. Pose fine a ogni aggressività contro Israele tre anni prima di recarsi a Gerusalemme. Le sue parole e i suoi storici gesti erano sostenuti da veri cambiamenti. Questo è esattamente ciò che dobbiamo richiedere da Assad.

(Da: Jerusalem Post, 17.10.04)

Nella foto in alto: Il presidente siriano Bashar al-Assad (a destra) mentre accoglie a Damasco il presidente iraniano Mohammad Khatami il 7 ottobre scorso.