Cieca assistenza

La dirigenza palestinese è più interessata a uccidere israeliani che a sfamare palestinesi?

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1602Secondo la bozza di un rapporto Onu citata la scorsa settimana dal britannico Independent, circa metà dei palestinesi in Cisgiordania e striscia di Gaza soffre di malnutrizione. Il rapporto in pratica accusa Israele per le privazioni che dice dilaganti in tutta l’Autorità Palestinese “in primo luogo come conseguenza delle ristrettezze economiche dovute alle attuali condizioni politiche”, a partire dalle limitazioni imposte dal Quartetto (che, oltre a Stati Uniti, Unione Europea e Russia, comprende le stesse Nazioni Unite) da quando nel 2006 è ascesa al potere Hamas con il suo rifiuto di riconoscere Israele, di ripudiare il terrorismo e di attenersi ai precedenti accordi israelo-palestinesi. Il sottinteso del rapporto è chiaro: se le limitazioni non verranno tolte, i palestinesi moriranno di fame. […]
Ma le cose stanno davvero così? Non esattamente, se prestiamo ascolto alle dichiarazioni che vengono dalla stessa Autorità Palestinese. Ad esempio, nientemeno che il ministro delle finanze Samir Abu-Aisha ha rivelato che gli aiuti che affluiscono dall’estero (senza contare i 462 milioni di dollari del budget 2006 dell’UNRWA) sono raddoppiati da quando Hamas è al governo. Cioè, i governi stranieri hanno donato direttamente al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) 720 milioni di dollari, come se in questo modo quei fondi aggirassero il regime di Hamas. Prima di Hamas, nel 2005, l’Autorità Palestinese aveva ricevuto solo 350 milioni di dollari in aiuti stranieri diretti.
A giudicare da queste cifre, i territori palestinesi dovrebbero stare meglio nel 2006 che nel 2005. Qualunque cosa possa o non possa essere andata storta, non è stato a causa del fatto che l’Autorità Palestinese sarebbe al verde, ma a causa del fatto che le sue entrate non vengono spese per il benessere dei suoi cittadini. Direttamente o indirettamente, gran parte di esse vengono con tutta evidenza sperperate nella costruzione di un apparato militare, nell’armare la striscia di Gaza fino ai denti, nel contrabbando d’armi su vasta scala e nell’importazione di razzi e missili sempre più sofisticati e costosi, il cui unico scopo immaginabile è quello di bersagliare le città israeliane. Intanto le serre e le infrastrutture agricole lasciate da Israele ai contadini palestinesi col disimpegno da Gaza del 2005 non sono state usate per generare reddito e sono andate in rovina, lasciando che tornasse il deserto che vi imperava prima dell’arrivo degli insediamenti israeliani.
Il tentativo di dare ancora una volta la colpa a Israele non cambia l’evidenza dei fatti: se qualcuno soffre la fame a Gaza, è prima di tutto a causa del fatto che la dirigenza dell’Autorità Palestinese dominata da Hamas è più interessata a uccidere ebrei che a sfamare palestinesi.
Data l’indifferenza internazionale a questo rapporto inverso fra assistenza finanziaria e reale miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi, è difficile sottrarsi al sospetto che ai paesi donatori importi assai poco di sapere come vengono spesi i loro soldi. Se gliene importasse, gli aiuti internazionali verrebbero strettamente condizionati alla creazione di uno stato di diritto, prerequisito indispensabile per un reale processo di democratizzazione, e allo smantellamento delle milizie armate, dedite ad aggredirsi fra loro e ad aggredire Israele.
Se tutti i mezzi dell’Autorità Palestinese fossero impiegati per migliore le condizioni di quella gente, le cose sarebbero molto diverse. Non c’è niente che obblighi il governo palestinese a dedicare tutte le sue energie alle lotte intestine e al rafforzamento del terrorismo. Il governo palestinese sa bene, come pure tutti i suoi premurosi sostenitori stranieri, che Israele non ha alcuna intenzione aggressiva verso l’Autorità Palestinese e che non desidera altro che coesistere pacificamente con essa.
Sia Fatah che Hamas chiedono che venga data una chance alla loro partnership. La comunità internazionale è pronta ad aiutare, se questa partnership produrrà più pace e meno terrorismo. Ma quello che sarebbe ancora più necessario dimostrare è che l’eventuale continuazione del caos e della belligeranza causerà una secca riduzione degli aiuti.

(Da: Jerusalem Post, 24.02.07)

Nelle foto in alto: Una serra nella striscia di Gaza prima del disimpegno israeliano e oggi, trasformata in base terroristica e sbocco per i tunnel del traffico d’armi ed esplosivi