Coazione a ripetere (l’errore)

E' sorprendente come in M. O. persistano convinzioni politiche ripetutamente smentite dallesperienza.

Da un articolo di Barry Rubin

image_1124Una delle cose più sorprendenti del Medio Oriente è come alcune convinzioni circa questa regione persistano nonostante vengano ripetutamente smentite dai fatti. Molti politici, accademici e giornalisti non sembrano turbati più tanto dal fatto che una certa nozione sia risultata sbagliata ad ogni occasione, più o meno da mezzo secolo a questa parte. Talvolta la causa di questo strano comportamento è l’ignoranza, spesso è l’opportunismo politico.
Si consideri una delle più durevoli e disastrose di queste nozioni: l’idea che il modo migliore di comportarsi con i movimenti estremisti e con i dittatori sia quello mostrarsi accomodanti. Vedendo che questi estremisti sostengono che l’occidente è malvagio, imperialista, anti-arabo e anti-musulmano, non mancano mai osservatori ragionevoli che si impegnano a confutare tali accuse: mostrandosi garbati e disponibili, sperano che le controparti diventino moderate e riconoscenti.
Questo stratagemma è stato tentato più e più volte, e ogni volta si è rivelato fallace. Ogni volta ne sono risultati gravi danni agli interessi occidentali, e mentre coloro che sbagliavano in questo modo facevano brillanti carriere, altri pagavano col sangue quei drammatici errori.
Oggi quest’idea obsoleta torna in auge per giustificare una politica del sorriso verso Hamas – il termine più sofisticato che viene usato è “engagement” – con l’obiettivo di far sì che Hamas smetta di essere un movimento con ideologia genocidia. Avranno successo questa volta il riconoscimento, i soldi, i complimenti, gli incontri, la simpatetica comprensione per le recriminazioni e altri strumenti di questo genere? Vediamo come andarono le cose in alcuni casi analoghi del recente passato.
Gamal Abdel Nasser. Si impose come leader dell’Egitto e come eroe di tutto il mondo arabo. Quando Gran Bretagna, Francia e Israele furono sul punto di rovesciarlo, durante la crisi di Suez del 1956, i politici americani si convinsero che la sua caduta avrebbe fatto infuriare tutti gli arabi. Gli Stati Uniti avevano inizialmente appoggiato il colpo di stato di Nasser credendo che avrebbe dato vita a un regime moderato e pragmatico. Per salvare Nasser, gli Stati Uniti minacciarono di distruggere l’economia della Gran Bretagna, il suo più stretto alleato, se Londra non avesse ritirato le truppe. Risultato: la “sconfitta” dei nemici di Nasser venne attribuita non certo all’intervento degli Stati Uniti, bensì a Nasser stesso e all’Unione Sovietica. E nei quattordici anni successivi in cui restò al potere, Nasser rappresentò una costante spina nel fianco per l’America, attaccando le sue politiche, sovvertendo altri regimi arabi e fomentando l’escalation che portò alla scoppio della guerra dei sei giorni del 1967. Aver aiutato Nasser non servì a renderlo né più moderarlo né più conciliante. Un totale disastro.
Ayatollah Ruhollah Khomeini. Sebbene gli Stati Uniti appoggiassero certamente lo Shah come proprio alleato, quando nel 1977 prese le mosse in Iran la rivoluzione khomeninista molti politici americani vollero manifestare simpatia verso un cambiamento in quel paese. E scoraggiarono lo Shah dall’usare la forza, finendo col sostenere un processo di transizione che prevedeva il suo allontanamento. E si fecero sforzi per persuadere i rivoluzionari considerati moderati ad apprezzare l’America. Risultato: i nuovi leader iraniani si convinsero che le profferte di amicizia fossero un complotto volto a rovesciarli. Per bloccare il complotto, appoggiarono l’occupazione violenta dell’ambasciata Usa a Teheran e la presa in ostaggio dei diplomatici. L’Iran divenne il regime alla testa delle posizioni più anti-americane in tutto il mondo, il maggiore stato sponsor del terrorismo, il massimo guastatore degli interessi dell’America e dei suoi alleati, nonché fattore scatenante di varie guerre che hanno devastato la regione. Un altro disastro.
Saddam Hussein. Dopo la fine nel 1988 della guerra fra Iran e Iraq, molti politici americani credettero che si presentasse un’occasione d’oro per trasformare Saddam in un moderato, alleato degli Stati Uniti. E si continuarono a far affluire aiuti all’Iraq anche quando apparve chiaro che Baghdad rivendeva il cibo per comprare armi. Quando nel 1990 Saddam incominciò a minacciare il Kuwait, il governo degli Stati Uniti pensò bene di rassicurarlo che l’America lo avrebbe trattato “in modo imparziale”, senza intervenire nella crisi. Risultato: Saddam si convinse che gli americani erano troppo deboli o intimiditi per cercare di fermarlo, e si annesse l’intero Kuwait. Ne derivò una guerra, la sanguinosa repressione da parte di Saddam della rivolta degli sciiti e dei curdi (che gli Stati Uniti non aiutarono perché volevano convincere sauditi e altri arabi di non essere contro di loro) e una serie di crisi arrivate fino ai nostri giorni.
Yasser Arafat. Se ad Arafat si offrissero assistenza e concessioni, si sosteneva, si sarebbe trasformato in un moderato e avrebbe posto fine all’interminabile conflitto contro Israele. Così il governo degli Stati Uniti non solo salvò Arafat dalla disfatta per mano di Israele a Beirut nel 1982, ma persuase anche la Tunisia ad accoglierlo con tutto il suo quartier generale. Nel 1988 gli venne offerto un dialogo politico-diplomatico sulla base di alcuni principi che Arafat non rispettò. Più chance gli venivano offerte, più Arafat non faceva che mordere la mano che gliela offriva. Beneficiato di miliardi di dollari in aiuti, il movimento palestinese li sperperò nella corruzione e nel finanziamento di operazioni terroristiche, anziché usarli per migliorare le condizioni di vita della propria gente. L’istigazione all’odio continuò indisturbata, mentre non si faceva quasi nulla per cercare di frenare il terrorismo. L’offerta ad Arafat, nel 2000, di uno stato indipendente e di 22 miliardi di dollari come indennizzo ai profughi portò allo scoppio di una guerra terroristica di cinque anni e a una crisi che dura ancora oggi. Il risultato fu la perdita di molte vite umane e l’incancrenirsi del conflitto mentre, per colmo di paradosso, nel mondo arabo quasi tutti sono ancora convintissimi che gli Stati Uniti non abbiano mai fatto niente per aiutare i palestinesi. E si noti che questo è il caso che viene normalmente citato come un esempio “riuscito” della politica occidentale che bisognerebbe oggi applicare verso Hamas.
Hafez Assad. Allo scopo di placare le paure della Siria per l’imperialismo occidentale, sono state a lungo tollerate le ambizioni espansionistiche della Siria stessa in Libano. L’ex segretario di stato Usa Warren Christopher fece una dozzina di viaggi a Damasco per dimostrare la disponibilità dell’America a convivere con la dittatura di Assad. È vero che furono esercitate alcune pressioni sulla Siria e che gli Stati Uniti volevano l’appoggio siriano nella lotta contro Saddam (appoggio che Assad concesse perché rispondeva ai suoi interessi), ma la strategia americana fu per lo più caratterizzata dallo sforzo di convincere Assad, più che di vincerlo. Risultato: la Siria era e rimane uno dei maggiori sponsor del terrorismo e uno dei principali nemici degli interessi americani, soprattutto in Iraq.
Naturalmente gli Stati Uniti sono stati assai più proponesi al ricorso alle sanzioni e a fare la voce grossa di quanto non siano stati i loro alleati europei. Ma tutte le volte che hanno cercato di essere accomodanti verso estremisti e dittatori il risultato è stato invariabilmente disastroso. Vi sono stati alcuni casi in cui è sembrato che Washington riuscisse effettivamente a conquistare l’amicizia di un dittatore estremista. Ma i due casi più evidenti – quello dell’egiziano Anwar Sadat negli anni ’70 e quello più recente del libico Muammar Gheddafi – sono maturati solo dopo forti pressioni, e in conseguenza della decisione di questi leader di imprimere un drastico cambiamento alla loro politica. Furono successi del bastone, non della carota.
Dunque, come può accadere che un approccio, che dovrebbe ormai essere ampiamente screditato dall’esperienza, viene oggi riproposto nei confronti di Hamas? Ecco una domanda che attende risposta.

(Da: Jerusalem Post, 5.03.06)

Nella foto in alto: Barry Rubin, direttore Middle East Review of International Affairs, autore di questo articolo