Commissione dinchiesta palestinese accusa Arafat per il caos nei territori

Il rapporto chiede anche la fine di attentati e missili Qassam su Israele.

image_322Secondo i risultati di un’indagine ufficiale del Consiglio Legislativo Palestinese sui motivi del caos che imperversa nei territori dell’Autorità Palestinese, la principale ragione per la situazione di anarchia è che il presidente dell’Autorità Palestinese Yasser Arafat non ha mai preso la chiara decisione politica di farla cessare.
Il rapporto sollecita inoltre la cessazione dei lanci di missili Qassam su Israele e degli attentati all’interno di Israele, nonché le dimissioni dei membri del governo di Ahmed Qureia (Abu Ala) ed elezioni generali.
“La principale ragione del fallimento delle forze di sicurezza palestinesi e della loro mancanza di azione per ripristinare legge e ordine – si legge nel rapporto, preparato da una commissione di cinque membri del parlamento palestinese – è la totale mancanza di una chiara decisione politica, e la mancata definizione dei ruoli [delle forze palestinesi] sia sul breve che sul lungo periodo”.
Il mese scorso la commissione del Consiglio Legislativo Palestinese ha ascoltato una dozzina di persone, compreso il primo ministro Ahmed Qureia (Abu Ala) e i principali comandanti delle varie forze di sicurezza, oltre ad attivisti di Fatah un po’ da tutta la striscia di Gaza. Ne è scaturito un documento sorprendentemente franco nel muovere alla dirigenza dell’Autorità Palestinese l’accusa di non aver saputo costruire le istituzioni di uno stato, affidandosi a meccanismi di clan anziché al diritto e a metodi legali per affrontare le fazioni armate fuori controllo.
Il rapporto sollecita Arafat e Abu Ala a definire per legge il ruolo delle varie forze di sicurezza palestinesi, emanando nel frattempo ordinanze presidenziali per la loro gestione fino a quando le leggi necessarie saranno approvate.
Il rapporto si scaglia anche contro il Consiglio di Sicurezza Nazionale guidato da Arafat, per aver fallito il proprio compito di fissare una strategia sulla sicurezza, e chiede ad Arafat “di usare la sua autorità per emettere ordini immediati nel senso di porre fine a tutte le pericolose attività che hanno luogo nella striscia di Gaza ad opera di alcuni dei comandanti e degli uomini delle forze armate di sicurezza, che intimidiscono la cittadinanza, creano caos e danneggiano i supremi interessi della popolo palestinese”.
La commissione, che comprende sia lealisti arafattiani che riformatori (tra i quali Nabil Amr, cui è stata recentemente amputata una gamba dopo che era stato vittima di un attentato da parte di terroristi palestinesi), era stata istituita ai primi di luglio di fronte al grave deterioramento dell’ordine nei territori, in particolare nella striscia di Gaza, registrato nei mesi precedenti. Proprio mentre la commissione era nel pieno dei suoi lavori, si verificarono una serie di sequestri-lampo e di scontri armati fra le varie fazioni armate palestinesi. La commissione ha preferito non diffondere il proprio rapporto prima che la situazione sul fronte palestinese si calmasse un po’.
Particolarmente rivelatrice la testimonianza del ministro degli interni palestinese Hakim Balawi, depositata il 14 luglio scorso. Balawi ha evitato di citare per nome Arafat, ma le sue parole si riferivano chiaramente al presidente dell’Autorità Palestinese. “Abbiamo perso il controllo – ha dichiarato alla commissione – a causa dell’esitazione nel processo decisionale, e perché non abbiamo detto con chiarezza alla piazza che cosa volevamo e quale fosse la situazione politica… Il Consiglio di Sicurezza Nazionale è responsabile per la sicurezza. Ma a Gaza tutto ciò che esiste sono dei simboli dell’Autorità Palestinese. C’è la disponibilità da parte delle forze di sicurezza, abbiamo decine di migliaia di uomini, ma non c’è una chiara e genuina decisione a livello politico… Deve essere vietato lanciare razzi e sparare dall’interno delle case, questo è un supremo interesse palestinese che non dovrebbe essere violato a causa delle dure reazioni da parte dell’esercito occupante, e la cittadinanza non può tollerare queste azioni. Le fanno certi gruppi che non rappresentano il popolo né la nazione, e le fanno senza alcun riguardo per l’interesse generale e per l’opinione pubblica nel mondo e in Israele. Non c’è nessuna prospettiva né alcuno scopo nel lancio di missili. L’interesse dei palestinesi è più importante”. Secondo Balawi, negli ultimi quattro mesi il rinnovato coordinamento con Israele avrebbe impedito altri attentati suicidi, “ma noi continuiamo a usare la retorica che non dà alcun credito alla hudna [tregua provvisoria] e all’accordo, e continuiamo a dire che tutta la Palestina è waqf [inalienabile patrimonio islamico]. Questi sono gli slogan di Hamas”.
Il giorno successivo è stata la volta della testimonianza di Amin al Hindi, capo dell’Intelligence Generale palestinese a Gaza. Al Hindi ha puntato il dito contro “la mancanza di istituzioni, fin dall’inizio, e la mancanza di regole e regolamenti, senza chiari obiettivi, e alla mancanza di una gestione senza ambiguità delle forze di sicurezza”. “Nessuno – ha detto al Hindi – è stato processato per violazione delle regole perché non ci sono regole, e dal momento che non c’era budget le forze di sicurezza hanno iniziato a operare secondo i capricci dei loro comandanti, facendo ciò che altri, come il Consiglio di Sicurezza Nazionale, non facevano, e cercando da sé nuove autorità. La disoccupazione nascosta dentro le forse di sicurezza e il numero gonfiato degli addetti alla sicurezza si sono tradotti in un enorme spreco di risorse su persone incapaci di fare ciò per cui erano pagate. Una gestione appropriata richiederebbe che ogni forza selezionasse i propri membri in base alle necessità e ai compiti. Ma l’autorità è nel vago. L’Intelligence Generale dipende direttamente da Arafat, ma sul piano amministrativo e finanziario dipende da altra gente, e le forze non hanno nessuna autonomia quando si tratta di assunzioni, promozioni e punizioni. Le forze non possono difendersi, e talvolta la gente è costretta a trovare protezione nei clan e nelle famiglie”. Al Hindi ha poi detto che i tribunali dell’Autorità Palestinese sono troppo deboli. “La polizia ci fa rilasciare criminali e collaboratori. I miei investigatori subiscono minacce da parte delle famiglie e dei parenti della gente sotto arresto per motivi criminali. I progetti per migliorare la cose non vengono attuati perché manca la volontà di cambiare da parte di tutti, e per personalismi. Il mio compito è applicare le decisioni politiche circa la sicurezza, ma la responsabilità delle decisioni ricade sulle spalle dei politici”.
E’ stata poi la volta di Rashid Abu Shbak, capo dei Servizi di Sicurezza Preventiva a Gaza, un alleato di Dahlan. Abu Shbak ha detto che “la maggior parte delle forze di sicurezza non hanno alcuna disciplina né controllo sui propri membri. Ciascuna organizzazione fa quello che vuole, impone la propria volontà alle autorità palestinesi e nessuno può dire d’avere la situazione sotto controllo. La maggior parte dei miliziani agisce secondo l’atmosfera generale invece che la legge e gli ordini dell’Autorità Palestinese. Ciò mette a repentaglio l’intero progetto nazionale… Abbiamo affrontato i problemi in modo completamente sbagliato. Abbiamo discusso i problemi che le persone che li avevano creati, cedendo alle loro pretese illegali… Abbiamo incoraggiato e accettato questo andazzo, contro la legge e contro lo spirito stesso dell’indipendenza statale. Siamo costretti a usare i metodi dei clan, anziché metodi legali. Se le cose continueranno così, ciò invierà al nostro popolo, agli israeliani che dicono di non avere un affidabile interlocutore palestinese, e alla comunità internazionale un messaggio negativo: che non siamo degni di uno stato”.

(Da: Ha’aretz, 10.08.04)