Confini dettati dal realismo

Negli ultimi trentanni la destra e la sinistra israeliana hanno sostenuto due argomenti curiosamente speculari

image_87Da un editoriale del Jerusalem Post

Per quasi tutti gli ultimi trent’anni, la destra e la sinistra israeliana hanno sostenuto due argomenti curiosamente speculari. La destra era consapevole della necessità di stabilire confini sicuri e difendibili con tutti i paesi vicini, ma non con i palestinesi. La sinistra era consapevole della necessità di stabilire un confine fra noi e i palestinesi, ma fantasticava di un “nuovo” Medio Oriente senza frontiere simile all’Unione Europea.
Può essere una descrizione fin troppo semplificata delle rispettive posizioni, ma fa capire bene come entrambe le parti, su una questione di capitale importanza come quella dei confini, sostanzialmente cadessero in contraddizione.
Nel Medio Oriente immaginato da Shimon Peres, Israele avrebbe avuto tutto l’accesso che voleva ai paesi vicini. Resta da spiegare perché mai i nostri vicini avrebbero dovuto accogliere con favore questa prospettiva. Dall’altra parte, l’idea di mantenere il controllo sulla totalità dei territori di Cisgiordania e striscia di Gaza si basava sul presupposto che gli israeliani potessero vivere in pace e relativa amicizia con i palestinesi, un assunto che la stessa destra considerava con molto scetticismo quando si trattava di immaginare la convivenza con il resto del mondo arabo.
Certo, c’era anche un ragionamento strategico alla base dell’idea di controllare tutta la terra, e cioè la necessità di garantirsi una profondità strategica (rispetto ai confini indifendibili pre-67). Ma anche il ragionamento strategico si fondava sul presupposto che i palestinesi all’interno di Israele ponessero meno rischi e minacce degli eserciti arabi ammassati all’esterno.
Ora c’è qualcosa di nuovo. Con la probabile approvazione da parte del governo israeliano del piano di disimpegno del primo ministro Ariel Sharon, lo Stato d’Israele si ritrova finalmente unito senza ambiguità sulla necessità di stabilire dei confini. Non si tratta dei confini su cui insiste l’Onu, le presunte “legittime” linee armistiziali del 1949 (che in realtà gli stessi armistizi dichiaravano provvisorie). E non si tratta neanche dei confini di tutta la terra conquistati nel 1967. Si tratta, invece, dei confini dettati dal realismo.
Fino alla fine degli anni settanta i confini dettati dal realismo arrivavano sino al Canale di Suez. Queste erano le linee imposte dalla minaccia rappresentata, allora, da eserciti arabi armati e sostenuti dall’Unione Sovietica, in particolare quello egiziano. Ma l’intelligenza politica di Anwar Sadat pose fine alla necessità di mantenere quella linea.
A est, la linea dettata dal realismo continua ad essere quella che corre lungo il fiume Giordano. La situazione in Iraq è tutt’altro che stabilizzata, e le prospettive di stabilità a lungo termine del Regno Hashemita di Giordania suscitano dubbi legittimi.
Sul fronte siriano, poi, il confine dettato dal realismo resterà alle porte di Quneitra (sul Golan) almeno finché a Damasco resterà al potere un regime che sponsorizza il terrorismo.
Con i palestinesi, gli ultimi quaranta mesi e più di feroce terrorismo hanno convinto la maggior parte degli israeliani di due cose. Primo, che la pace con i palestinesi è, almeno per il momento, impossibile. Secondo, che la separazione è necessaria.
Non possiamo governare all’infinito una popolazione che rifiuta violentemente il nostro governo, indipendentemente da quanto benevoli possano essere le nostre intenzioni. E dobbiamo avere un confine per meglio difenderci dagli attentati suicidi, la sola arma dell’arsenale palestinese per noi realmente devastante.
Si obietta che un confine nella forma di una barriera di separazione è un ostacolo debole a fronte di un nemico implacabile. Può darsi, ma finora sembra che attorno alla striscia di Gaza abbia funzionato abbastanza bene. E comunque la sfida non è quella di difendersi dalle minacce future, ma da quelle di oggi.
Si obietta anche che un confine privo di legittimazione internazionale non è un vero confine. Ma allora cos’era la Linea Verde pre-67? E cos’è la Linea di Controllo in Kashmir? Il grande obiettivo del confine è quello di separare noi da loro, di mettere prima di tutto ciascuna parte al sicuro dall’altra. Si potrebbe persino sostenere che questo è anche il grande obiettivo del sionismo.
Forse ci vorrà molto tempo prima che Israele possa avere i confini sicuri pacifici e riconosciuti che merita e cui ha diritto. Per adesso il meglio che possiamo sperare è di tenere i confini che possiamo realisticamente difendere. E questo obiettivo, per fortuna, non è più tanto lontano.

(Jerusalem Post, 24.04.04)