Consapevolezza economica

Le proteste dell'estate 2011 non hanno raggiunto i loro obiettivi, ma hanno impresso un’importante evoluzione nel discorso pubblico israeliano

Editoriale del Jerusalem Post

Un’immagine delle manifetsazioni del 3 settembre 2011

Cinque anni fa, centinaia di migliaia di israeliani provenienti da ambienti diversi scendevano in strada per protestare contro l’inesorabile aumento del costo della vita, in particolare degli alloggi, e il crescente divario tra ricchi e poveri.

Le proteste erano qualcosa di inedito in quanto per la prima volta, nella breve storia di Israele, i cittadini scendevano in gran numero nelle piazze per manifestare su problemi socio-economici, e non sul tema della guerra o del conflitto israelo-palestinese. La manifestazione che rappresentò il culmine delle proteste socio-economiche ebbe luogo il 3 settembre 2011, con una partecipazione di circa 450.000 persone in varie città del paese. Un sondaggio della tv Canale 10 condotto un mese prima aveva rilevato che l’85% degli israeliani appoggiava i manifestanti.

Sembrava che la popolazione d’Israele fosse finalmente diventata ciò che i primi sionisti intendevano che diventasse: una nazione come tutte le altre. Gli israeliani non erano più dominati dalla costante lotta per la sopravvivenza contro nemici votati ad un odio irrazionale contro gli ebrei, e potevano anche scendere in piazza per protestare contro problemi più banali come il prezzo della ricotta. Gli israeliani ce l’avevano fatta proprio come gli altri paesi, con una battaglia politica incentrata non più soltanto sulla preoccupazione costante per la sopravvivenza esistenziale, ma anche sull’aspirazione a una vita più confortevole e a un tenore di vita più elevato. Gli israeliani non avrebbero più accettato l’appello a rinviare ogni rivendicazione e gratificazione in nome della lotta prioritaria per la sopravvivenza.

Certo, gli sconvolgimenti che hanno investito il resto del Medio Oriente proprio a partire dal quel 2011 hanno molto ridimensionato la “normalità” della situazione d’Israele. Ma quelle manifestazioni restano un punto di non ritorno.

E’ tuttavia legittimo porsi la domanda: l’imponente attivismo sociale di quell’estate ha davvero cambiato qualcosa nella società israeliana?

Indice dei prezzi delle abitazioni in Israele

Ad un certo livello lo ha fatto senza dubbio: le questioni economiche e sociali, trascurate per decenni dalla politica israeliana, oggi interessano stabilmente la coscienza pubblica e il discorso pubblico si è spostato da un’attenzione quasi esclusiva alle politiche diplomatiche e della sicurezza verso una visione più equilibrata che include le questioni socio-economiche. Nessun partito politico può più candidarsi alla Knesset su una piattaforma che non preveda anche interventi di carattere socio-economico, come poteva invece avvenire prima dell’estate del 2011. Nessun partito politico che si rispetti può ignorare, oggi, il problema della crisi degli alloggi. L’ascesa del partito Kulanu di Moshe Kahlon è di per sé un sintomo di questo cambiamento. Così come lo è il partito Yesh Atid di Yair Lapid.

Ma ad un livello più sostanziale, si può affermare che l’attivismo socio-economico del 2011 ha raggiunto l’obiettivo di ridurre il costo della vita e di contenere il divario tra ricchi e poveri? Se badiamo ai risultati, gli attivisti non hanno ancora prodotto i cambiamenti che speravano. Nonostante gli interventi tentati da vari governi, i prezzi delle case continuano a salire. Dal 2011 i prezzi delle case sono aumentati del 28%, stando all’indice dei prezzi delle abitazioni fornito dall’Ufficio Centrale di Statistica israeliano. Bassi tassi di interesse alimentano l’aumento dei prezzi delle abitazioni dal momento che gli investitori perseguono investimenti più remunerativi per supplire ai bassi rendimenti offerti dalle banche e all’alto rischio di volatilità dei mercati finanziari. Ma il caro-casa è anche un risultato diretto dell’alto tasso di crescita naturale della popolazione israeliana, destinata a raddoppiare entro il 2048. L’attuale livello di circa 50.000 abitazioni nuove all’anno semplicemente non è al passo con il numero delle nascite. Molto resta da fare per semplificare le procedure edilizie al fine di incrementare l’offerta di alloggi.

Anche i prezzi degli alimentari hanno continuato a salire più rapidamente del tasso di inflazione. La concentrazione del mercato nelle mani di pochi produttori di generi alimentari è la causa principale degli alti prezzi al consumo. La riforma dell’importazione dei prodotti alimentari secchi, nota come “legge dei cornflakes”, dovrebbe aumentare la concorrenza, ma non è chiaro se questo elemento da solo sarà sufficiente a insidiare il dominio dei pochi grandi produttori di generi alimentari.

Infine, il divario tra ricchi e poveri in Israele rimane uno dei più alti tra i paesi sviluppati. Fra i paesi OCSE, solo Stati Uniti Turchia e Messico hanno divari più elevati.

Dunque le proteste dell’estate del 2011 non hanno raggiunto tutti i loro obiettivi. Ma certamente hanno impresso un cambiamento nel livello di consapevolezza. Oggi i politici israeliani non possono permettersi di ignorare i prezzi delle case e degli alimentari, o il divario tra ricchi e poveri. Quelli che lo fanno, rischiano di perdere la poltrona.

(Da: Jerusalem Post, 11.7.16)