Corruzione e stampa asservita nell’Autorità Palestinese

I custodi della legge palestinesi stanno dimostrando a tutti di che stoffa sono fatti

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2746Essendosi finalmente decisi, a quanto pare, a fare sul serio, i custodi della legge dell’Autorità Palestinese in questi giorni stanno dimostrando a tutti quanti di che stoffa sono fatti. No, non è che abbiano lanciato una dinamica campagna per dare la caccia ai terroristi, in particolare quelli della loro stessa fazione Fatah. E non è che abbiamo impresso un duro giro di vite contro l’indottrinamento all’odio anti-israeliano e la retorica incendiaria antisemita che imperversa nella loro giurisdizione.
Piuttosto, una buona parte delle energie del sistema giudiziario dell’Autorità Palestinese sono in questo momento concentrate nel mettere a tacere Fahmi Shabaneh, un funzionario palestinese che è stato cacciato dal suo posto di capo dell’unità anti-corruzione del Sevizio di Intelligence Generale palestinese esattamente perché aveva fatto il suo dovere.
La colpa di Shabaneh è di aver svelato furti di denaro pubblico e scandali sessuali al più alto livello della gerarchia dell’Autorità Palestinese e di aver oltretutto accusato il presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen) di aver cercato di insabbiare la cosa. Lo zelo di Shabaneh è stato premiato la scorsa settimana con un mandato d’arresto emesso dal procuratore generale dell’Autorità Palestinese Ahmed Mughni per reati come “lesioni al prestigio della Palestina e ai sentimenti nazionali palestinesi”, “collaborazione con Israele”, “diffusione di menzogne e montature”. Il tutto guarnito con accuse di tentato omicidio, estorsione e “vendita di terra ad ebrei”.
Shabaneh, benché residente a Gerusalemme, è in pericolo di vita. Sapeva il rischio che comportava rompere il silenzio. I mass-media arabi e i reporter stranieri nell’Autorità Palestinese si erano rifiutati di pubblicare le sue rivelazioni per paura di ritorsioni violente. La vicenda è infine comparsa sul Jerusalem Post in un’intervista esclusiva del nostro corrispondente Khaled Abu Toameh. Successivamente è comparsa in un documentario della tv israeliana Canale 10 [Canale 10 ha diffuso venerdì un reportage dal titolo ”Fatahgate” con filmati che documentano “la corruzione in seno all’Autorità Palestinese, compreso l’ufficio del presidente Abu Mazen”. La televisione israeliana ha mostrato immagini e documenti che accusano il capo-gabinetto del presidente palestinese, Rafiq Husseini, di corruzione e molestie sessuali.]
Nella sua conversazione con Abu Toameh, Shabaneh lamentava l’assenza di una stampa libera nel mondo arabo e la paura che hanno anche i corrispondenti stranieri di irritare Abu Mazen e la sua consorteria. L’unica stampa libera in Medio Oriente è quella in Israele, unica democrazia della regione. Il che non riguarda solo il lavaggio dei panni sporchi dell’Autorità Palestinese. I reporter israeliani divulgano altrettanto avidamente i mali della società israeliana. Questa è l’essenza dell’imparzialità giornalistica, qualcosa che con tutta evidenza appare intollerabile nel milieu dell’Autorità Palestinese: circostanza che, purtroppo, viene regolarmente ignorata dagli opinionisti internazionali.
Nonostante la pavloviana reazione di accusare immediatamente Israele di essere in combutta con Shabaneh in una “campagna denigratoria”, Abu Mazen pare che abbia chiesto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di “dare istruzione” ai mass-media israeliani di smetterla di mettere in imbarazzo l’Autorità Palestinese con rivelazioni sulla corruzione a Ramallah. E qui davvero Abu Mazen mostra di capire ben poco della realtà di Israele.
Se anche volesse, Netanyahu non potrebbe fare un tale favore ad Abu Mazen. Netanyahu stesso non viene certo trattato coi guanti dalla stampa israeliana, che fa a gara nello portare alla luce e pubblicare illazioni e sospetti – spesso gretti e irrilevanti – sulla famiglia del primo ministro. Nel nostro sistema, un capo di governo eletto non può controllare la stampa. In questo siamo felicemente molto diversi dai nostri vicini arabi.
Ma più di tutto, nel nostro sistema è impossibile brutalmente fare i prepotenti con chi fa rivelazioni. Shabaneh, viceversa, c’è da temere che si sia già messo nel mirino dei prepotenti.
In Israele il sistema giudiziario ha costretto alle dimissioni un primo ministro nel 1977 (Yitzhak Rabin) e in quello stesso anno ha condannato il designato capo della banca di stato (Asher Yadlin). Attualmente sono sotto processo un ex presidente (Moshe Katsav) e un ex premier (Ehud Olmert), mentre un ex ministro delle finanze (Avraham Hirchson) è dietro le sbarre. I nostri tribunali non si sono tirati indietro quando si è trattato di mandare al fresco altri ministri, in particolare Aryeh Deri e Shlomo Benizri sebbene fossero influenti partner della coalizione di governo.
Ciò naturalmente non incrina minimamente la nostra impalcatura nazionale o, per dirla nel linguaggio dell’Autorità Palestinese, non lede “il nostro prestigio e i nostri sentimenti nazionali”. La giustizia equa è una delle fonti della nostra forza e della nostra capacità di resistenza. Nel sistema israeliano, politici e pubblici ufficiali temono i tribunali, i tribunali non temono politici e funzionari pubblici.
Se coloro che sostengono di essere credibili interlocutori per la pace fossero dotati anche solo di una porzione dell’imparzialità e dell’impegno per la verità del sistema giudiziario israeliano, la nostra regione vivrebbe già da tempo in armoniosa coesistenza. Invece vediamo i nostri vicini dare credito costantemente alla trite fandonie sulla cattiveria di Israele: non si esita un attimo a confezionare comode menzogne in cui Israele fa sempre la parte del punching ball. Il che non fa presagire nulla di buono per le prospettive di una trattativa su accordi stabili e realizzabili. E lascia il palestinese della strada deprivato del governo onesto di cui avrebbe così disperatamente bisogno.

(Da: Jerusalem Post, 14.2.10)

Nella foto in alto: l’ex capo dell’unità anti-corruzione del Sevizio di Intelligence Generale palestinese Fahmi Shabaneh