Crimini di guerra: un’Europa a due velocità

La UE preme per il processo degli assassini balcanici ma per la scarcerazione di quelli palestinesi.

Da un articolo di Evelyn Gordon

image_633Per capire il vero valore degli altisonanti impegni in difesa dell’esistenza del popolo ebraico e di Israele fatti da leader e diplomatici europei durante la recente cerimonia di inaugurazione del nuovo Museo sulla Shoà di Yad Vashem, basta mettere a confronto il comportamento attuale dell’Unione Europea nei Balcani con il suo comportamento nel conflitto israelo-palestinese.
Naturalmente la UE non ha fatto nulla per fermare i massacri etnici nei Balcani negli anni 90, esattamente come non ha fatto nulla in Ruanda, nel Kurdistan iracheno (Halabja) o nel Darfur (Sudan). Se non altro, tuttavia, ha espresso retrospettivamente la sua condanna condizionando vari vantaggi economici e diplomatici ad una azione giudiziaria contro i peggiori criminali balcanici. La scorsa settimana, ad esempio, l’Europa aveva in programma di avviare colloqui sull’ingresso della Croazia nell’Unione, ma quei colloqui sono stati rinviati sine die per via del fatto che la Croazia non ha ancora consegnato a un tribunale Onu Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra. A nulla è servito che la Croazia sostenesse di non avere idea di dove si trovi Ante Gotovina.
Pressioni dello stesso genere su altri paesi dei Balcani hanno raccolto notevoli successi. Lo scorso 8 marzo, ad esempio, il primo ministro kossovaro Ramush Haradinaj ha dato le dimissioni e si è consegnato a un tribunale Onu dal quale era ricercato con l’accusa di crimini commessi negli anni in cui era a capo della guerriglia. Oggi il Kossovo è un protettorato Onu che vuole avviare entro l’anno colloqui per la piena indipendenza. Ma la UE e gli Stati Uniti (che insieme detengono tre dei cinque seggi permanenti al Consiglio di Sicurezza) hanno insistito che maturità del Kossovo per l’indipendenza sarebbe stata giudicata, per dirla con le parole del segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer, in base “ai sui progressi nel conformarsi agli standard fissati dalla comunità internazionale, e la cooperazione con il tribunale è uno di questi standard”.
Un ex generale serbo, Momcilo Peresic, si è consegnato al tribunale il giorno prima che lo facesse Haradinaj. Pochi giorni prima aveva fatto la stessa cosa un ex generale bosniaco, Rasim Delic. Lo settimana scorsa si è consegnato un ex ufficiale serbo, Drago Nikolic, e questa settimana lo ha fatto un altro, Vinko Pandurevic. Complessivamente, negli ultimi due mesi, sono circa una dozzina i balcanici ricercati che si sono consegnati alla giustizia internazionale: tutti spinti dal fatto che la UE ha condizionato rapporti economici e politici più stretti, di cui i paesi balcanici hanno disperatamente bisogno, al fatto che saltassero fuori i ricercati per crimini di guerra. Come ha spiegato l’editoriale dell’Irish Times il 10 marzo, “per quanto possa essere difficile consegnare dei capi militari considerati eroi di guerra, questo è il prezzo del progresso”.
O per lo meno, questo è il prezzo del progresso quando si tratta di criminali che si sono accaniti contro croati, serbi, bosniaci o albanesi. Non è lo stesso, a quanto pare, quanto le vittime sono ebrei israeliani.
Sono molti i palestinesi che si sono macchiati di crimini di guerra negli ultimi quattro anni, facendo saltare in aria scuolabus, celebrazioni religiose, locali pubblici, discoteche. E alla UE non mancano certo gli strumenti per fare pressione sull’Autorità Palestinese. Per ciascuno degli scorsi quattro anni l’Europa ha passato all’Autorità Palestinese, in media, quasi 250 milioni di euro (335 milioni di dollari al cambio attuale) e si è impegnata per la stessa cifra nel 2005. Tale cifra rappresenta circa il 15% del budget 2005 dell’Autorità Palestinese, e il 30% degli aiuti esterni che si aspetta per l’anno in corso. Durante tutti questi anni, non solo l’Autorità Palestinese non ha arrestato un solo terrorista, ma non ha mai nemmeno tentato di farlo. Anche oggi, il suo nuovo presidente “riformatore” Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è esplicitamente impegnato a non muovere un dito contro le organizzazioni terroristiche. Eppure la UE non ha mai accennato alla possibilità di condizionare il flusso di aiuti finanziari ad un vero sforzo da parte dell’Autorità Palestinese per arrestare i criminali di guerra. Al contrario, essa esprime massima comprensione per la tesi dell’Autorità Palestinese secondo cui quei terroristi sono eroi locali e che pertanto non possono essere arrestati. Anzi, ben lungi dal richiedere l’arresto dei terroristi ricercati, la UE continua a fare pressione su Israele perché scarceri altri terroristi palestinesi, come “gesto di buona volontà” verso l’Autorità Palestinese.
Così, mentre dichiara che la consegna alla giustizia dei criminali di guerra è condizione indispensabile per l’indipendenza del Kossovo, allo stesso tempo la UE non pone nessuna condizione di questo genere per l’indipendenza palestinese. Al contrario, si è sistematicamente adoperata per indebolire lo sforzo del presidente Usa George Bush di far dipendere i progressi verso la sovranità statale dallo smantellamento delle organizzazioni terroristiche. Agli occhi degli europei, il progetto di Abu Mazen di mettere i terroristi a libro paga dei servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese appare del tutto corretto.
È lo stesso doppio standard che venne applicato nei confronti di Yasser Arafat. Non solo Arafat, in quanto capo dell’Olp, era responsabile dell’assassinio di centinaia di civili ebrei, ma in quanto capo dell’Autorità Palestinese presiedette o per lo meno non fece nessuno sforzo per fermare il terrorismo stragista che negli ultimi quattro anni ha mietuto più vite di ebrei di tutti gli attentati terroristici dei cinquantadue anni precedenti messi insieme. Eppure, solo presso l’amministrazione di Bush ciò fece di Arafat una persona non grata. Praticamente in ogni capitale d’Europa egli continuò ad essere considerato un rispettato interlocutore, e i diplomatici europei continuarono con i loro pellegrinaggi di routine a Ramallah. Naturalmente gli europei si giustificavano dicendo che Arafat era il leader eletto dai palestinesi. Ma nel caso di Haradinaj, il fatto che fosse stato eletto primo ministro del Kossovo e che godesse di ampia popolarità non ha impedito agli europei di esigere la sua testa. Anzi, proprio il fatto che i kossovari avessero eletto primo ministro una persona accusata di crimini di guerra è stato visto come prova che il Kossovo non è ancora pronto per l’indipendenza.
Il messaggio implicito del diverso atteggiamento della UE rispetto ai criminali di guerra balcanici e palestinesi è chiaro: agli occhi degli europei, assassinare serbi, croati, bosniaci o albanesi è un crimine e i colpevoli devono essere consegnati alla giustizia. Viceversa, l’assassinio a sangue freddo di civili israeliani è legittimo. Così, non solo l’Autorità Palestinese non ha nessun dovere di consegnare i colpevoli alla giustizia, ma anzi è Israele che deve rimettere in libertà qualunque terrorista che sia riuscito ad arrestare e processare.
Finché la UE non inizierà a trattare l’assassinio di ebrei ad opera di palestinesi con la stessa serietà con cui tratta l’assassinio di croati ad opera di serbi o di serbi ad opera di albanesi, tutti i bei discorsi fatti a Yad Vashem non saranno molto più che chiacchiere magniloquenti.

(Da: Jerusalem Post, 24.03.05)

Nella foto in alto: L’ex primo ministro kossovaro Ramush Haradinaj lo scorso 14 marzo davanti al Tribunale Penale Onu per la ex Yogoslavia all’Aja (Olanda).