Dal basso verso l’alto

Un paio di consigli all’inviato Usa George Mitchell

di Shlomo Avineri

image_2472L’ex senatore americano George Mitchell non ha bisogno di molti consigli: è un navigato uomo di stato il cui maggiore successo fu l’accordo in Irlanda del Nord tra maggioranza protestante e minoranza cattolica. Tuttavia il nuovo inviato speciale della presidenza americana in Medio Oriente farebbe bene a prestare attenzione ad alcune caratteristiche che contraddistinguono il conflitto locale. Il conflitto in Irlanda era essenzialmente un conflitto religioso combattuto fra due comunità che avevano in comune lingua e storia. Qui abbiamo una lotta tra due movimenti nazionali con alcuni aspetti religiosi. Mentre nessun nord-irlandese ha mai messo in dubbio il diritto di esistere della Gran Bretagna, sono molti quelli in campo palestinese che mettono in discussione la legittimità dello stato ebraico, e alcuni in campo israeliano mettono in dubbio il diritto all’esistenza di una nazionalità palestinese.
Ciò nondimeno, si possono trarre alcuni utili insegnamenti dall’esperienza dell’Irlanda del Nord. Là, infatti, lo smantellamento degli arsenali delle milizie fu la precondizione necessaria per le elezioni. Le elezioni nell’Autorità Palestinese sono state un fallimento in parte perché i movimenti che vi partecipavano erano essenzialmente milizie armate. Per porre fine alla guerra civile palestinese e assicurare uno sviluppo democratico non vi possono essere compromessi: condizione imprescindibile per le elezioni deve essere lo smantellamento di tutte le milizie.
Nel frattempo Mitchell deve affrontare la sfida di arrivare a una tregua effettiva tra Israele e Hamas, della ricostruzione nella striscia di Gaza e dell’apertura dei valichi di frontiera. La sua missione rischia di disintegrarsi: anziché occuparsi del processo di pace, rischia di essere risucchiato nella soluzione delle crisi locali. Sarà importante pensare in modo creativo.
Anche chi sostiene gli Accodi di Oslo non può negare che quel processo è fallito per ragioni che vanno oltre gli ostacoli frapposti da entrambe le parti. Oslo fu il tentativo di costruire le istituzioni di uno stato nazionale palestinese dall’alto al basso. Operazione andata in fumo perché la società palestinese non produceva gli strumenti necessari per costruire una struttura statale.
Negli ultimi due anni l’inviato del Quartetto in Medio Oriente Tony Blair e il coordinatore americano alla sicurezza Keith Dayton hanno fatto con successo qualche tentativo di costruire istituzioni palestinesi dal basso verso l’alto, come la creazione di istituzioni municipali e regionali, il rafforzamento delle infrastrutture, la creazione di apparati di sicurezza funzionanti. I loro sforzi hanno conseguito risultati notevoli a Jenin, a Betlemme e persino a Hebron.
Si tratta di interventi del tutto diversi dalla “pace economica” di Benjamin Netanyahu, intesa come un’alternativa allo stato palestinese. Al contrario, questi sono i soli tentativi finora fatti di creare le infrastrutture per uno stato. Certo, si tratta di un processo graduale e destinato a prendere tempo, ma l’altro processo – quello dall’alto verso il basso – si è dimostrato fallimentare ed è venuto il momento di ammetterlo.
Un’ultima osservazione, sul fronte siriano. Un ostacolo qui è dato dal gap fra la posizione israeliana, che fa riferimento al confine de jure che esisteva fra Siria e Mandato Britannico, e la posizione siriana che fa riferimento al confine de facto che esisteva il 4 giugno 1967. Mitchell, nel suo prossimo incontro con i siriani, dovrebbe approfondire una questione delicata: la posizione dei siriani nasce semplicemente dalla volontà di recuperare le terre che occupavano nel 1948 o riflette qualcosa di più profondo, vale a dire un non-riconoscimento dei confini mediorientali, visti come il prodotto di decisioni prese dall’imperialismo occidentale dopo la prima guerra mondiale? Non è una domanda teorica, perché può aiutare a capire l’approccio della Siria alla questione Libano e a diverse altre questioni regionali.
(Da: Ha’aretz, 16.04.09)

In un’intervista pubblicata nell’ultimo numero di Time Magazine, l’inviato del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) in Medio Oriente, Tony Blair, ha affermato che, durante i suoi colloqui con Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano ha suggerito che lo stato palestinese venga creato “dal basso verso l’alto”. Blair ha detto che Netanyahu propone di rinviare alla fase finale del processo questioni come i confini dello stato palestinese, il destino degli insediamenti e Gerusalemme: il primo passo dovrebbe invece concentrarsi sul consolidamento delle istituzioni palestinesi, sul rafforzamento delle loro forze di sicurezza e sulla ricostruzione dell’economia nei territori. Netanyahu, a quanto riferito, non sarebbe contrario al fatto che in questa fase l’Autorità Palestinese assumesse prerogative di indipendenza statale.
(Da: Ha’aretz, 16.04.09)

Nella foto in alto: l’inviato Usa George Mitchell (sin) con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu giovedì a Gerusalemme