Dalle mummie di 500 anni fa un aiuto per combattere l’epatite B

Grazie agli studi di palaeoepidemiologia di uno scienziato dell’Università di Gerusalemme

image_1819Alcune mummie recentemente scoperte in Corea del Sud potrebbero indicare una via per combattere l’epatite B, secondo il prof. Mark Spigelman del Kuvin Center for the Study of Infectious and Tropical Diseases dell’Università di Gerusalemme.
E’ la prima volta che si trovano campioni di epatite B su un corpo mummificato. Quando fu scoperto il virus nel fegato di un bambino di 500 anni fa, i ricercatori della Dankook University e della Seoul National University invitarono il Spigelman in Corea del Sud per controllare i reperti.
Spigelman e la Liver Unit dell’Hadassah University Hospital-Ein Kerem di Gerusalemme fanno ora parte di una équipe internazionale che conduce ricerche sulla mummie, e riunisce esperti della Dankook University, della Seoul National University e dell’University College London.
Spigelman è noto per i suoi studi pionieristici sulle malattie dell’antichità (palaeoepidemiologia) compiuti su corpi mummificati in Ungheria e in Sudan, nello sforzo per fornire soluzioni allo sviluppo delle malattie che ci affliggono ancora oggi come tubercolosi, leishmaniosi e influenza. Le mummie sudcoreane sono particolarmente ben conservate e potrebbero fornire informazioni essenziali sull’evoluzione del virus dell’epatite B.
L’epatite B causa problemi al fegato e può portare al cancro del fegato o all’insufficienza epatica, tanto che uccide circa un milione di persone ogni anno.
In Corea del Sud l’esigenza di controllare il virus è particolarmente sentita in quanto il 12% della popolazione è portatore di epatite (rispetto a una media mondiale del 5%). In Cina, il virus è una delle principali cause di cancro.
Fino a poco tempo fa, nessuno sapeva che esistessero mummie in Corea. L’antica tradizione coreana del culto degli antenati e la credenza che alla morte l’anima si solleva e il corpo deve ritornare alle sue componenti naturali, senza interferenze da parte di elementi esterni, significava che la mummificazione era severamente proibita nella cultura coreana. Tuttavia, con l’avvento della dinastia neo-confuciana Joseon nel 1392, furono fatte delle modifiche alle precedenti pratiche di sepoltura buddiste.
Il processo di sepoltura consisteva nel tenere il corpo in ghiaccio da tre a trenta giorni per il lutto, nel porre il corpo dentro una bara interna e una esterna di pino, circondato dagli indumenti del defunto, per poi coprire la bara con la terra. “In qualche caso, questa procedura provocava, senza volerlo, un’ottima mummificazione naturale”, spiega Spigelman.
Il boom edilizio in Corea del Sud ha significato che molti cimiteri hanno dovuto essere ricollocati. E’ questo il processo che ha portato alla scoperta dei corpi mummificati.
I ricercatori intendono studiare il genoma del virus vecchio di 500 anni per vedere se ci sono stati cambiamenti significativi in tutto questo tempo. Spigelman si chiede: “Cinquecento anni fa, era epatite B? E’ possibile che, più tardi, si sia scissa da ‘X’ e sia diventata A e B? Si era già evoluta? Ancora non lo sappiamo”.
“La nostra è una missione del tipo conosci-il-tuo-nemico, per verificare se possiamo ottenere informazioni che aiutino i malati di oggi e di domani”, aggiunge Spigelman, dicendosi convinto che sapere come agiva un virus 500 anni fa ci aiuta a comprendere che cosa farà se continua ad evolversi, permettendoci di modofocare le pratiche sanitarie per combatterlo.

(Da: Università di Gerusalemme, Dept of Media Relations, 23.07.07)

Nella foto in alto: Il prof. Mark Spigelman al lavoro