Dall’equilibrio del terrore al terrore senza equilibrio

I sauditi non aspetteranno un intervento Usa contro il nucleare iraniano.

Di Amir Oren

image_2890Ecco uno scenario che inquieta non poco il Pentagono e la Casa Bianca: l’Iran acquisisce un arma nucleare, o si trova a un passo dall’ottenerne una, e proclama che, nel caso si trovasse coinvolto in un lungo conflitto come la guerra Iran-Iraq degli anni ’80, non esiterà a farne uso, eventualmente anche sul proprio stesso territorio allo scopo di distruggere gli invasori. La reazione di fronte a una tale presa dio posizione potrebbe essere analoga a quella che si avrebbe nel caso una bomba cadesse al di fuori dei confini dell’Iran? Molto probabilmente no. Il calcolo degli iraniani è che, nel momento in cui essi varcassero la soglia del nucleare, il mondo morderebbe il freno ma si tratterrebbe: il passo successivo dello scenario prevede che gli iraniani utilizzerebbero il loro nuovo ombrello nucleare per dare copertura ad azioni armate non-nucleari sul territorio di un altro paese.
In questo scenario del Pentagono, che riecheggia questo mese nel trimestrale dei Capi di Stato Maggiore congiunti americani, l’Iran potrebbe invadere l’Arabia Saudita. Direttamente con le sue forze (la Guardia Rivoluzionaria) o con succedanei di vario tipo (“volontari”), l’Iran aiuterebbe la popolazione sciita della parte orientale del regno saudita, quella più ricca di petrolio, a sollevarsi contro la dinastia sunnita dei Saud e a spazzarla via dal paese.
Che i funzionari a Washington credano o meno a questo scenario, ciò che conta è che ci credono a Riyad, per cui i sauditi ignoreranno la volontà degli americani e si prepareranno in modo autonomo ad affrontare il problema. I sauditi non faranno assegnamento su un intervento degli Stati Uniti contro il nucleare iraniano; piuttosto si adopereranno per procurarsi le loro proprie armi nucleari grazie a ingenti somme di danaro che verranno versate al Pakistan o a qualunque altra fonte.
L’armamento nucleare saudita non avrà bisogno d’essere strategico, cioè del tipo che deve essere montato sulla testata di un missile lanciato da terra o da un sottomarino. Sarebbe sufficiente un’arma nucleare tattica lanciata da un aereo, o con un missile a corto raggio, con bombe d’artiglieria o anche solo mine. Sono tutte armi che erano disponibili durante la guerra fredda. La Nato ne ha ancora molte nei suoi arsenali. Per la maggior parte sono sotto il controllo di Stati Uniti e Gran Bretagna, ma una mezza dozzina di altri paesi ne dispongono (compresa la Turchia). Probabilmente in una prima fase l’Arabia Saudita acquisirebbe un armamento di questo tipo allo scopo di bloccare un’invasione e/o contrastare una ribellione. Una forza nucleare strategica in grado di minacciare Tehran richiederebbe più tempo.
Esiste anche un sotto-scenario nel quale i Fratelli Musulmani, un gruppo che aspira a dotare gli arabi dell’arma nucleare, prendono il potere al Cairo dopo la dipartita del presidente Hosni Mubarak.
In base a tutti questi scenari, lasciare nelle mani iraniane una capacità nucleare significa infrangere la diga mediorientale, sia che avvenga nel contesto di Israele sia che avvenga al di là di esso. Aggrapparsi ai benefici dell’equilibrio del terrore che ha funzionato durante la guerra fredda e che teneva in equilibrio americani e sovietici, è un’illusione e un errore. È vero che il meccanismo della deterrenza reciproca impedì lo scoppio di una terza guerra mondiale, ma vi furono comunque numerosi scontri che vi andarono molto vicino, innanzitutto la crisi dei missili di Cuba del 1962. La condizione perché venga tolto il dito dal grilletto era, ed è ancora, l’esistenza di leader nazionali razionali. Ma non vi è alcuna garanzia che tali siano i leader che guidano i regimi (o i gruppi) ispirati al fanatismo religioso.
Il fatto triste è che sotto quello stesso ombrello si ebbero comunque guerre, e centinaia di migliaia di morti, prime fra tutte le guerre di Corea e del Vietnam; e ci furono le invasioni dell’Ungheria e della Cecoslovacchia, e molte altre crisi. Una situazione insostenibile, nel Medio Oriente di oggi.
Questi scenari portano a concludere che vale la pena prestar fede al presidente Usa Barack Obama quando dice che non intende tollerare un Iran nucleare. Israele deve ancora attrezzarsi per poter agire in modo indipendente contro tali sviluppi, per raccogliere intelligence e prepararsi ad attacchi di Hezbollah e Hamas, ed eventualmente anche al lancio di missili Shahab, in risposta ad una ipotetica operazione americana.
Gli iraniani ancora non credono a Obama, per cui non saranno dissuasi dall’andare avanti verso l’acquisizione di una capacità nucleare.

(Da: Ha’aretz, 11.07.10 )