Dare addosso a Israele per non discutere le violazioni più gravi

Questa la politica del Consiglio Onu per i Diritti Umani

image_2341Persino il presidente della seduta non ha potuto restare zitto: l’ambasciatore nigeriano alla sede di Ginevra delle Nazioni Unite ha chiesto ai partecipanti di trattarsi l’un l’altro con rispetto. L’ha fatto in diretta reazione al discorso dell’ambasciatore iraniano che, com’è abitudine del suo governo, indicava Israele con l’espressione “entità sionista” invece che con il suo nome ufficiale.
Le parole del presidente erano indirizzate anche contro gli infuocati, ancorché prevedibili, discorsi dei rappresentanti dei paesi arabi e musulmani che attaccavano Israele uno dopo l’altro. Il più notevole è stato quello dell’ambasciatore yemenita che ha definito le azioni di Israele contro i palestinesi nientemeno che “le peggiori atrocità della storia umana”. Evidentemente non ha mai sentito palare del genocidio turco degli armeni, della Shoà degli ebrei, del genocidio in Ruanda, degli orrori nelle guerre balcaniche. Evidentemente non ricordava che quarant’anni fa il suo stesso paese venne attaccato con armi chimiche dall’esercito egiziano.
L’occasione era, giovedì scorso, la riunione del Consiglio dell’Onu per i Diritti Umani: un dibattito che si è tenuto in prossimità della data in cui il mondo celebrava il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Sulla base di quella Dichiarazione sono nati una serie di enti burocratici che si occupano di questo importante tema, tra loro anche la Commissione Onu per i Diritti Umani, poi – dall’inizio del 2006 – Consiglio Onu per i Diritti Umani. Uno dei suoi strumenti più importanti è la Universal Periodic Review, un rendiconto da parte di ogni stato membro sullo status dei diritti umani nel proprio paese: l’atteggiamento verso le minoranze etniche, le religioni, le donne, la comunità gay, la libertà di stampa ecc. Gli altri paesi rispondono e avanzano suggerimenti per migliorare.
Alcuni, in Israele, ritengono che la questione dei territori non dovrebbe rientrare di questo resoconto dal momento che viene affrontata già molte volte da numerosi altri organismi Onu, mentre il focus dovrebbe essere piuttosto sulla situazione di Israele all’interno della “linea verde”. Ma alla fine si è deciso che sarebbe stato inappropriato non menzionare la situazione nei territori. I rappresentanti israeliani, guidati dall’ambasciatore alle Nazioni Unite di Ginevra Aharon Leshno-Ya’ar, hanno ricordato al Consiglio che Israele è costretto a convivere con il terrorismo e che pertanto alcuni diritti umani non sono esercitati in modo assoluti. Hanno anche detto che la barriera di separazione si è dimostrata efficace nel prevenire gli attentati suicidi. Hanno sottolineato inoltre il grande numero di organismi a difesa dei diritti umani attivi in Israele: governativi, non-governativi e giuridici. Infine hanno riconosciuto che ci sono miglioramenti da fare, impegnandosi a prendere in seria considerazione le raccomandazioni del Consiglio.
I paesi democratici hanno apprezzato il rapporto israeliano, pur esprimendo alcune riserve su alcune questioni come la situazione dei beduini nel Negev israeliano. I rappresentanti arabi e musulmani invece si sono scatenati. La loro richiesta centrale, per dirla con le parole di quello siriano, è stata che Israele ponga fine all’occupazione “razzista”.
“Il Consiglio per i Diritti Umani – ci dice Leshno-Ya’ar – è di fatto un organismo politicizzato. Noi saremmo ben lieti di apprendere dall’esperienza di altri paesi su questo tema, ma non abbiamo alcun bisogno della Universal Review per ricordare che c’è da sciogliere il nodo dei territori. Le raccomandazioni dei paesi arabi sono squisitamente politiche: non solo non fanno progredire la causa dei diritti umani, ma anzi la danneggiano”.
Il Consiglio è composto da 47 stati membri, con una maggioranza automatica di paesi del terzo mondo guidati da Pakistan, Algeria, Egitto e Cuba. In questi tre anni il Consiglio è sembrato più che altro impegnato nello sforzo quasi ossessivo di denunciare l’omosessualità e bloccare qualunque testo critico verso le religioni. I paesi occidentali vedono in queste mosse un chiaro tentativo di deviare qualunque critica a ben più gravi situazioni dei diritti umani presenti in altri paesi.
Gli Stati Uniti hanno addirittura deciso di sospendere la loro partecipazione al Consiglio.

(Da: Ha’aretz, 11.12.08)