Di figlio in padre

Quando suo figlio è caduto in Libano, Itzik Kobi ha deciso di tornare a servire nella riserva

image_1463Itzik Kobi, 50 anni, della città di Yaara (Galiela occidentale) torna come riservista nelle Forze di Difesa israeliane. Ha chiesto di prestare servizio volontario nella stessa unità del figlio Idan Kobi, di 26 anni, caduto durante la guerra contro Hezbollah in Libano la scorsa estate.
“Voglio continuare sulla strada di mio figlio dal punto in cui lui è stato fermato – dice Kobi – Voglio prendere il suo posto e dare il mio contributo alla difesa del paese. Sono certo che lui avrebbe fatto lo stesso”.
Alcune settimane fa, dopo aver ascoltato gli amici di sui figlio raccontare le storie relative al servizio militare di Idan, Kobi ha inoltrato domanda di tornare a prestare servizio. “Ho sentito di come Idan aiutava i suoi compagni e di come i suoi amici sono addolorati della sua scomparsa, e mi è sorto il desiderio di colmare quel vuoto: aiutare i suoi amici nella stessa unità dove Idan aveva prestato servizio”.
Kobi spiega che non condivide le vivaci polemiche contro il governo e i vertici militari scoppiate dopo la guerra contro Hezbollah. “Cosa c’è da criticare? – si domanda – Ci sono stati errori e andranno indagati. Ma non c’è bisogno di tutto questo scalpore, di tutta questa animosità. I nostri nemici ci guardano e se ne rallegrano. Tra quelli criticati c’è il comandante della divisione di mio figlio, che si trovava in un edificio accanto a quello dove era Idan quando venne colpito e ucciso da un razzo. Cosa avrebbe dovuto fare? È una roulette russa. Anziché quello dove era mio figlio, il razzo avrebbe potuto colpire l’edificio dove si trovava il comandante, un uomo spostato con due figli”.
Kobi, autista dell’ospedale di Nahariya, vive a Ya’ara da vent’anni. Durante la guerra della scorsa estate ha rischiato più volte la vita alla guida della sua ambulanza trasportando medici e feriti in mezzo alle raffiche di missili e razzi. Il giorno in cui il figlio venne ucciso, il padre riconobbe volti famigliari fra i feriti che trasportava e cercò di avere informazioni su Idan. Ma gli amici del figlio evitarono di dargli la tragica notizia finché non fu possibile recuperare il corpo dal territorio libanese.
“Nonostante il pesante prezzo che ho pagato – dice Kobi – penso che non fosse inutile. Come abitante del nord che vive nei pressi del confine con il Libano, ho sperimentato di persona la situazione precedente la guerra. Ho visto con i miei occhi come gli Hezbollah si erano armati. Nessuno aveva preso misure per dissuaderli. Nessuno aveva pensato di fermarli. Ora salta fuori gente che accusa il governo di errori e carenze per responsabilità che in realtà ricadono anche su tutti i governi precedenti, e sulla comunità internazionale. Come abitante del nord, mi chiedo: dove erano tutti quando gli Hezbollah costruivano la loro forza militare sotto i nostri occhi?”
Kobi ha ricevuto una risposta positiva dal comandante della divisione di suo figlio. “Ha detto che può ri-arruolarmi per la riserva, ma che l’unità di Idan in questo momento non è operativa. Non abbiamo un altro paese – aggiunge – e dobbiamo difendere questo che abbiamo. Mio figlio è stato ucciso, ma il nostro paese è ancora qui e ha bisogno di noi”.

(Da: YnetNews, 20.11.06)

Nella foto in alto: Idan Kobi, 26 anni, caduto la scorsa estate in Libano combattendo contro i terroristi jihadisti Hezbollah