La legge su “Israele stato ebraico”: il ruolo giocato dall’Europa

La proposta di legge nasce come reazione ai continui attacchi contro l’identità ebraica e sionista dello stato d’Israele

Di Gerald M. Steinberg

Gerald M. Steinberg, autore di questo articolo

Gerald M. Steinberg, autore di questo articolo

Nella discussione suscitata dalla proposta di legge su “Israele come stato ebraico” molte critiche perdono di vista il contesto che ha portato la questione al centro del dibattito politico in questo periodo. Le accuse di “razzismo” e “discriminazione” riecheggiate sui mass-media e alla Knesset riducono a slogan semplicistici e fuorvianti una questione importante e complessa.

In realtà l’iniziativa non può essere compresa senza considerare le campagne in corso da anni per erodere e alla fine cancellare il carattere essenzialmente ebraico della realizzazione sionista Da diversi anni, gruppi politici e organizzazioni non governative (ONG) espressamente anti-sionisti cercano di abrogare la definizione di Israele come stato nazionale del popolo ebraico per sostituirla con l’ambigua definizione “stato di tutti i suoi cittadini” (nel senso di uno stato privo di ogni caratterizzazione ebraico-sionista). Molte di queste ONG ricevono importanti finanziamenti da governi stranieri, sia direttamente sia attraverso agenzie di assistenza soprattutto religiose, con lo scopo di promuovere questo obiettivo sotto la facciata della difesa dei diritti umani e della democrazia. Il più delle volte si tratta delle stesse organizzazioni impegnate nelle campagne di sistematica demonizzazione di Israele in tutto il mondo, che prendono di mira Israele e solo Israele con boicottaggi e altri attacchi politici.

Bandiere e stemma dello Stato alla Knesset, il parlamento israeliano

Bandiere e stemma dello Stato alla Knesset, il parlamento israeliano

Ad esempio, un gruppo che ha sede in Israele chiamato Zochrot (Memoria) e che, fra le altre calunnie, accusa Israele di “pulizia etnica”, ha tenuto alla Cineteca di Tel Aviv il 27-29 novembre scorsi un festival cinematografico su “Naqba e ritorno”. Eventi di questo genere, e le campagne pubblicitarie che li accompagnano, alimentano il mito palestinese del presunto “diritto al ritorno” che, se venisse attuato, significherebbe appunto la fine dell’esistenza di Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Le attività di Zochrot che demonizzano lo stato ebraico (come se fosse illegittimo in quanto tale) vengono finanziate da organizzazioni, tra cui molti gruppi “umanitari” cristiani, che a loro volta ricevono denaro dai governi di Regno Unito, Belgio, Germania, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Francia e Svizzera.

Allo stesso modo anche Adalah, una ONG arabo-israeliana finanziata da Unione Europea, Germania, Svezia nonché da Christian Aid e dal New Israel Fund, promuove un’agenda che demonizza costantemente lo stato ebraico in quanto tal, indipendentemente da quali possano essere le sue frontiere. Usando i generosi finanziamenti che riceve dall’estero sotto la facciata della difesa dei diritti umani, Adalah sottopone continuamente deposizioni e “testimonianze” alle commissioni delle Nazioni Unite e invia numerose “segnalazioni” a giornalisti e diplomatici. Adalah condanna la Legge del Ritorno (la legge che impersona la ragion d’essere di Israele in quanto stato ebraico), la bandiera israeliana, la Hatikvà come inno nazionale, il candelabro Menorà come simbolo nazionale, il KKL o Fondo Nazionale Ebraico così come altri enti ed istituti che riflettono la storia e la cultura ebraica. Secondo Adalah e i suoi alleati, i benefici economici che lo stato riconosce agli ex militari sono discriminatori perché escludono gli arabi israeliani, che non prestano servizio nelle Forze di Difesa: senza specificare che si tratta di una loro libera scelta, mentre i membri di altre minoranze israeliane, come i drusi e i beduini e un numero piccolo ma in crescita di arabi cristiani, presta servizio e ricevere benefici identici ai loro commilitoni ebrei. In questo contesto, queste ingannevoli accuse di discriminazione nei confronti di cittadini non ebrei costituiscono una chiara forma di guerra politica allo stato di Israele.

Dal sito della ong Zochrot – Ipotetico documento del “palestinese di ritorno”: lo stato ebraico è cancellato dalla carta geografica

Altre ONG con budget che ammontano a milioni di sterline bombardano mass-media e tribunali israeliani con accuse analoghe che coprono una vasta gamma di temi. In pratica ogni singolo aspetto che sostanzia l’identità ebraica e sionista dello stato di Israele finisce sistematicamente nel mirino di queste martellanti campagne, lautamente finanziate dall’estero. L’obiettivo è manifestamente quello di sostenere che uno stato ebraico in quanto tale è da etichettare come razzista o come teocrazia: fingendo di ignorare l’esistenza, anche in Europa, di decine di paesi dichiaratamente cristiani nei simboli, nelle bandiere e nelle festività, per non dire di una Gran Bretagna che ha anche una sua Chiesa nazionale aggregata alla monarchia. Così come l’esistenza di più di 55 paesi che si definiscono esplicitamente islamici, tra cui alcuni che sono espressamente e concretamente delle teocrazie. Puntare il dito sempre e solo Israele per questo genere di critiche è in se stesso pesantemente discriminatorio.

Ecco perché emerge con forza l’esigenza di ribadire il carattere ebraico e sionista di Israele, sulla base del Dichiarazione di Indipendenza del 1948. Si possono immaginare diverse formule per rispondere a questa esigenza, ma gli avversari che si limitano ad accusarla di “razzismo” non fanno che accrescere il problema, confermando la necessità e l’urgenza.

(Da: Times of Israel, 29.11.14)

 

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito “una tragedia” il fatto che molti palestinesi negano qualsiasi connessione fra ebrei e Terra d’Israele. “Qui, nello stato di Israele – ha detto Netanyahu lunedì, all’inizio di un incontro con il primo ministro serbo Aleksandar Vucic in visita a Gerusalemme – il popolo ebraico ha realizzato la sua autodeterminazione in uno stato democratico che garantisce parità di diritti a tutta la popolazione, a tutti i suoi cittadini, senza distinzione di razza, sesso o religione. E’ davvero una tragedia il fatto che così tanti dei nostri vicini palestinesi ripudiano ancora i fatti fondamentali della storia. Negano il legame di più di tremila anni tra il popolo d’Israele e la Terra d’Israele”. Netanyahu ha lamentato quella che ha definito la negazione palestinese del diritto d’Israele all’autodeterminazione nazionale benché  rivendichino quello stesso diritto per se stessi. “Lo scorso fine settimana – ha osservato il primo ministro – il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha ribadito ancora una volta che non riconoscerà mai la legittimità del diritto del popolo ebraico a un proprio stato nazionale”. La cosa veramente “singolare” di questa dichiarazione, secondo Netanyahu, è che Abu Mazen l’ha fatta il 29 novembre: 67esimo anniversario della risoluzione con cui l’Onu chiedeva l’istituzione di uno “stato ebraico”. “La pace non si può fondare su una tale ipocrisia – ha concluso Netanyahu – La pace non potrà mai essere costruita su tali distorsioni della verità storica. La pace esige che la dirigenza palestinese riconosca finalmente lo stato nazionale del popolo ebraico, e che cessi ogni istigazione all’odio contro Israele e il popolo ebraico”. (Da: Jerusalem Post, 1.12.14)

Il parlamentare laburista Hilik Bar ha avanzato una “risposta legislativa” ai disegni di legge governativi per la definizione di Israele come stato ebraico. Il disegno di legge proposto da Hilik Bar è costituito da un unico articolo che rende ufficiale l’accoglimento della Dichiarazione d’Indipendenza nella legislazione israeliana con lo status di legge quasi-costituzionale, riportandone integralmente il testo letto da David Ben Gurion nel maggio 1948. “Non mi interessa risolvere la crisi interna della coalizione Netanyahu e il ministro delle Finanze Yair Lapid – ha spiegato Hilik Bar lunedì a Times of Israel – Ma questa lotta sta causando profonde fratture nella società israeliana e voglio offrire loro la possibilità di uscire dall’angolo in cui si sono cacciati. Che si battano su altri temi, e non a spese di tali ampi settori dell’opinione pubblica israeliana”. (Da: Times of Israel, 1.12.14)

Si veda anche il contributo di Sergio Della Pergola, dell’Università di Gerusalemme.